La notte precipitava; dietro capo Zafferano il cielo appariva meno tenebroso, quando i banditi cominciarono a scendere dalla china del monte Caputo.
Per far più presto, e più agevolmente, si misero in sei a trasportare il cavaliere. La distanza non era grande; in mezz’ora essi giunsero dinanzi la casa di Ciancimino. Era ancor troppo presto perché i contadini si destassero all’usato lavoro; cosicchè i banditi poterono compiere il loro incarico senza essere veduti da alcuno.
Adagiato il cavaliere dietro la porta, essi si sparpagliarono e per vie diverse s’avviarono verso il Castellaccio.
Capitan Ciancimino aveva seguito con lo sguardo il cavaliere, l’aveva veduto entrare nel Castellaccio, e aveva aspettato l’esito di quell’avventura. Aspetta, aspetta; il tempo scorreva; il cavaliere non ritornava.
- Che diavolo gli sarà accaduto?
Nessun grido, nessun rumore di lotta era giunto al suo orecchio e a quello dei suoi compagni; e questo gli pareva segno certo che non avesse avuto alcun incontro. Ma intanto il ritardo cominciava a impensierirlo.
Il vecchio edificio sorgeva dinanzi a lui, con la sua massa bruna, silenziosa, nella profonda quiete delle cose morte e abbandonate. Nessun indizio, nessun segno o rumore di esseri viventi; e pure vi doveva almeno essere un uomo.
Quando gli parve d’aver aspettato più che fosse necessario, capitan Ciancimino disse fra sè:
- Diavolo! che gli sia accaduta qualche disgrazia?
Guardò i compagni: alcuni, nell’immobilità in cui giacevano si erano addormentati e russavano; altri sbadigliavano. Uno gli disse:
- Don Carlo, che vogliamo passare qui tutta la notte, senza conchiudere nulla? Scommetto che il cavaliere s’è sognato tutta quella storia...
Il capitano allora chiamò due compagni:
- Andate fino alla breccia, e chiamate il cavaliere...
Ma quelli fecero una smorfia espressiva: perché non ci andava il signor capitano? Nessuno dei compagni parve disposto ad avventurarsi tra quelle rovine, dove si sapeva e si credeva che abitassero spiriti, e fossero incantesimi.
Il cavaliere era caduto certamente in potere degli spiriti. Ma il capitano non volle dare esempio di debolezza. Si armò di tutto il suo coraggio, e rampognò la viltà dei suoi compagni:
- Siete delle vere carogne! Andrò a vedere io!
Con lo schioppo sul braccio, la pistola alla cintola, si avviò verso il Castellaccio; tre o quattro, vergognandosi di lasciarlo andar solo, lo seguirono.
- Avete torto, don Carlo! Sapete bene che quando si tratta di rischiar la pelle contro gente in carne, pelle e ossa, non indietreggiamo... Ma contro gli spiriti, non c’è fucili e pistole che valgano!...
Giunsero dinanzi alla breccia, non senza commozione. Un miagolìo e un soffiar di gufi e di civette risonò sinistro al loro orecchio.
Il capitano chiamò a voce alta:
- Eccellenza! eccellenza!
Nessuno rispose.
- Signor cavaliere! signor cavaliere!...
Lo stesso silenzio. La voce risonava nella vacuità triste e orrida delle rovine, come una voce d’altro mondo; e il capitano e i suoi uomini, ne provavano una sensazione strana, un rimescolìo nel sangue e nei capelli. Varcarono nondimeno la soglia dell’immane apertura, e si fermarono dinanzi alla vasta sala, chiamandolo di nuovo:
- Signor cavaliere!... Eccellenza!
L’eco ripeté con una voce più chioccia, triste, dolorosa:
- Cavaliere... eccellenza...
Le leggende di pavimenti che s’aprivano e inghiottivano gli audaci o gl’incauti; di grotte che si chiudevano e imprigionavano eternamente coloro che osavano violarne la soglia temuta; tutto il mondo straordinario e terribile delle superstizioni pluteniche, turbava e offuscava quelle menti.
Oltrepassarono la breccia, con una grande commozione, temendo ognuno che si richiudesse per incanto; e quando ne furono fuori, si sentirono quasi liberati da un grande pericolo e respirarono. Ritornarono a riprendere i cavalli.
Il lettighiere dormiva; i cavalli sonnecchiavano. Rimontarono in sella. Il lettighiere ridestandosi, rimase stupito al non vedere il cavaliere di Santa Croce. Ne domandò.
- Se n’è andato! – rispose asciutto asciutto il capitano.
Era giorno quando rientrarono in Monreale. Il capitano si accorse con suo stupore, di un gran crocchio di gente fermo dinanzi la porta della sua casa; non sapendo che cosa fosse, e impensierito, spronò il cavallo; il crocchio si aperse.
Capitan Ciancimino balzò di sella, e mandò un grido di stupore e di spavento. Aveva riconosciuto il cavaliere di Santa Croce, che giaceva ancora immobile, immerso nel profondo sonno, sulla soglia dell’uscio...
Luigi Natoli: La principessa ladra. Romanzo storico siciliano.
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