mercoledì 4 maggio 2016

Luigi Natoli narra un eroe di Messina dimenticato: Antonio Duro - Tratto da "La baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue".

(1473) Hassan bey, un rinnegato, pascià della Bosnia, con ventimila cavalli, attraversando fra le rapine e gli incendii con la Croazia e la Carniola, era piombato in Italia, seminando da per tutto, fino a Udine, gli orrori delle carneficine. Diciottomila cristiani giacevano insepolti per le campagne, quindicimila trascinavano fra’ superbi vincitori le dure catene della schiavitù.
E in quel torno quattrocento galee vomitavano su Negroponte trecentomila fanatici, guidati dal Gran Signore Maometto II; e dopo l’eroica e disperata resistenza cadeva la città, e Paolo Erizzo espiava la virtù sua morendo fra inaudite torture. Poco dopo Scutari cadeva anch’essa, e il Loredano, come l’Erizzo, acquistava la gloria del martirio.
A che valevano adunque le ingloriose rappresaglie del magnifico Pietro Mocenigo capitano generale della Serenissima, poiché il Vessillo del Profeta trionfava superbamente anche sui mari? A che il grido doloroso di Sisto IV, che bandiva la crociata? E il lamento disperato dell’Ungheria, ultimo baluardo contro l’invasione musulmana? Maometto II aveva innalzato lo stendardo della guerra santa; e i figli del profeta accorrevano da ogni parte per vincere e diffondere l’Islam, come aveva promesso Allah.
Una sera Pietro Mocenigo stava sulla capitana col sopracomito Coriolano Cippino, col provveditore e alcuni ufficiali: divisavano un ardito colpo di mano per la vegnente notte; quando la sentinella di prua si accorse di un piccolo battello, che sciava silenziosamente tra i fianchi della Capitana e della Padrona. Diede l’allarme e puntò l’arco verso il rematore; questi con un vigoroso colpo di remo si tolse al bersaglio, e sostando, levato il alto il berretto, gridò:
- Viva San Marco!
Tosto si affacciarono al parapetto della Capitana marinari e soldati; il capitan generale con la spada in mano, si fece innanzi:
- Chi grida: Viva San Marco?
- Per la croce di Dio, magnifico Signore, non son né cane, né rinnegato; fuggo anzi la terra degli infedeli... Comandate che levino quegli archi, che certamente nessun onore ne verrebbe ad ammazzare un cristiano; e fatemi piuttosto calare una corda che ho gran voglia di parlarvi...
- Come ti chiami?
- Antonio Duro.
- Di che nazione sei?
- Di Sicilia, della nobilissima città di Messina...
 
 
Maometto II torreggiava tra i cuscini del suo trono; intorno a lui si accalcavano eunuchi e ufficiali, fieri, sitibondi di vendetta, ma pur curiosi e sorpresi. Innanzi al tremendo imperatore, dritto, con le mani legate al dorso, stava il fruttaiolo incendiario.
- Franco – disse Maometto II – chi sei tu?
- Io sono Antonio Duro di Messina...
- Hai tu ricevuto ingiuria dai miei sudditi? Frodarono essi le tue frutta, perché tu abbi posto l’incendio alle navi?
- No!...
- Qual ardire insano ti ha spinto dunque a una sicura morte?
- Io son cristiano e Siciliano, tu infedele e saracino; fra noi non può essere amicizia. Avevo deciso di rovesciar la tua potenza, e liberare la cristianità dalle tue ruberie, a mandarti all’inferno te e i tuoi! Pazienza! L’impresa è andata a vuoto... Sei galere son poca cosa...
Il Gran Signore guardò sbalordito l’audace siciliano; tacevano intorno i valorosi, che si sentivano piccini innanzi a quella grandezza d’animo straordinaria.
- Ma tu andavi contro alla morte!
- Che m’importa? Ma se fossi interamente riuscito, tu non avresti più armata!...
Maometto trasalì; con uno sguardo misurò le fiere conseguenze che la temeraria impresa del Siciliano avrebbe recato. Guardò il giovane, bello, gagliardo, sereno...
 
Il Senato di Venezia onorò la morte del prode, e tenne le promesse fatte al Mocenigo. Il fratello ebbe un assegno, la sorella una dote. Gli storici del tempo consegnarono alla gloria il nome del valoroso.
E lei, signora lettrice, quando alla Villa Giulia si fermerà ad ammirare il marmo che raffigura l’eroico Canaris, pensi che anche la Sicilia, tre secoli e mezzo innanzi, nel 1473, ebbe il suo Canaris; e pensi ancora alle ingiustizie di quella storia che, caduta fra le mani dei rigattieri, facilmente dimentica le glorie paesane.
Luigi Natoli
Nelle foto: il doge di Venezia Pietro Mocenigo e Maometto II
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