Don Giovanni Meli, se ne stava nel suo studio modestamente
arredato scartabellando un volume di medicina per una consulta che doveva fare.
Era medico.
In quel tempo abitava una casa dietro il coro della
Chiesa dell'Olivella, casa modesta, dove erano vissuti suo padre, sua madre,
due zie che erano morti, e l'avevano lasciato con due fratelli, Stefano e
Tommaso che si era fatto frate nei domenicani e una sorella pazza.
Giovanni era il dotto della famiglia, e il suo nome era
famoso in tutta la Sicilia, come quello di un gran poeta.
Era un uomo di circa 50 anni, di statura media, bruno di
volto, coi capelli quasi neri, con parecchi fili d'argento tirati indietro e
legati con un nastro, gli occhi nerissimi, vivaci; un'aria modesta, non
curante di sè, ma pulita. Vestiva di nero, alla guisa degli abati ed infatti lo
chiamavano «l'abate Meli». Ma non lo era, anzi non era neppure
chierico, nè aveva i quattro ordini e la tonsura, che prese l'ultimo anno di
sua vita per ottenere l'abazia che non ottenne. Era semplicemente il «dottor
Meli», e si vestiva da abate per avere libero accesso nei monasteri, dove non
si entrava, se non si apparteneva alla Chiesa, in un modo qualunque.
Era già il celebre poeta che le dame si disputavano; ed
egli non solo frequentava volentieri le riunioni, dove il gusto, la finezza, la
signorilità, davano esca alle sue odicine, che lo avevano fatto battezzare «il
nuovo Anacreonte», ma accoglieva, forse in armonia col passato, gl'inviti della
baronessa, più per abito che per curiosità. Ora attraversava le sale,
osservando, aguzzando l'ingegno, sorridendo, con quella faccia serena, che le
sventure della vita non osavano intaccare. Egli era conosciutissimo, passando,
udiva parlare di sè: – Abate Meli! – di qua e di là; la voce pubblica lo
teneva per abate, ed egli non se ne faceva.
Vestito di nero, con l'aria di Abate, faceva un forte
contrasto con la varietà dei colori vaghissimi. Pareva un calabrone in mezzo
ai fiori; ma se parlava, la giocondità che spandeva, rimangiava il paragone.
Quella sera, in verità non era di buon umore, la confidenza di fra Francesco
e la ricerca di quel nipote a cui doveva dare il plico del frate; e poi la
morte di questo, l'avevano occupato per mezza giornata. La sera la
preoccupazione era cessata, ma era rimasta quella tale melanconia indefinita,
lasciatagli come retaggio.
Era innocuo, viveva astraendosi dal commercio degli affari,
contando solo su quelli che gli procurava la professione di medico, che per
lui era veramente umanitaria, non aveva che ammiratori e pochi amici, beneficava
quando poteva, aveva il cuore sensibilissimo.
Di tanto in tanto in quella che scartabellava, guardava, pensando, nella
parete, di contro, ove era una libreria con pochi volumi di medicina e molti di
letteratura. In quegli sguardi forse c'era un pensiero medico, per la
consulta che doveva farsi, o piuttosto c'era un'immagine poetica che egli
perseguiva, e che si frammezzava alla medicina?
Luigi Natoli: L’abate Meli – Il volume raccoglie totalmente quanto Luigi
Natoli scrisse sull'Abate Meli, ovvero: il romanzo storico L’Abate Meli, costruito e trascritto dal romanzo pubblicato a
puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 19 settembre 1929, la
trascrizione dell'opera "Giovanni
Meli. Studio critico" pubblicato dalla tipografia del giornale
"Il tempo" diretta da Pietro Montaina del 1883 e una raccolta di
poesie di Giovanni Meli tratte da Musa
Siciliana pubblicato dalla casa editrice Caddeo nel 1922; tutte le poesie
sono corredate di traduzione in italiano a fronte a cura di Francesco Zaffuto.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Prezzo di copertina €
25,00
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i volumi sono disponibili al sito ibuonicuginieditori.it
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