Il
signor Galcerano infilò la strada di S. Onofrio, e piegò per un vicolo buio e
angusto dove non era possibile scorgerlo. Egli abitava nella strada della
Bandiera, nel vecchio palazzo della sua famiglia; un palazzo non molto vasto
che conservava la sua architettura quattrocentesca solida ed elegante, coi
merli in cima, le finestre rettangolari geminate da una sottile colonnina,
simile allo stelo d’un fiore, e il portone ornato d’una cornice intagliata,
forma d’un grande angolo col vertice in alto, dentro il quale si apriva la
porta.
I
Corbera eran venuti di Spagna fin dal Trecento; ed avevano acquistato in
Palermo reputazione e dignità, e nell’isola, vasti possedimenti. In breve si
erano naturalizzati; erano stati inscritti nell’ordine senatorio e avevano
occupato uffici eminenti. Un Galcerano nel 1449, era stato presidente del
regno, cioè aveva tenuto luogo del vicerè assente; un Giuliano, che aveva
combattuto valorosamente contro il maresciallo de Lautree era stato Pretore
della Città, e vuol dire presso a poco quel che oggi chiamiamo sindaco, ma con
maggior dignità, un Pietro, suo figlio aveva militato sotto Carlo V, e n’aveva
avuto fama di prode. Non vi mancarono uomini di lettere; fra i quali un
Bartolomeno di cui rimane qualche poesia. Facevano per armi cinque corvi neri
in campo bianco.
Capo
della casa era adesso don Antonio nelle cui mani era passato il vasto feudo del
Misilindino.
Munifico
e di grandi idee, Antonio fondava in quei tempi intorno al vecchio castello un
paese, quello stesso che poi si chiamò Santa Margherita; il che lo aveva
costretto a contrarre molti e gravi debiti, che lo tenevano in liti continue, e
ingoiavano gran parte delle entrate.
Il
giovane Galcerano, al quale quella notte era toccata la strana avventura, era
l’erede del vasto patrimonio, e delle virtù guerresche dei suoi maggiori.
Troppo giovane quando don Giovanni
d’Austria s’era mosso con l’armata contro il Turco, – aveva appena quindici
anni, – non aveva potuto imbarcarsi sulle galere col fiore della gioventù
palermitana andata volontaria all’impresa: ma i racconti delle prodezze
compiute da Cola d’Odio, che impadronitosi da solo d’una galera turca, vi morì
da archibugiata in fronte; di Cola dei Bologna, che ne riportò il soprannome di
Valente; dal capitan Giorgio Montisoro, dal suo amico don Geronimo di Giovanni,
da cento altri nobili, accorsi come lance spezzate o venturieri sulle galere
della città di Palermo, gli accendevano una gran voglia di prender parte a qualche
spedizione. Ma in quegli anni il Turco, per la disfatta avuta a Lepanto,
stancato dalle due spedizioni di Navarino e di Tunisi, che lo costringevano
alla difesa, non osava; guerre in Italia non ce n’erano; anche nelle Fiandre
v’era un po’ di tregua; e eran guerricciole e insignificanti. Il signor
Galcerano perciò non poteva mostrare il suo valore che nella sua bella sala
d’armi o nell’Accademia dei Cavalieri (specie di accademia militare) o nelle
giostre; nelle quali, sebbene molto giovane, faceva begli incontri e sfoggiava
ricche armature, spade di gran pregio, bardature e gualdrappe di finissimo
lavoro.
Luigi Natoli: La dama tragica. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1500, al tempo del viceregno di Marco Antonio Colonna.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1930
Pagine 598 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
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