Fioravante e Rizzeri non è un romanzo postumo ed editato per la prima volta nel 1950, come fino ad oggi noto. E' stato pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 31 dicembre 1936, ed oggi pubblicato da I Buoni Cugini Editori in esatta copia alla versione originale; forse per il tema centrale del libro, l'opera dei pupi siciliani, particolarmente cara a Luigi Natoli, viene preceduto il 16 dicembre 1936 da una prefazione dello stesso autore, che di seguito riportiamo:
"Quanti hanno letto il
magnifico libro dei “Reali di Francia”?
Il trovarlo sui
muriccioli, stampato Dio sa come, o nelle case dei contadini e degli umili, che
se ne fanno assidua lettura, disdegna le anime gentili di comprarlo o di
guardarlo. Né si trova dai librai. Essi vi hanno bensì l’ultima “creazione”
moderna, che è morta prima di nascere, ma che rechi la cantafera di una qualche
signora, piuttosto un libro che ha novecento anni addosso, quanti ne ha la
“Divina Commedia”.
Perché i “Reali di
Francia”, nella veste che lor diede
Andrea da Barberino, rimontano al trecento, e sono citati fra i testi classici,
e costituiscono per noi la nazionalizzazione della materia epica francese, che
sarebbe per il nostro cantafavole italiano.
Che narrano i “Reali di
Francia” infatti?
Narrano la storia come
da Costantino imperatore romano derivasse per naturale discendenza tutti i
principi illustri che governarono la Francia da quell’epoca fino a Carlo Magno,
e con loro i valorosi che li accompagnarono e che ne furono il più bello
ornamento. Orlando, che è il maggiore eroe, e diventò l’immagine del valore,
della cortesia e della fede, che riassume il sentimento nazionale francese,
nasce per i “Reali” in Italia, e in una grotta in Sutri, dove lo partorì Berta
moglie di Milone conte di Anglante, e sorella di Carlo Magno, fuggendo l’ira di
costui. Così egli è italiano non soltanto per discendenza, ma anche per
nascita; italiano e cittadino romano. E l’orifiamma, la gloriosa insegna che si
trasmette da re a re, e che evidentemente è il vessillo, in cui Costantino fece
scrivere le famose parole “In hoc signo vinces”, e che forma il centro della
storia, è pur esso italiano.
Fioravante e Rizzeri
sono come Buovo d’Antona e come Orlando una parte dei “Reali”, e, come quelli,
la più popolare. Non è il caso di investigare se Andrea da Barberino abbia
attinto ad altri poemi, di cui era ricca la Marca Trivigiana e di cui si
servivano i cantafavole nelle piazze; chi ha la pazienza di leggere lo studio
che precede il “Fioravante”, nella Collezione dei testi di lingua, e gli studi
sulla Epopea francese e sull’ “Orlando” di Pietro Raina, e i maggiori scrittori
della storia letteraria d’Italia, può farlo; per noi il romanzo di Andrea da
Barberino è tutto; noi non facciamo dell’erudizione; prendiamo quello che con
tanta grazia e ingenuità narra lo scrittore toscano; e se di una cosa ci
maravigliamo, è appunto che esso non sia letto oggi più dei romanzi gialli.
Io lo lessi giovanotto e
ricordo che non potevo, se non difficilmente tralasciare la lettura; lo rilessi
ora, e provai il medesimo diletto al racconto delle avventure subite e
affrontate da Fioravante e da Rizzeri suo compagno e maestro, primo paladino di
Francia e uomo senza macchia e senza paura. Comincia Fioravante con una
monelleria, che lo spinge a lasciare il tetto paterno del re Fiorello; e di là
si partono le sue avventure. Liberazione di giovanette, uccisione di nemici
della fede, perdita di armatura rubatagli da un ladrone, prigioniero del re di
Scondia, innamoramento con Drusolina, il suo valore come incognito e via via
quello che gli succede da re, le persecuzioni di sua madre Biancadoro, che
voleva dargli moglie, le avventure di Drusolina, che sola abbandonata, dà alla
luce due gemelli, uno dei quali le viene rubato, e il duello dei due fratelli
che non si conoscono, tutto ciò frammezzato di tanti episodi forma il romanzo,
che spira un senso di giustizia e solleva gli animi nelle regioni del sogno. I
nomi delle contrade non si sa dove trovarli, le distanze di parecchie migliaia
di chilometri si percorrono in un tempo irrisorio, gli eserciti sono così
innumerevoli da superare il numero degli abitanti delle città che li armano...
Che importa? Siamo nelle sfere del sogno, nel quale ci piace navigare.
Qualche volta, passando
per una stradetta, sopra una porta, vedo pendere un cartellone con dipinti in
quadri alcuni episodi di quello che si rappresentava la sera nel teatro delle
marionette; e vi leggevo i nomi di Fioravante e di Rizzeri. La storia di Andrea
da Barberino si era rifugiata lì: Fioravante e Rizzeri erano tramutati in teste
di legno, come tutti gli altri campioni del valore e della fede; ma anche in
quelle vesti che destano in noi un sapore di cose nuove. In un quadro v’erano
due guerrieri, che abbassavano le armi e un leone fra loro in atto di
separarli; in un altro, una folla di popolo e una regina condotta al rogo: i
cavalieri erano vestiti con le armature del cinquecento, con un salto di mille
e duecento anni. Non importa nulla. Pel popolo abituato a quel teatro e pel puparo,
ossia per l’ “oprante” tutte queste differenze sparivano nell’antico, in cui
tutto accadeva senza distinzione di tempo, di luoghi, di costumi: ma l’onda di
poesia che scaturiva anche da quelle piccole teste di legno era possente e
riecheggiava nelle anime semplici degli spettatori.
Ora anche adesso questo
giornale si ispira alle avventure di Fioravante, e lo riproduce attraverso un
“oprante”; e intreccia l’antico con il moderno; e le avventure di Lillì fanno
contrasto con quelle di Drusolina, e quell’onesto puparo sembra foggiato con
l’anima dei suoi pupi. C’è riuscito? È quello che vedrà il lettore. Ma se non è
immodestia dirlo, coloro che mi hanno seguito attraverso i diciotto o venti
romanzi, da me pubblicati su questo giornale, sanno per prova che un certo
interesse so trovarlo".
Maurus o Willam Galt
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