mercoledì 11 novembre 2020

Luigi Natoli: La festa del Corpus Domini. Tratto da: Calvello il bastardo

 
Il 6 giugno di quell’anno cadeva la festa del Corpus Domini. A Palermo era una di quelle che si celebravano con tutta la pompa possibile, e con l’intervento di tutte le autorità: per cui chiamava una folla enorme nel Cassaro e nelle strade che di solito soleva percorrere. Essa segnava il principio dell’estate; e per un’antica consuetudine quel giorno si indossavano i vestiti della stagione. La giornata però non appariva propizia: densi nuvoloni di un color fosco, con riflessi sulfurei, correvano pel cielo, allargandosi e diffondendosi, e dando alla luce un color tetro e sospetto. 
Si temeva la pioggia, con grave dispiacere dei buoni palermitani, così avidi di spettacoli, perché li avrebbe privati del piacere di vedere il Senato e Sua Eccellenza il Vicerè in gran gala, con tutto il seguito delle alte magistrature, le guardie, gli alabardieri di palazzo; la truppa schierata lungo Toledo... Ma forse il maggior dispiacere era quello di non potere far mostra dei vestiti nuovi, ai quali sarti e sarte lavoravano da un mese, per contentare i clienti. Potere indossare un vestito nuovo è pel Palermitano un godimento al quale volentieri sacrifica anche ciò che gli è più necessario alla vita. Chi oggi si reca a un pubblico passeggio, non distingue il piccolo industriale, il commesso del magazzino, il bottegaio dal signore, giacchè lo spirito democratico, cancellando nel diritto le distinzioni di casta, si è risoluto in pratica nello scimmiottare ridicolosamente le classi più elevate, almeno in apparenza. Un povero diavolo che guadagna due lire al giorno, che abita una stamberga malsana, e si nutre di fagioli, spende metà del suo guadagno in vestiti, cravatte e in andare in carrozza; giacchè, uscendo dal vicoletto remoto e sudicio in cui abita, e mostrandosi al passeggio in abbigliamento irreprensibile, si crea la innocente illusione di farsi credere un signore, e di poter occhieggiare le signorine.
Nei tempi dei quali discorriamo la separazione profonda dei ceti, la loro diversità giuridica, staccava nettamente anche nelle fogge del vestire le classi cittadine; e al vestito si poteva facilmente riconoscere la professione o il mestiere di ognuno.
Ma in tutti era la stessa passione di apparir da più; in tutti la stessa vanità di parere, di sfoggiare in vestimenta, oltre le condizioni della propria borsa. Nessuna maraviglia, dunque, se si ricercavano le occasioni per questa mostra di vanità, e se, poi, le carestie e le altre calamità pubbliche trovavano la massa del popolo nella più grande miseria.
L’ora della processione si avvicinava, e il cielo pareva avesse sospeso la minaccia di piovere. Il marito di Orsola pensò che era tempo di uscire. Chiusero la porta a chiave e si avviarono verso il Cassaro, attraversando uno di quei vicoli che dalla via maestra di Porta di Castro menano al piano del Palazzo.
Per le strade c’era quell’animazione giuliva che è il segno visibile di una giornata di festa solenne: “civili” e popolani si recavano a prendere un posto, quali in mezzo alla strada, quali in qualche balcone di amici o di conoscenti, sul Cassaro, o nella via dei Cintorinai, o altrove, secondo l’itinerario della processione. La folla era frequentemente ributtata di qua e di là della strada da una sedia volante più o meno ricca, preceduta e seguita da volanti e staffieri, o da una pesante carrozza che si dondolava sulle cinghie, tirata almeno da due cavalli, dalle bardature sfolgoranti di placche e di borchie d’argento. I volanti che precedevano, correndo dinanzi ai cavalli, facevano sgomberar il passo, con quella inciviltà che il disagio del loro ufficio e la maggiore nobiltà della livrea accrescevano. I pedoni si scostavano rispettosamente, molti si scappellavano e s’inchinavano; ma quando un tariolo si cacciava fra loro, con uno schioccar frequente della frusta e il gridare del cocchiere, allora eran moccoli e minacce. In quelle carrozzelle non potevan esservi che uomini di penna o piccoli borghesi.

Luigi Natoli: Calvello il bastardo – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento e inizi Ottocento, quando la Rivoluzione Francese porta in tutta Europa le prime idee di libertà dei popoli e nascono le prime Logge. Il protagonista Corrado Calvello è affiancato dal patriota e giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi. 

L’opera è la trascrizione del romanzo originale pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Pagine 880 – Prezzo di copertina € 25,00
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