Altri colpi vicinissimi le squarciarono l’udito: ella vide dinanzi ai suoi occhi il fiammeggiar micidiale, e le parve di esser colpita; ma quasi al tempo stesso la curiosità istintiva di conoscere il pericolo la spinse a guardar fuori dallo sportello aperto.
Vide allora il cavaliere dibattersi fra le braccia di due robusti banditi, armati di pugnali; e di altri banditi circondare la lettiga; accanto alla quale non vi erano più i lettighieri.
Un bandito, che all’aspetto meno miserabile pareva un capo, avvicinatosi a lei, e presala per un braccio, le impose:
- Scendi!...
E aggiunse una mala parola ingiuriosa, che fece salire una fiamma di rossore sul volto della donna.
Ella dovette scendere, tremando, presa da nuovi e indefiniti terrori di cose ignote che non osava immaginare. Vide più in là, rantolanti nel proprio sangue, rovesciati per terra, un campiere e il suo cavallo; più oltre immobile nella rigidità della morte un altro campiere; uno dei lettighieri prostrato con la faccia nella polvere, guardato a vista da un bandito, che gli teneva un piede sul dorso; l’altro era rovesciato esangue sotto le zampe delle due mule. Più indietro, in disparte, un uomo a cavallo guardava in silenzio.
- Fuori i denari e le gioie! – gridavano i banditi.
Il cavaliere urlava:
- Assassini! vili!
Cercava di liberarsi dai banditi, che gli toglievano gli orologi, la borsetta di seta a margheritine; gli strappavano i vestiti, percotendolo. Egli aveva tirato due colpi con le sue pistole, senza coglierne alcuno; l’avevano disarmato, e l’avrebbero ammazzato, se un fischio acuto e singolare non li avesse distolti da quella ferocia. Essi atterrarono il cavaliere, lo legarono, lo imbavagliarono. La donna svenne.
Allora l’uomo a cavallo, che fino allora era rimasto in disparte si avvicinò; i banditi si scostarono rispettosamente, mostrandogli il bottino raccolto; ma egli, senza neppure dare un’occhiata all’oro luccicante nell’ultima luce crepuscolare, si fermò a guardare la dama svenuta. Poi disse alcune parole sottovoce, e allora due banditi sollevarono la giovane donna, e la adagiarono dentro la lettiga, come avrebbero fatto d’una bambina.
Il cavaliere, in terra, impotente a moversi, a gridare, agitandosi e sbuffando, seguiva con lo sguardo i banditi, non sapendo che cosa volessero fare, e sospettando che quella gentilezza o generosità brigantesca celasse qualche tranello. Guardava l’uomo a cavallo, che evidentemente era il capo, aspettando che si voltasse per poterlo riconoscere in seguito, se lo lasciavano vivo, come sperava. Alla taglia svelta, al garbo col quale stava in arcione, al gesto breve, imperioso, non sembrava persona volgare, se bene vestisse alla maniera della gente di campagna, con la giacchetta turchina, corta alla vita, e la berretta nera piegata sull’orecchio.
Quando la donna fu posta dentro la lettiga, il capo dei banditi si voltò. Il cavaliere aguzzò lo sguardo per fissarne bene le fattezze; ma con suo grande stupore vide che il viso del bandito era coperto da una mascheretta nera.
Il bandito gli si avvicinò, lo guardò e un sorriso gli errò sulla bocca sottile e ironica:
- Oh!... Il cavaliere di Santa Croce!... Mi rincresce, signor cavaliere, che quei villani vi abbiano disturbato e abbiano disturbato la nobile dama che era in vostra compagnia... la duchessa di Canavilla se non sbaglio...
Il cavaliere di Santa Croce passava dalla meraviglia alla collera; impotente a moversi, a parlare, si rodeva dentro; avrebbe voluto da quel mento e da quella bocca che soli rimanevano scoperti, ricostruire un volto noto; cercando di ritrovare in quelli un qualche segno particolare, una nota, una traccia che avesse potuto metterlo sulla via della ricostruzione. Invano! Fermò l’attenzione sulla voce. Veramente la voce con cui gli parlava quel bandito misterioso era alterata; ma il cavaliere di Santa Croce si forzava di riconoscere il timbro naturale; e adunava nel suo cervello tutte le memorie auditive, per ritrovare una voce che rassomigliasse a quella che egli riteneva fosse la voce naturale del bandito. Invano!
Ah potersi liberare da quei lacci, balzare in piedi, strappare quella maschera, guardare negli occhi quel bandito, che aveva le mani piccole e aristocratiche e la taglia elegante!
Il cavaliere di Santa Croce era un uomo di un coraggio straordinario; sotto l’aspetto di un cavaliere servente raffinato e dedicato alle frivolezze del gran mondo, celava un cuore audace e talvolta anche inaccessibile alla prudenza più elementare. La vista dei banditi non lo aveva sgomentato; li aveva affrontati, certo di soccombere; ma sarebbe stato al postutto un bel gesto morire valorosamente come un eroico cavaliere antico, sotto gli occhi e in difesa della dama amata.
Il suo grande dolore era appunto di esser così legato, impotente ad agire. Il dolore gli gonfiava il petto urlando, come il vento impetuoso dentro le vele di una nave.
La dama giaceva ancora svenuta sui cuscini della lettiga; ma nessuno avrebbe potuto giurare che fosse veramente ancora priva di sensi. Forse un occhio scettico, come attraverso i buchi della maschera, pareva quello del capo dei banditi che la contemplava, avrebbe potuto osservare che la immobilità del corpo e la ritmica tranquillità del respiro non eran quelle di una persona che avesse smarrito i sentimenti.
A un cenno del misterioso bandito la lettiga partì, svoltando l’angolo del Passo di Renda, alla volta di Monreale.
Luigi Natoli: La principessa ladra. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento. L'opera è la ricostruzione del romanzo originale pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1930.
Pagine 756 - Prezzo di copertina € 24,00
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