mercoledì 31 marzo 2021

Luigi Natoli: Campane di Vespro. Tratto da: Il Vespro siciliano. Romanzo storico ambientato nella Palermo del 1282

La Pasqua di quell’anno veniva triste e sconsolata: un nuovo bando del giustiziere aveva minacciato più fiere punizioni per coloro che portassero armi  e promesso premi a coloro che ne scoprissero celate nelle vesti o nelle case dei cittadini.
Ciò era stato fomite di nuove e più violente vessazioni.
Si incontravano qua e là grossi drappelli di soldati e di guardie, che entravano nelle case dei cittadini, buttando all’aria masserizie e arredi; bastonando o trascinando in carcere chi osasse alzare la parola; compiendo nefandezze, tra osceni sghignazzamenti. Per cansare la nuova tempesta, andavano i cittadini a capo basso e frettolosi e vedendo venire incontro qualche figura di straniero, si traevano di lato, e trascorrevano oltre quasi fuggendo, per evitare ogni anche lieve incidente. E tuttavia ciò non li salvava: bastava che uno scherano qualunque gridasse: 
- Un paterino fugge! 
Perché tutti gli corressero addosso, lo buttassero per terra, coprendolo di percosse e di sputi, e spogliandolo, se v’era cosa da portargli via...
Ma più esoso ancora era stato in quei giorni il fiscalismo, nella riscossione delle gabelle e degli altri balzelli straordinari imposti dal re per le spese della prossima guerra.
Nessuna opera di spoliazione fu mai così brigantesca. Intere famiglie eran buttate in mezzo alla strada, seminude, intanto che i ministri del tribunale vendevano la loro roba anche per qualche carlino; ed esse eran costrette ad assistere allo sperpero delle cose a loro più care, con le quali erano vissute tutta una vita, alle quali eran legati da dolci e tristi ricordi. Nè le loro lagrime, nè le loro preghiere disarmavano l’immane rapacità di quei ribelli ufficiali, che rispondevano ferocemente.
- Pagate, paterini, pagate!
Tra questi dolori, le solennità della settimana Santa erano trascorse; e il popolo aveva nelle chiese e nei riti cercato un conforto e un oblìo.
Allora, o importazione di costumanze di altri paesi, o invenzione di anime timorate, le cerimonie della settimana santa si sposavano a rappresentazioni popolari. Il popolo non era soltanto spettatore commosso dei riti, ma vi partecipava, come elemento attivo, nelle processioni e nella rappresentazione di personaggi evangelici o biblici.
Ciò era valso a dargli un diversivo ai suoi dolori.
Le feste di Pasqua duravano qualche giorno dopo la domenica; in quei giorni il popolo se ne andava nelle prossime campagne, dove fossero santuari; ed ivi sull’erba, per commemorare la pasqua biblica, si mangiavano ova sode, lattughe e agnello arrostito: ma di solito a queste che erano le pietanze di rito, altre se ne aggiungevano, e dolciumi di origine araba, come la cassata e la cubaita e manicaretti, largamente inaffiati dal vino. Nel tripudio, che l’ebbrezza del vino metteva nei cuori, si intrecciavan sui prati balli e canti, al suono dei tamburi e delle guideme o dei liuti: e per due, tre ore, il popolo obbliava e pareva felice.
Il martedì dopo Pasqua i cittadini solevano recarsi nel prato di S. Spirito, così detto per un monastero di cisterciensi, del quale non avanza ora che soltanto la chiesa.
Dalla porta di S. Agata dell’Albergaria il monastero non era più lontano di mezzo miglio; vi si andava per un sentiero che attraversava orti e vigne. Oltre il prato si apriva, e ancor s’apre, un largo burrone, in fondo al quale scorre l’Oreto. Da circa un secolo e mezzo quel prato fu convertito in cimitero, e gli alti e neri cipressi ombreggiano croci e lapidi, là dov’eran erbe verdi e fiorite, e pascolavan le caprette sotto l’occhio vigilante di un pastorello semi-selvaggio.
Approfittavano di quell’occasione gli sposi, che dovevan celebrar le nozze, per unire la loro gioia all’allegria generale, parendo loro un buon augurio, e come un bel saluto, la giocondità del popolo; e uno sfondo vivace e pieno di allegria, quel quadro vario di colori e di forme, risonante di canzoni e di musiche.
Messer Ruggero di Mastrangelo non avendo potuto celebrare con pompa la seconda funzione di matrimonio, aveva voluto che almeno in quella occasione Benvenuta e messer Guglielmo Santafiora si recassero nel pomeriggio del martedì alla chiesa di S. Spirito, per partecipare alla festa comune.



Luigi Natoli: Il Vespro sicilianoRomanzo storico ambientato nella Palermo del 1282, al tempo di una delle più famose rivoluzioni della Storia di Sicilia. L’edizione, interamente restaurata a iniziare dallo stesso titolo, è la fedele trascrizione del romanzo originale, pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1915. Con la sua perizia di grande storiografo e narratore, l’autore ci consegna uno dei capolavori della letteratura popolare mondiale che nulla trascura di quel periodo storico come l’orrenda strage di Agosta, le trame politiche cospirative dei baroni siciliani, l’orgoglioso episodio di Gamma Zita a Catania, la valorosa resistenza della città di Messina al dominio francese degli Angiò. Il romanzo ricco di fatti e personaggi realmente accaduti o esistiti, ci regala l’indimenticabile eroe Giordano De Albellis, intollerante alle ingiustizie, innamorato della sua terra, della libertà e della sua bella Odette. 
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 945 – Prezzo di copertina € 25,00

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