Don Giovanni Meli, se ne stava nel suo studio modestamente
arredato scartabellando un volume di medicina per una consulta che doveva fare.
Era medico.
In quel tempo abitava una casa dietro il coro della
Chiesa dell'Olivella, casa modesta, dove erano vissuti suo padre, sua madre,
due zie che erano morti, e l'avevano lasciato con due fratelli, Stefano e
Tommaso che si era fatto frate nei domenicani e una sorella pazza.
Giovanni era il dotto della famiglia, e il suo nome era
famoso in tutta la Sicilia, come quello di un gran poeta.
Era un uomo di circa 50 anni, di statura media, bruno di
volto, coi capelli quasi neri, con parecchi fili d'argento tirati indietro e
legati con un nastro, gli occhi nerissimi, vivaci; un'aria modesta, non
curante di sè, ma pulita. Vestiva di nero, alla guisa degli abati ed infatti lo
chiamavano «l'abate Meli». Ma non lo era, anzi non era neppure
chierico, nè aveva i quattro ordini e la tonsura, che prese l'ultimo anno di
sua vita per ottenere l'abazia che non ottenne. Era semplicemente il «dottor
Meli», e si vestiva da abate per avere libero accesso nei monasteri, dove non
si entrava, se non si apparteneva alla Chiesa, in un modo qualunque.
Di tanto in tanto in quella che scartabellava, guardava,
pensando, nella parete, di contro, ove era una libreria con pochi volumi di
medicina e molti di letteratura.
In quegli sguardi forse c'era un pensiero medico, per la
consulta che doveva farsi, o piuttosto c'era un'immagine poetica che egli
perseguiva, e che si frammezzava alla medicina?
Luigi Natoli
Nella foto: ricostruzione dello studio di Giovanni Meli con il mobilio originale presso il Museo di Storia Patria di Palermo
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