lunedì 22 marzo 2021

Luigi Natoli: I capricci di Lillì. Tratto da: Fioravante e Rizzeri. Romanzo storico ambientato nella Palermo del 1920

Angelica! Egli la chiamava ancora “la piccola” ma era cresciuta, toccava i sedici anni e frequentava la scuola normale. La scuola normale? Eh buon Dio! Non aveva potuto farne a meno; un po’ di istruzione si doveva alle fanciulle, e poi ella studiava per fare la maestra elementare. Salirebbe così un gradino più in alto dei suoi genitori. Ma quel Cicciarello don Calcedonio l’aveva sullo stomaco. Che cosa? sposarla? Chi: un barbiere? Lei che era una maestra? Ma non mi fate ridere! Fosse stato un impiegato del Municipio o dello Stato, un impiegato di concetto (ben inteso), “transeat”. E poi Angelica era molto bellina; un po’ piccolina, ma ben fatta; aveva i capelli castani ondulati, che le inquadravano il viso bianco e roseo. Non poteva dire quanta cipria e quanto rossetto ci fossero sotto quella bianchezza e le labbra erano troppo rosse, per avere un colore naturale, ma avevano una linea, parola d’onore, che facevano venire la voglia di morderle come ciliegie. E gli occhi! Che occhi! Non erano neri, non azzurri, non castani; avevano un colore indefinito con delle pagliuzze d’oro, bruni, grandi: ma quando guardavano, Dio! Che sguardi! Ti scendevano in fondo all’anima, te la scombussolavano, non sapevi più in che mondo tu fossi, né cielo, né in paradiso né in inferno, o piuttosto in tutti e due. E lei, assassina! Lo sapeva; e quando rideva gli occhi le ridevano, e tu tremavi, e dicevi di sì, anche quando la ragione ti diceva di no. 
La camera di Lillì era relativamente la più bella. Era solo imbiancata, ma Lillì l’aveva trasformata; tendine alla finestra, il letto di ferro tinto in bianco, il comodino, uno scendiletto da poche lire, un tavolino coi libri in ordine, l’avrebbero fatta scambiare per una camera da studente, se non fosse stato per la toletta che rivelava la donna. Era piena di boccette, di spazzolini, di scatolette di crema, di cipria, di rossetto per le labbra, di ferri per arricciare. Perché Lillì o piuttosto la signorina Lillì (ella si firmava Lilly), da quando aveva toccato i quattordici anni, era divenuta alunna della scuola normale (così allora si chiamava l’istituto magistrale superiore), aveva cominciato a usare i profumi e a darsi l’aria di signorina. 
La scuola normale! Veramente avrebbe dovuto frequentare la professionale; sarebbe stata più adatta per lei, ma donna Concettina si era incaponita che la figlia dovesse nobilitare la casa. Che sarta! che modista! Una maestra doveva essere. E a furia di sacrifizi, di assottigliare il pane, di rinunciare alle cose più necessarie, aveva pagate le tasse e aveva vestita la figliola in modo da non sfigurare. E a poco a poco l’animo di Angelica s’era trasformato; ella si era fatta chiamare Lillì, sembrandole più signorile che si dovesse allungare le labbra per pronunciare il suo nome; e poi quel nome le appariva quasi di una persona diversa, di una persona “per bene”. Che cosa fosse una persona per bene non sapeva figurarselo, benché frequentasse la scuola normale; le caratteristiche morali le sfuggivano, o meglio credeva che stessero nel formalismo di certe pratiche esteriori. Per questo cominciava a sentirsi un po’ male in quella casa e in quel vicolo; e quando qualche volta un’amica l’accompagnava, ella aveva cura di separarsi da lei prima di arrivare a casa.  Dopo essersi guardata ed ammirata, si vestiva continuando ad osservare nello specchio le proprie mosse, studiandole perché non perdessero nulla della loro grazia. Ah, perché lo specchio non era grande abbastanza da potercisi ammirare tutta dal capo alle piante? Ogni tanto si voltava di profilo, studiando la linea del corpo; si torceva in modo da vedersi le spalle e le reni falcate. Ma poi ahimè! si guardava intorno, e la tristezza le allungava il viso. La sua camera non era quella che la sua fantasia le dipingeva nei sogni o che vedeva nei film al cinematografo. Quelle pareti bianche di calce stridevano con le cure, che prodigava al suo corpo; erano squallide; il suo letto di ferro pareva quello di un collegio, con la coperta di cotone. Ella si profumava abbondantemente ma i suoi profumi non erano davvero di Houbigant o di Coty. Quella camera le era insoffribile, e quel vicolo poi la offendeva.



Luigi Natoli: Fioravante e Rizzeri – Romanzo ambientato nella Palermo del 1920 ricostruito e trascritto dalle puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1936, con premessa dell’autore tratta da un articolo dello stesso Giornale pubblicato il 16 dicembre 1936. È ispirato alle storie di Buovo D’Antona e dell’opera dei pupi, nello specifico del re Fioravante e del suo scudiero Rizzeri, alle avventure di Fioravante, e lo riproduce attraverso un oprante, don Calcedonio; e l'antico si intreccia con il moderno; e le avventure della giovane figlia Lillì fanno contrasto con quelle di Drusolina, e quell'onesto puparo sembra foggiato con l'anima dei suoi pupi.
Copertina e disegni di Niccolò Pizzorno
Pagine 308 – Prezzo di copertina € 19,00
Tutti i volumi della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli sono disponibili al sito ibuonicuginieditori.it
È possibile ordinare alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. Consegna a mezzo corriere in tutta Italia
Disponibili su Amazon Prime o al venditore I Buoni Cugini, su Ibs, e in tutti i siti vendita online.
Disponibili a Palermo in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Via dei Leoni 71), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella n. 15), Enoteca Letteraria Prospero (Via Marche 8)
Per qualsiasi informazione: ibuonicugini@libero.it – Cell. 3457416697 – Whatsapp 3894697296
Le librerie possono acquistare contattandoci alla mail oppure possono rivolgersi al nostro distributore Centro Libri (Brescia)

Nessun commento:

Posta un commento