venerdì 22 novembre 2019

Luigi Natoli: La farmacia di don Saverio La Monica. Tratto da: La vecchia dell'aceto.


Don Saverio La Monica, aromatario, aveva la sua bottega nella strada della Gioiamia. Aromatario significava, in quel tempo, farmacista. Era un uomo più che maturo, che passava la vita dietro al banco, a pestare, impastare, mescolare, far pillole, cartine di polveri, elettuarî, sciroppi ed emulsioni. Con gli occhiali sul naso, le maniche rimboccate, eseguiva le ricette, barattando una parola con questo, una con quell’altro avventore. E di avventori non ne mancavano, perché in tutto il quartiere del Capo, nessun aromatario godeva tanta buona riputazione, quanto lui, perché aveva la bottega fornita di tutte le medicine prescritte dall’ordinanza del Pretore che rivestiva la carica di proto-medico della città; ma anche perché inventava certe misture efficacissime; e sapeva dare consigli medici.

La bottega si riconosceva la lontano, per il gran mortaio di marmo, posto sopra la soglia su uno sgabello un po’ sporgente in fuori; insegna questa comune a tutte le farmacie del tempo. Ai lati lungo gli stipiti c’erano due tabelle non grandi, rettangolari, in una delle quali un pittore da insegne aveva dipinto il bastone di Esculapio coi due serpenti attorcigliati, e una leggenda latina: Altissimus creavit de terra medicamenta et vir prudens non abhorret ab illis; nell’altra tabella era dipinto Sant’Andrea protettore degli speziali, con la leggenda: Cedite vos, qui consulitis mortabilus artes; vis vestra ex nostraque statque, caditque manu. La stanza, che serviva da bottega, non era molto grande: e aveva uno scaffale in fondo, che occupava tutta la larghezza della parete; in mezzo alla quale in basso era una porticina, donde si passava nel laboratorio.

Altri due scaffali si partivano da quello di fondo, della stessa altezza, ma si arrestavano a metà della stanza. Nello spazio vuoto, da un lato c’era il torchio, indispensabile a ogni aromatario per fabbricare olio di mandorla o di ricino; dalla parte opposta v’erano addossati alla parete alcune sedie molto sudicie e con l’impagliata rotta in qualche punto. Sulla cornice dello scaffale in fondo v’era un quadro che rappresentava la Vergine, dinanzi alla quale ardeva una lampada. Sotto, nel fregio, era dipinto a grandi lettere: Salus Infirmorum, che poteva ben riferirsi alla Vergine come ai medicinali. I quali facevano bella mostra, non di sè, ma dei recipienti in cui erano conservati. Erano vasi smaltati, della stessa grandezza, a vivaci colori, tutti di una forma allungata, che si restringeva dolcemente a metà dell’altezza, per riallargarsi gradatamente alla base; con uno scudo bianco incorniciato di giallo, in mezzo al quale era il nome del medicinale. In dialetto si chiamavano burnii. Nello scaffale laterale, di destra, queste burnie avevano forma di bocce panciute, con un collo breve, ed erano smaltate in bianco e azzurro, col nome del medicinale in nero. Nell’altro scaffale laterale, a sinsitra, erano bocce, bottiglie, boccette di vetro e vasetti bianchi, cilindrici. La ricchezza ed il lusso di una farmacia d’allora erano nei vasi smaltati, ai quali gli antiquari han dato una caccia spoliatrice, approfittando dell’ignoranza dello snobismo dei farmacisti.

Spesso il medicinale non c’era; ma la burnia non mancava. Chi andava per comperare due grani di conserva di rose rosse, poteva leggere sulle bocce e sulle bornie i nomi della Polvere di Guttetta, per guarire la eclampsia dei bambini, del Sebeston, dello sciroppo di vibello, di cicoria, di reobarbaro e di spinapontico; della conserva di fior di persico, del diascordio, dell’elettuario di Giustiniano Imperatore, dell’alckool (sic), fluore, dell’acqua teriacale, della Quarteccia rossa, delle pillole di Lancellotto, e di quelle di tartaro di Bonzo, e delle universali di Becherio; dell’estratto di scilla acoso, della tintura anglicana, del grasso di vipera; dello specifico cefalico Michaele, del sale sedativo di Homberg, dell’impiastro di Simone de Pacello e di quello de Ranis, del trocisco di Aradonis Abbatis, del vitriolo di Marte, e via via dicendo: medicinali nostrani e stranieri; e poi gli olii di mandorla, di lino, di ruta, di scorpione; polveri di assa fetida, agarico: i sief, ossia collirii; e finalmente i veleni, arsenico, laudo liquido, cantaride, ecc.  Insomma la spezieria di don Saverio La Monica non mancava di nulla. Essa era fornita di quanto occorreva pei ricchi e pei poveri, secondo l’ordinanza. Sul banco v’erano le bilancette e i pesi, e la carta tagliata a quadretti per avvolgere le polveri e turare le boccette.

Nella retrobottega, poi, v’erano storte, lambicchi, tubi, matraci, un grande fornello, fornellini portatili, boccioni grandi, recipienti di varia misura di porcellana, di vetro, di rame. Ma dappertutto v’erano le vestigia delle mosche, v’era dell’unto di olii e di pomate; e un odore nauseabondo composto di tanti odori diversi. Non se ne doleva nessuno, perché vi si era avvezzi; e poi, perché don Saverio sapeva con le sue storielle divertire i clienti che erano costretti ad aspettare la manipolazione delle medicine.

Di tanto in tanto qualche medico di passaggio faceva fermare la portantina dinanzi la bottega, e veniva a far quattro chiacchiere con don Saverio, e, chi sa? ad acchiappar qualche cliente: Don Saverio, per questo, si prestava volentieri a procurarne: e i medici gli si mostravano grati mandando i clienti a spedire le ricette da don Saverio alla Gioiamia, che era un aromatario valentissimo. Aveva fatto pratica nella spezieria dell’ospedale, e sostenuto l’esame di abilitazione dinanzi al Nobile e Salutifero Collegio degli Aromatari, magistrato supremo dell’aromataria; e chi volesse vedere il diploma munito di bollo e la licenza di tenere bottega, egli li aveva in due quadretti, appesi di qua e di là sulle pareti.


Luigi Natoli: La vecchia dell'aceto. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1700. La storia di Giovanna Bonanno l'avvelenatrice, passata alla storia come La vecchia dell'aceto.
Nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1927
Pagine 562 - Prezzo di copertina € 22,00
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