Una grande lettiga di cuoio nero sormontata d’un fiocco rosso, dondolandosi sul dorso di due robuste mule, che al ritmo del passo scotevano le sonagliere, percorreva la strada, che, salendo pei monti, da Borgetto, conduce a Monreale. Presso l’altura di Renda la strada, qualche volta compresa fra lievi poggi or erbosi or nudi, tal’altra aperta da un lato, godeva in quel punto una trista rinomanza; offrendo un campo strategico ai cavalieri delle strade maestre, o, come erano chiamati nelle sentenze «scorridori di campagne». Il passo di Renda era uno dei più pericolosi ad attraversare. La topografia, la solitudine, la impossibilità di aver soccorsi, la trista rinomanza, le leggende che vi correvano intorno, spaventavano i viaggiatori, ricchi o poveri, che eran costretti ad attraversarlo.
Pure il tratto fra Palermo e Partinico era abbastanza frequentato, pel traffico dei vini: e una elementare pratica di governo avrebbe dovuto consigliare di tenervi quasi in permanenza una compagnia d’arme, quella specialmente della vicina Monreale; ma le compagnie d’armi ordinariamente, e per un’abitudine che sembra connaturata in tutte le polizie, non si risolvevano a galoppare per le strade maestre, che quando le aggressioni e le rapine erano consumate, e le bande dei ladri sparite.
La lettiga saliva al passo per guadagnare l’altura. Sebbene i lettighieri non fossero vestiti in livrea, non era difficile scorgere che quella era una lettiga signorile. Bastavano a indicarlo quattro «campieri» armati di schioppo, che seguivano a cavallo.
I due lettighieri, non molto sicuri, lanciavano delle occhiate furtive a destra e a sinistra temendo di veder da un momento all’altro, da qualche alto cespuglio o di dietro un grosso macigno, balzare i banditi.
Anche i «campieri» guardavano intorno tenendo gli schioppi sul braccio, come per trovarsi pronti a respingere un assalto; ma la strada appariva solitaria, e non un segno di persona viva; non quell’ignoto non so che rivelatore della vita. Le rocce, nude, aride, si distendevano per la china, uniformi e desolate, sotto il sole che andava declinando alle loro spalle.Era la metà di dicembre del 1797; un dicembre asciutto, senza nubi, simile a una anticipazione della primavera. Il tramonto sfolgorava in tutta la sua ardente bellezza. La luce rossa come d’un incendio colorava le cose; ma le ombre sembravano d’un grigio scolorito e freddo.
Forse per ammirare la bellezza del tramonto o per guardare intorno, una graziosa testa avvolta in una cuffia si affacciò fuori dallo sportello, e dopo un minuto rientrò. Intorno era un alto silenzio, interrotto dal calpestìo di sei animali, dal tintinnìo dei sonagli e dal tremolìo dei vetri; suoni e rumori che si confondevano tutti insieme in un rumor solo, che pareva infastidisse la graziosa signora che si era affacciata allo sportello. Era una giovane di poco più che venti anni, non perfettamente bella, ma avvenente, col suo nasetto petulante, gli occhi grandi e neri, il mento ovale, un grosso neo su la rosea guancia, quasi ad un pollice dell’angolo della bocca rosea e appetitosa come una fragola. Un’aria un po’ impertinente e affascinante.
I capelli pettinati alti, con la «montera» come dicevano i parrucchieri del tempo, e coi lunghi riccioli spioventi dalla tempia intorno al collo, incipriati accuratamente, eran coperti di un’ampia cuffia ornata di trine, e legata sotto il mento da larghe bende, che incorniciavano l’ovale del volto. Il corpo era ravvolto in un largo mantello di panno color cuoio, con dei baveri sovrapposti l’uno all’altro, le mani inguantate trattenevano sul petto i lembi del mantello, come se ella temesse il freddo. Ma freddo non ce n’era; e nella lettiga ci si stava bene. Una pelle di capra nera teneva caldi i piedini irrequieti, e i vetri chiusi non lasciavano penetrare un filo d’aria.
La giovane donna non era sola. Sul sedile dinnanzi a lei sedeva un giovane signore, in tenuta da viaggio; con grandi stivali alla scudiera tirati fino alla coscia; un pastrano a baveri, il nicchio o cappello a tre punte disadorno di piume e di galloni. Era un giovane nè bello nè brutto; piuttosto simpatico; bruno di carnagione, un po’ femineo nel viso accuratamente sbarbato. Accanto teneva due pistole e lo spadino dalla impugnatura semplice di ottone dorato.
Che fossero signori si vedeva bene alla finezza dell’aspetto e dei modi...
Luigi Natoli: La principessa ladra. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento. L'opera è la fedele ricostruzione del romanzo originale pubblicato in dispense con la casa editrice La Gutemberg nel 1930.
Pagine 756 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
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