Questo stradale era in quei tempi una delle passeggiate favorite dai cittadini di Palermo, specie nelle ore vespertine e nelle prime ore notturne, nelle quali le ombre avvolgevano di mistero i convegni degli innamorati. Nel pomeriggio la strada era percorsa da portantine e carrozze rilucenti di dorature, sormontate da grandi pennacchi svolazzanti, e da una parte e dall’altra da domestici borghesi e popolani, che non potendo concedersi il lusso di esser trasportati dai piedi altrui, si compiacevano di riconoscere e ammirare gli equipaggi, che fragorosamente andavano e venivano fra porta Nuova e la fontana dei Cappuccini. I giovani signori preferivano andare a cavallo, caracollando fra le carrozze e le portantine, per far mostra della loro abilità e sfoggiare la ricchezza del loro abbigliamento.
Le carrozze di quel tempo erano ben diverse da quelle odierne così svelte e leggere; eran pesanti macchine, sorrette da cinghie di cuoio sopra ruote tozze e massiccie; veri monumenti ambulanti, avevan nondimeno qualcosa di magnifico e di imponente. Eran tirate da quattro, sei, talvolta anche otto cavalli, tutti d’un manto, attaccati a due a due, con bardature e finimenti ricchissimi, con pennacchi dai vivaci colori sulla testa. Le qualità e i mezzi del signore si rivelavano nella ricchezza delle scolture, nella bontà delle decorazioni pittoresche, spesso affidate ad artisti di grido, nella profusione dell’oro. Uno, quattro o cinque pennacchi sormontavano la cupola; tende di seta con frange d’oro pendevano nell’interno, tappezzato di cuoio o di velluto. Il cocchiere troneggiava e veramente la cassetta su cui sedeva, coperta di una gualdrappa di velluto, con le armi della casa d’argento e d’oro massiccio cesellato, pareva un trono, o un altare; ed egli un nume, nella sua ricca livrea, e nel gesto solenne col quale teneva le redini. Due o tre lacchè in livree non meno ricche, stavano ritti dietro la cupola della carrozza, tenendosi a delle maniglie; e dinanzi ai cavalli, e ai fianchi della carrozza, andavano i volanti trotterellando, in pugno le torce, che all’ave avrebbero acceso per rischiar la strada al padrone, costretti a gareggiar col passo dei cavalli, a scansar cento volte l’urto di altri volanti e di altre carrozze, o le zampe dei cavalli caracollanti.
Nè meno ricche eran le portantine, graziosi ninnoli al paragone delle carrozze, di seta, d’oro, di pitture, trasportate da servi in magnifiche livree, circondate anch’esse da volanti. Fra esse se ne vedeva qualcuna più semplice, anzi sobria; o era da nolo, o apparteneva a qualche medico o prete.
Una passeggiata in quel principio di secolo aveva dunque un aspetto di magnificenza e di ricchezza, e una varietà di colori e di luccichii, di cui difficilmente oggi possiamo farci un’idea.
In mezzo a questa magnificenza s’insinuava talvolta qualche carretto, o qualche “retina” di muli carichi o di sacchi di frumento o di otri, che attardatisi per la strada, giungevano in Palermo sul tramonto; e si fermavano dinanzi una taverna. I lacchè, insolenti e soverchiatori, ributtavano da una parte carri e muli, quando non facevano in tempo a lasciar libero il passo; nè si davan pensiero se qualche sacco andava per terra, e il grano si spandeva.
Appunto nell’ora del passeggio, e quando più risplendeva la pompa lussureggiante dei signori, un pomeriggio di settembre del 1713 scendeva dalla strada di Monreale verso Palermo un giovane cavaliere, il cui assetto stonava maledettamente con quell’apparato di ricchezza, e più con l’espressione del volto.
Non era infatti possibile immaginare nulla di più grottesco e di più caratteristico. Un cavallo da contadino, dal collo magro, dalle zampe nodose, i fianchi magri e ossuti, la criniera rada e ispida, aveva avuto l’onore di una sella guerresca con gli arcioni alti, le staffe larghe, le fondine delle pistole istoriate di cuoio a colori, fermata sopra una gualdrappa di velluto rosso cupo ricamata e frangiata; ma la povera bestia non pareva compresa dell’onore toccatole, e andava con un passo da somaro, scotendo la testa umile e dimessa. Su questo cavallo torreggiava un giovane robusto, di bello e fiero aspetto, vestito di una specie di casacca, il cui taglio ricordava forse i suoi avi con stivali di cuoio alti fino alla coscia, e in capo un cappellaccio contadinesco, ornato di una piuma inverosimile. Il mantello di panno azzurro cupo, rotolato e ripiegato, gli giaceva attraverso l’arcione; e su di esso poggiava un vecchio archibugio e un sacchetto. Un’antica spada, lunga, dall’elsa larga e traforata, gli pendeva da fianco, battendo sulla sella ritmicamente; e i sacchetti per le polveri e per le palle gli pendevano dietro le reni. Non aveva la parrucca dalle lunghe anella ricciolute; ma una folta capigliatura bruna piovente a ciocche ondeggianti e incolte sulle tempie e sulle spalle. Tra la povertà e la stranezza dell’abbigliamento e la nobiltà delle fattezze v’era un contrasto non meno violento e comico di quello che fosse tra la meschinità apocalittica del cavallo e la bordatura signorile e guerresca...
Luigi Natoli: I Beati Paoli. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine settecento.
L'opera è la ricostruzione del romanzo originale pubblicato dall'autore mentre era ancora in vita, in dispense, dalla casa editrice La Gutemberg nel 1931.
Pagine 938 - Prezzo di copertina € 25,00
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