Il prigioniero era un uomo
di una cinquantina d’anni, dai lineamenti energici, ma d’aspetto logoro ed
emaciato; la fronte ampia e piana, il naso leggermente curvo all’apice e largo
alla base, gli occhi neri, profondi, con un lampeggiare strano fra le ciglia
nere e spesse; la mascella quadrata, parevano gli avanzi di una bellezza
maschia e dominatrice; simili ai ruderi di un antico nobile edificio, rovinato
dalle ingiurie degli uomini e del tempo. A giudicarne dallo spazio occupato nel letto,
doveva essere di statura piuttosto bassa; ma aveva l’ossatura delle spalle
larga e il petto ampio sebbene scarno. Nell’insieme rivelava una costituzione
forte e vigorosa, resistente ancora ai patimenti che ne consumavano la carne e
ne scoloravano il sangue.
Da quando era entrato nel forte, ed eran quattro anni, dopo un processo laborioso, Giammaria era la prima persona con la quale discorreva; per quattro anni era stato relegato nel silenzio della segreta, guardato con disprezzo e terrore; oggetto di scherni e di crudeltà, contro le quali non poteva reagire. Nessuno doveva parlare con lui; neppure il barbiere, che una volta al mese radeva i prigionieri, non già per igiene o per decenza, ma perché la barba era segno di giacobinismo.
Aveva dovuto infingere una rassegnazione che non sentiva; ma era forse effetto della debolezza fisica, questa che gli pareva forza di rassegnazione.
La condanna era crudele; oltre alla segregazione in quella piccola, fetida, umida segreta, senza altro mobile che un banco di pietra sul quale era disteso uno schifoso pagliericcio; era obbligatorio il digiuno rigoroso per tre giorni della settimana: pane e acqua negli altri, una minestra di legumi nauseabonda le domeniche. La sua salute ne aveva sofferto; i suoi muscoli, la sua carne se ne erano logorati.
Egli non poteva sorreggersi con la speranza di una liberazione prossima o lontana che fosse.
Da quando era entrato nel forte, ed eran quattro anni, dopo un processo laborioso, Giammaria era la prima persona con la quale discorreva; per quattro anni era stato relegato nel silenzio della segreta, guardato con disprezzo e terrore; oggetto di scherni e di crudeltà, contro le quali non poteva reagire. Nessuno doveva parlare con lui; neppure il barbiere, che una volta al mese radeva i prigionieri, non già per igiene o per decenza, ma perché la barba era segno di giacobinismo.
Aveva dovuto infingere una rassegnazione che non sentiva; ma era forse effetto della debolezza fisica, questa che gli pareva forza di rassegnazione.
La condanna era crudele; oltre alla segregazione in quella piccola, fetida, umida segreta, senza altro mobile che un banco di pietra sul quale era disteso uno schifoso pagliericcio; era obbligatorio il digiuno rigoroso per tre giorni della settimana: pane e acqua negli altri, una minestra di legumi nauseabonda le domeniche. La sua salute ne aveva sofferto; i suoi muscoli, la sua carne se ne erano logorati.
Egli non poteva sorreggersi con la speranza di una liberazione prossima o lontana che fosse.
Luigi Natoli: Cagliostro e le sue avventure – Romanzo storico
siciliano ambientato nel 1700. È la storia di Giuseppe Balsamo, alias Conte di
Cagliostro, narrata dal protagonista come la lettura di un Diario. L’opera,
in una edizione totalmente restaurata dal titolo all’indice, è costruita e
trascritta dal romanzo originale pubblicato a puntate in appendice al Giornale
di Sicilia nel 1914.
Pagine 881 – Prezzo di
copertina € 25,00
Tutti
i volumi sono disponibili al sito ibuonicuginieditori.it
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possibile ordinare alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o
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