lunedì 16 maggio 2022

Luigi Natoli: L'artista palermitano Giacomo Serpotta nel romanzo de I Beati Paoli. Romazo storico siciliano.


Quella stessa mattina, all’ora stessa in cui padre Bonaventura andava dal duca della Motta, il pittore don Vin­cenzo Bongiovanni se ne stava nel suo studio, appollaiato al sommo di una scaletta di legno portatile, dinanzi a un’ampia tela segnata a carbone, sulla quale stendeva larghe pennellate azzurre, che, a giudicare da un boz­zetto infisso sopra un asse accanto al­la tela, e che rappresentava il sog­getto della grandissima tela, dovevano diventare un cielo qua e là sereno, offuscato altrove da folte nubi, salienti della terra.
Sotto la scaletta, una graziosa fan­ciulla, col capo coperto di uno strano berrettino, attendeva a stemperare dei colori, dentro vasetti, con la sicurez­za di chi ha lunga consuetudine.
Lo studio era vasto, un po’ disor­dinato, come tutti gli studi dei pit­tori, con le pareti piene di disegni, di schizzi, di bozzetti, quali dipinti, quali a sanguigna, quali segnati col carbone, a grossi tratti, che talvolta si sovrapponevano, s’intersecavano, si confondevano. Attaccati a chiodi, rit­ti su mensole, biancheggiavano sul fon­do grigio delle pareti i gessi grandi e piccoli; calchi e riproduzioni di teste e di statue antiche e del rinascimento; e qua e là armi e pezzi di stoffe e ta­volozze imbrattate di colori, uno spec­chio dalla cornice dorata sopra una mensola dai piedi curvi a grandi vo­lute.
Un tavolo pareva gemesse sotto il peso di cartelle e disegni e stampe; e altre cartelle sopra seggioloni e sga­belli e per terra. In un angolo, il più discreto di ombre e di raccoglimento, ardeva dinanzi a una immagine sacra una lampadina ad olio. Sotto la gran­de finestra, donde entrava la luce tem­perata, su uno di quei canapè impa­gliati, dalla spalliera dipinta, stava se­duto un uomo maturo, asciutto di mem­bra, con gli occhi vivacissimi, che te­nendo sul ventre una chitarra vi la­sciava sbadatamente or sì or no, scor­rere leggermente il pollice traendone vibrazioni dolci e quasi sospiro­se come gemiti: e un altro più vec­chietto annusava tabacco, voluttuosa­mente, socchiudendo gli occhi.
Erano anch’essi due artisti, noti, an­zi celebri in Palermo, il primo dei qua­li, quello che pizzicava la chitarra, do­veva salire, qualche secolo dopo, ai fastigi della gloria, si chiamava ma­stro Giacomo Serpotta, e aveva in quel tempo giocondato più chiese e cappelle dei suoi maravigliosi e insuperabili putti; l’altro era don Anto­nio Grano, pittore come il Bon­giovanni.
- Oggi come oggi – diceva annu­sando – non ho proprio voglia di tirare una linea. Fa troppo caldo... Me ne andrei a Maredolce o allo scoglio di Mustazzola...
Successe un momento di silenzio. Giacomo Serpotta accennò un arpeg­gio, poi disse al Grano:
- E il vostro quadrone a che pun­to è?
- Va innanzi. Fra quindici, mettia­mo anche fra venti giorni, potrò consegnarlo... Non sono contento del­la testa del duca di Savoia...
Nuovamente si fece silenzio, nel quale risonarono gli arpeggi dell’insi­gne scultore. Poi il Grano si alzò e tolse commiato. Pareva infastidito. La giovanetta seguitava a sciogliere le tin­te nei vasetti, provandone qualcuna so­pra un pezzo di carta. Giacomo Ser­potta la guardava socchiudendo gli occhi, seguendone le graziose movenze.
- Ma sapete – disse – che vo’ modellare la mia statua della Scienza per l’Oratorio di Santa Cita, sulla vo­stra figliuola?
La fanciulla si voltò arrossendo e sorridendo. Il grande artista in quei tempi aveva incominciato la decora­zione dell’Oratorio di Santa Cita, quel meraviglioso saggio della fantasia e dell’arte sua unica e inimitabile. Gia­como Serpotta non aveva ancora ses­sant’anni, era nel pieno rigoglio del­l’arte, e aveva popolato chiese e ora­torii di quei suoi putti giocondi e originalissimi, e di quelle sue figure sim­boliche, eleganti e piene di grazia, del­le quali egli stesso non conosceva for­se l’altissimo valore. Figlio dell’arte – il padre era stato scultore o mar­moraro, come si diceva – dopo aver prodotto qualche ardita opera di getto, e fornito disegni ad altri scultori – s’era gittato alla decorazione con lo stucco, trasportando quest’arte, fino allora umi­le, ad altezza non mai raggiunta, nè prima, nè dopo di lui. Le movenze della fanciulla, graziose e nel tempo stesso composte e non senza una cer­ta nobiltà, gli suggerivano forse qual­che motivo per la sua statua.
Giacomo Serpotta, questo umile fi­glio dell’arte, e pur così alto inten­ditore dell’eleganza e della grazia femminea, aveva una speciale predilezio­ne per la fanciulla, che aveva, si può dire, visto nascere. Adesso, nel ve­derla così seria, e così intenta, e for­se pensosa, aveva repentinamente ve­duto in lei la forma di un suo oscuro concetto, e se ne era dilettato.
- Come mai – disse il Bongio­vanni, senza staccar gli occhi dalla tela – come mai non v’hanno affidato la direzione degli apparati, e una co­sa che ancora non mi persuade, un arco di trionfo!...
Giacomo Serpotta alzò le spalle con noncuranza.
- C’è tanti scultori e architetti; – disse – volete che pensino a uno stuccatore?
Allora Pellegra si voltò vivamente, e, venendo dinanzi al grande artista, esclamò: 
- E dove lo trovano in tutta la Sicilia uno scultore che vi stia a  paro?
Giacomo sorrise.
- Oh! c’è il Vitagliano...
- Ah! sì, il Vitagliano, che si fa dare da voi i disegni delle sue sta­tue... e qualche volta anche i model­li!... Ah! ah!... 
(Nella foto: l'oratorio di Santa Cita in Palermo)


Luigi Natoli: I Beati Paoli. Grande romanzo storico siciliano. 
Nell'unica versione originale pubblicata dall'autore con la casa editrice La Gutemberg nel 1931. 
Pagine 938 - Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
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