venerdì 12 marzo 2021

Luigi Natoli: La rivolta di Caccamo e le gesta di Vitale. Tratto da: Il Paggio della regina Bianca. Romanzo storico siciliano.

Quando, decapitato Andrea, i beni furono confiscati, e Caccamo e gli armenti del conte di Modica furono dati da re Martino a messer Galdo di Queralt, uno degli avventurieri catalani venuti col re, Caccamo si ribellò, assalì il castello, cacciò via gli ufficiali del nuovo conte e, stretta poi d’assedio, si difese gagliardamente. Il re fu costretto ad accogliere il voto dei caccamesi e a decretare Caccamo città regia, e che mai potesse venire alienata e concessa ad altro barone. Ma nove mesi dopo, cioè sul finire del 1396, fu data in feudo a don Giaimo de Prades, parente del re e grande ammiraglio del regno.
Caccamo insorse una seconda volta. Don Giaimo de Prades ebbe dal re l’incarico di sottometterla. L’assedio durò a lungo; la città stremata di forze, dovette sottomettersi e domandar perdono.
I più ostinati tra’ ribelli, esclusi dal perdono regio, giudicati fuor bando, si gittarono fra’ monti per salvar la vita, vivendo di imposizioni e di scorrerie; razziando gli armamenti in specie dei baroni di origine catalana, dando così al loro brigantaggio un colore politico, che cattivava loro le simpatie delle popolazioni.
Le rivalità fra i baroni, la necessità di avere sottomano uomini risoluti per difendersi da aggressioni o per farne, dava qua e là ricovero a quei banditi, e col ricovero la sicurezza dell’impunità.
Coloro che pativano vendette o rappresaglie se ne lamentavano col re: il re scriveva ai capitani delle città regie, impartiva ordini ai baroni, prometteva premi; ma i banditi se ne ridevano. I capitani delle città non avevano milizie; i baiuli e i giurati, – che è come dire i magistrati municipali – non avevano da parte loro alcuna ragione di perseguitare quei banditi, che, pigliandosela coi baroni, rendevano assai spesso, indirettamente, qualche buon servigio alle città.
Così essi vivevano sicuri. Non mancava loro dove dormire la notte, né dove trovare agnelli e maiali e vino e pane, e quanto potesse loro occorrere. I boschi per altro abbondavano di selvaggina.
Una mattina quegli uomini, riposando all’ombra delle querce e degli elci del Godrano, videro un uomo a cavallo, d’aspetto feroce, con le vesti a brandelli. Qualcuno lo riconobbe.
-  È Vitale! È Vitale!
L’uomo chiamato con questo nome, il quale non si era accorto di quella comitiva, alzò il capo stupefatto e sospettoso e imbrandì la picca per difendersi.
- Non mi riconoscete, Vitale – domandò chi l’aveva chiamato, che, alzandosi, gli moveva incontro con le braccia aperte e una espressione di gioia.
Vitale, ancora stupito, lo guardò bene, e alla sua volta gridò:
- Biagio?... Biagio Voltore?...
Agli abbracci, seguirono le spiegazioni. Gli altri si erano avvicinati; essi conoscevano di nome Vitale, che era stato lo scudiero devoto di messer Andrea.
Sfuggito all’arresto e alla morte, errava anche lui pei boschi come una selvaggina inseguita.
Quel giorno egli diventò il capo di quella banda, alla quale diede un nuovo indirizzo. Compiere ogni genere di rappresaglie contro quel nuovo baronaggio catalano venuto coi due Martini in Sicilia, e che a poco a poco s’andava sostituendo agli antichi baroni. Razzie di bestiame, incendi di ricolti, taglie. Quando occorreva, una freccia esperta e terribile serviva a punire gli audaci.
Le gesta di Vitale e dei suoi compagni cominciarono a diffondersi e ad acquistare un colore leggendario.
Un giorno Vitale seppe che Giovannello, il figlio del suo signore, era ancor vivo, e da Catania era stato mandato a Ciminna. Questa notizia gli empì il cuore di giubilo.
Ma una mattina Vitale cadde in potere delle milizie di Termini, e di quelle del conte di Caccamo, che per ordine del re battevano la campagna contro i banditi. Vitale sapendo che messer Guglielmo era uscito alla caccia con Giovannello, si era avventurato da solo – per non dar sospetto – col desiderio di vedere il suo giovine signore, del quale non serbava che l’immagine infantile.
Le guardie feudali del conte di Caccamo lo riconobbero; Vitale circondato, minacciato da ogni parte con le balestre (e una freccia gli aveva stracciato il giubetto) impossibilitato a difendersi, s’era dovuto rendere, ed era stato portato al castello di Termini, per aspettarvi gli ordini del re.
I compagni lo aspettarono invano. Seppero verso sera dalle loro spie che Vitale era stato preso: la notizia li addolorò, sapendo bene quale sorte sarebbe toccata al fedele scudiero; ma non si sciolsero né rinunciarono al loro disegno, parendo loro di dover compiere il voto di Vitale, divenuto ora doppiamente sacro.
Così, venuta la festa del venerdì santo, essi divisarono di mettere ad effetto il loro disegno.

Luigi Natoli: Il Paggio della regina Bianca – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401, quando è appena tramontata la grande epoca chiaramontana. L’opera è ricostruita e trascritta dal romanzo originale pubblicato della casa editrice La Gutemberg nel 1921.
È la presunta storia di Giovannello Chiaramonte, figlio di Andrea, che cerca di risollevare la gloria del suo casato contro il gran giustiziere Bernardo Cabrera, il re Martino e la regina Bianca di Navarra.
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Pagine 702 – Prezzo di copertina € 22,00
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