martedì 3 maggio 2016

Luigi Natoli e "Il caso di Sciacca": tratto dalla raccolta di storie e leggende "La baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue"

Caso orrendo che lasciò, come il Vespro, memoria durevole nella tradizione popolare, avvenne per la inimicizia di due famiglie potenti, i Luna e i Perollo, del quale fu teatro Sciacca. Nata nei primi del XV secolo per rivalità di ambite nozze, un primo urto avvenne in Sciacca durante i funerali di Martino e l’odio dei padri si trasmise nei figli, Pietro Perollo e Antonio de Luna, e vi diede nuova fiamma una lite pel possesso di una baronia di S. Bartolomeo vinta dal Luna. Per evitar spargimento di sangue si tentò una pace: ma correndo la Settimana Santa del 1459, durante la processione, il Luna fu assalito e percorso da gente armata; ne nacque una zuffa, e si dice che il Perollo, abbattuto il nemico, andasse a devastarne le case e a saccheggiarle. Il Luna si ritirò a Caltabellotta preparando la vendetta, ma il governo intervenne con minacce ed esilio.
Nel secolo XVI erano a capo delle due famiglie Sigismondo de Luna, conte di Caltabellotta, imparentato coi Salviati e coi Medici, e Giacomo Perollo barone di Pandolfina e portulano di Sciacca, il quale abitava nel castello normanno, ed era in buoni rapporti col vicerè Pignatelli.
Or avvenne che a proposito della liberazione dalla schiavitù del barone di Solanto, tenendosi Sigismondo beffato, l’inimicizia fra i due scoppiò.
Avvenne qualche scontro fra i partigiani dell’uno e dell’altro; e spingendo Sigismondo armamenti, ne fu avvertito il Vicerè, che mandò a Sciacca Girolamo Statella qual capitano d’arme, per fare un’inchiesta e provvedere. Ma Sigismondo racconto gran numero di cavalieri e di armati, assoldata una banda di Albanesi, mosse sopra Sciacca la notte del 18 luglio 1519. Aggredita la casa dello Statella, lo uccisero, e uccisero la moglie; corsero poi ad assalire il castello che cadde il 22 dopo tre giorni di assalti, con grande spargimento di sangue. Giacomo Perollo riparatosi in un granaio, scoperto fu ucciso; il cadavere legato alla coda di un cavallo, trascinato per le vie, tra gli schiamazzi osceni dei vincitori e il pianto delle povere donne di Sciacca. Il castello e le case dei partigiani del Perollo vennero saccheggiate; la città parve un deserto...
Sigismondo cavalcava.
Era la notte del 18 luglio, calda e pensante. La luna splendeva purissima su tutta la campagna di Sciacca; i colli, i boschi, le pianure si distinguevano nettamente nella tenue luce azzurrognola; e giù, il mare aveva un color di acciaio brunito, orlato al lido di un sottile filo d’argento. I cavalli sollevavano nuvole di polvere; pure, nel fosco, tralucevano gli elmi e le corazze.
Sigismondo cavalcava innanzi a tutti; percorrendo le vie stesse dove avea ricevuto oltraggi, gli pareva che i sassi e i rovi ripetessero voci di scherno, onde cupo e silenzioso, stringeva le redini e pungeva i fianchi del cavallo. E il cavallo scoteva la nobile testa, drizzando gli orecchi e sbuffando. Così giunse a un trar d’archibuso delle mura di Sciacca; e si fermò.
La città era immersa nel sonno; su le torri le scolte sonnecchiavano, di là dalle mura si scorgeva il castello normanno, dritto e nero nella notte luminosa; più in là, fuori delle mura, il monastero delle Giummare.
La truppa si era fermata dietro il signor Sigismondo, e guardava anch’essa. Accursio Amato, Ferrante Lucchesi, Erasmo Loria, Calogero Calandrini, Cola Vasco, Gian Pietro Infontanetta, Pietro Giliberto e Cesare Imbrogna gli stavano intorno; in disparte Giorgio Comito, avventuriere albanese, con una banda selvaggia di greci-albanesi raccolti a Mezzoiuso, a Palazzo Adriano, a Contessa: dall’altro lato il signor Muchele Impugiades con una schiera di cavalli, assoldati dal vecchio don Giovanni.
Guardavano tutti la città, e ognuno sentiva nel petto una emozione indefinita e vaga; quel tale turbamento che precede l’accingersi a una impresa. Giorgio Comito però aspirava l’odore delle stragi e delle rapine; e il signor Sigismondo e i suoi compagni sentivano risonare nell’animo l’ora della vendetta.
Allora il conte Sigismondo divise le sue schiere in due: una comandata dal capitano Impugiades andò ad appostarsi al monastero delle Giummare, l’altra con lui scese dai colli fin presso alle mura di Sciacca e attese il giorno....
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