mercoledì 29 marzo 2017

Luigi Natoli: Al termine di una battaglia... Tratto da: Alla guerra!


Guardò intorno; il campo era sparso di feriti e di morti, quelli gemevano, chiamavano, cercavano sollevarsi o si trascinavano; gli altri giacevano immobili, a mucchi, negli atteggiamenti più spaventevoli: mucchi informi, nei quali non si distinguevan più le persone, ma di fra un confuso aggrovigliamento di gambe e di busti apparivan volti esterrefatti dallo spavento, deformati dallo spasimo, o dolorosamente sereni; mani abbandonate o adugianti la terra, o levate in alto come per afferrare qualche cosa, o coi pugni chiusi in atto di minaccia; e sangue, sangue dalle orribili ferite, sangue per terra, in pozze, in rigagnoli torpidi e bruni; e dispersi da per tutto fucili, sciabole, berretti, zaini; e una enorme quantità di bossoli vuoti, un tappeto metallico, rilucente fra il sangue, tra l’erbe, nel terriccio smosso, sconvolto dalle bombe e dalle granate. Più in là, dietro, fra gli alberi stroncati, divelti, le case scoperchiate, abbattute, fumanti. Dei cavalli sventrati giacevano fra gli uomini, altri, con la sella vuota, galoppavano pel campo, come presi da follia; pattuglie di lancieri o di cavalleggieri correvano per ogni verso; e intanto per tutto il campo era un affaccendarsi di militi della Croce Rossa, di medici militari; un passar continuo di lettighe, barelle, automobili.
Dei sottufficiali frugavano i morti, per toglierne le medaglie di riconoscimento, le carte, il denaro, tutto ciò che possedevano; avvolgevano ogni cosa dentro buste; vi mettevano un segno, e riponevano le buste dentro una cassa. Dei soldati separavano i morti; ponevano i tedeschi da una parte, i francesi dall’altra. Qua e là dei soldati, dei sottufficiali, con una stola buttata sul collo, il capo nudo, si chinavano sui feriti, o con pio gesto benedicevano i morti; erano preti, che deposto il fucile, riprendevano il loro ufficio di pace, e invocavano il perdono di Dio su quella carne umana macellata; nella quale non vedevan più francesi o tedeschi; ma uomini della stessa carne, creature di un Dio padre comune.
Benoist guardava.
A pochi passi da lui c’era un gruppo di tedeschi, uccisi dalle baionette, ventri, colli, petti squarciati; volti sfigurati; v’era tra essi un ufficiale, che stringeva ancora un mozzicone di sciabola; aveva il capo appoggiato sul dorso di un soldato, e rivolto verso Benoist; gli occhi sbarrati, fra il sangue che colava sul viso; una espressione di sgomento e di ferocia sulla bocca dischiusa; aveva una larga ferita al capo, un’altra al petto. Pareva guardasse Benoist, e gli dicesse:
- Tu m’hai ucciso.
Benoist si sentiva stringere il cuore. Quanti caduti! quando sangue!... e quanta pietà!
Tramontava. Tra i vapori che sorgevano dalla terra, e il vagare del fumo nerastro degli incendi il sole rosseggiava come una fiamma viva; e diffondeva intorno una luce nella quale le case, gli alberi, i colli lontani parevan coprirsi di un’onda di sangue; pareva che quell’onda dilagasse da per tutto, dal cielo alla terra, e uomini e cose ne fossero come travolti. E nulla appariva agli occhi di Benoist così terrificante, come lo spettacolo di quel campo immenso di rovine e di morte, illuminato dal tramonto sanguigno: ora la guerra gli si rivelava in tutta la sua spaventevole e tragica grandezza. Il sole calava, e dalla terra, col fuggire della luce, si levava un lamento, un singhiozzare lugubre e lungo, che si diffondeva per tutto lo spazio visibile, ed empiva l’aria, come se le migliaia di anime strappate dalla violenza del ferro e del fuoco, errassero a salutare i corpi martoriati e abbandonati.
 
 


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