mercoledì 18 maggio 2022

Luigi Natoli: I Beati Paoli apparivano ed erano nel fatto una forza di reazione... Tratto da: I Beati Paoli.

Rifecero la strada senza parlare; Andrea era come sopraffatto da quello le aveva veduto e udito: si domandava per quale ragione quel tribunale misterio­so e terribile si interessasse delle usur­pazioni del duca della Motta; certo non era per vendicar la morte di al­cuno; e allora? e chi erano quegli uo­mini dei quali tutti parlavano, che nessuno conosceva, e che pure incu­tevano tanto terrore nella città e, spesso rendevano titubante e timido il ma­gistrato sul punto di sentenziare?
La setta che in quegli anni diffon­deva in Palermo e anche nel Val di Mazara il terrore dei suoi atti di giu­stizia aveva larghe ramificazioni che erano soltanto note al supremo tribu­nale che la dirigeva; gli affiliati igno­ravano quanti erano; ognuno di essi non conosceva che il compagno dal quale era stato affiliato; e se talvolta era ammesso al cospetto dei capi, v’era condotto con mistero, bendato, e non vedeva dinanzi a sè che uomini mascherati. Ne avveniva che gli affiliati erano sorvegliati dai capi, senza saperlo, e senza potersene guardare; ciò che li rendeva muti, prudenti, fedeli, pronti anche al sacrificio.
Ai poveri, ai deboli la setta si pre­sentava come un formidabile protettore; e ciò le procacciava simpatie e quella inconsapevole e pur potentissi­ma solidarietà, per la quale gli affi­liati non si sentivano mai soli, e po­tevano contare nel soccorso e nella protezione del popolo e della piccola borghesia.
I padroni dello Stato erano i signo­ri e il clero, perchè essi possedevano la ricchezza; tutte le cariche erano in poter loro, gli uffici più delicati non eran concessi che a nobili, i quali naturalmente, per spirito di casta, si aiutavano, si sorreggevano, si proteg­gevano. Qualunque violenza commet­tessero, erano sicuri della impunità; le condanne più gravi si limitavano al­l’esilio o al confine in qualche nobile castello, o in qualche castello reale, do­ve erano alloggiati e serviti con agio, e godevano della più ampia li­bertà. Ma il popolo e la piccola bor­ghesia non avevano che la miseria e la servitù, e la legge sfolgorava i più fe­roci castighi che l’insano rigore di quei tempi le poneva in mano, non soltan­to per punire colpe reali, ma anche per lasciar compiere violenze e ingiustizie.
I Beati Paoli apparivano ed erano nel fatto come una forza di reazio­ne, moderatrice: essi insorgevano per difendere, proteggere i deboli, impedire le ingiustizie e le violenze: era­no uno stato dentro lo stato, formi­dabile perchè occulto; terribile perchè giudicava senza appello, puniva senza pietà, colpiva senza fallire. E nessuno conosceva i suoi giudici e gli esecu­tori di giustizia. Essi parevano appar­tenere al mito più che alla realtà. Era­n dappertutto, udivan tutto, sapeva­n tutto; e nessuno sapeva dove fos­sero, dove s’adunassero. L’esercizio del loro ufficio di tutori e di vendicatori si palesava per mezzo di moniti, di let­tere, che capitavano misteriosamente.
L’uomo al quale giungevano, sapeva di aver sospesa sul capo una condan­na di morte.
Come erano sorti?... donde?
Mistero. Avevano avuto degli ante­nati: quei terribili “vendicosi”, che ai tempi di Arrigo VI e di Federico II erano diffusi pel regno: e il cui capo era un signore, Adinolfo di Pontecorvo; i proseliti migliaia; il loro istituto vendicar le violenze patite dai deboli. 
Ma nessuno seppe mai chi fosse il capo dei Beati Paoli; né potè mai dire se appartenesse a questa o a quell’altra classe o casta. Nessun processo potè mai più di un quarto di secolo diradare il mistero. Qualche volta un uomo saliva sul patibolo, accusato di delitto di sangue; si diceva, si riteneva per fermo che fosse un affi­liato; ma nè la tortura nè la vista del patibolo poterono strappargli il se­greto. La giustizia troncava qualche ramo; l’albero rimaneva e gettava nuo­vi germogli.
Nel 1713 la setta era nel suo pie­no vigore; pareva infervorata di quella che pareva opera di giustizia, e la città ne era come sopraffatta. Il go­verno viceregio, la corte capitaniale, il tribunale del Sant’Offizio si erano confederati, mettendo da parte i litigi consueti per preminenze e prerogative, per estirpare la setta; ma invano. I più arditi segugi nel punto in cui pa­reva loro di esser sulle tracce, ca­devano misteriosamente.
Questa era la società segreta nella quale Andrea s’era imbattuto; questo il tribunale cui chiedeva vendetta: e nella sua immaginazione, attraverso la maschera ingrandiva quei personaggi, dando loro sembianze quasi straordina­rie. Se egli avesse potuto, nascosto, vedere in volto quegli uomini terribili, che, lui uscito, si tolsero le maschere, si sarebbe stupito nel vedere delle fi­sionomie insignificanti e comuni.
L’uomo, che seduto a canto del ca­po, aveva rivolto qualche domanda ad Andrea era don Girolamo Ammirata.


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