Giovanna Fileccia, o la “comare
Giovanna” come più comunemente era intesa, era vedova due volte, la prima volta
di un Fileccia; la seconda di un Bonanno. Siccome aveva incominciato a far la
levatrice al tempo del primo marito, aveva nella professione mantenuto quel
nome, che era notorio. Era abile, e si prestava facilmente a pratiche
delittuose, che essa compiva con la coscienza di far bene, perché miravano a
conservare l’onore e la pace nelle famiglie. Don Gastone aveva ricorso a lei
per assistere donna Elisabetta, e, un anno dopo, donna Maria di Altofonte.
Il domani riprese il suo posto di
osservazione al mercato, incaponendosi nell’idea di scoprire chi fosse il
padrone di Sara. Ma a un tratto due birri del Sant’Offizio la presero per le
braccia, la spinsero in una portantina, e via. Ella gridò invano; si fece un
po’ di folla, il caporale disse:
- È una fattucchiera che ha dato
l’anima al diavolo.
E si segnò; la gente si segnò
anch’essa e si scostò. La portantina quindici minuti dopo giungeva nel
tenebroso palazzo dell’Inquisizione, e Giovanna era gittata in una di quelle
segrete, vere tombe di viventi.
Il giorno dopo un fiscale e un notaro
entrarono nella segreta e la interrogarono; essa era accusata di pratiche
contro l’onestà delle donne, contro la santa religione e il buon costume, di
sortilegio e di fattucchierie. Ce n’era tanto da seppellirla il quel tetro
carcere. Si difese, pianse, pregò, gridò invano. La porta si chiuse. Era
bastata l’accusa del nobile cavaliere Gastone del Carretto, perché
l’Inquisitore monsignor Ciafaglione senz’altro la facesse arrestare. Un
processo fu imbastito. Dopo un anno Giovanna Fileccia, con altre due
disgraziate fu condotta fra birri, famuli e confraternite, alla porta della
chiesa di S. Ippolito, con una cesta appesa al collo, il bavaglio, le braccia
legate dietro le reni; e lì fu letta la sentenza che le condannava tutte e tre
come fattucchiere al carcere del Sant’Offizio per dieci anni.
Dieci anni! chiusa in una segreta del
carcere delle donne, senza luce, senz’aria, con poco nutrimento, peggiorato da
digiuni e penitenze, Giovanna andò deperendo fisicamente e accumulando nel suo
cuore odio contro gli uomini e contro il cielo. Se veramente avesse potuto fare
un patto col diavolo, gli avrebbe venduta l’anima pur di uscire da quel
carcere, ed esercitare le sue vendette. Ma sebbene invocato e scongiurato con
ridicole e nel tempo stesso orrende bestemmie, il diavolo non le apparve. Essa
finì col rinnegarlo e col non credere alla sua esistenza.
Quando, trascorsi quei dieci anni,
riconciliata, assolta, comunicata, uscì dal carcere, fu presa da una vertigine;
la luce del sole l’abbagliava, il rumore della vita la stordiva. Usciva
invecchiata di venti anni; l’umidità le aveva fatto cadere i denti; le era
cresciuto un gozzo simile a una vescica, pendente dalle grinze del collo: era
orribile e nessuno avrebbe potuto riconoscerla. Usciva povera e senza nessun
mezzo per vivere. Il Sant’Offizio le aveva fatto la carità d’una vesticciuola e
un paio di scudi; ma dove andare? che fare? Riprendere la sua professione? E
chi l’avrebbe più chiamata? La condanna l’aveva diffamata, e l’ozio e i
patimenti avevano anche ottuso il suo cervello e intorpidite le mani. Essa era
in uno stato di ignoranza, che non sapeva più in che giorno, mese e anno si
fosse. E ne domandò: il sentir dire che era il 7 settembre del 1775 le sonò
come una data misteriosa, inverosimile. Trascinandosi sulle gambe, che avevano
disimparato di camminare si recò verso la casa che aveva abitato, nella strada
delle Pergole, vi giunse e provò una commozione, rivedendo la scaletta esterna
di legno, che metteva alla porta; ma sulla scaletta sedeva ora una comare, che
faceva la calza, discorrendo con una vicina che su un ginocchio piegato dava
l’aire al fuso, e torceva il filo che traeva dalla conocchia. Stette un poco a
guardare; riconosceva che quella gente era in legittimo possesso di quella
casa: e pure provava contro di essa un rancore come se gliel’avessero usurpata.
Dove andare?
Luigi Natoli: La vecchia dell'aceto. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1700. La storia di Giovanna Bonanno, famosa avvelenatrice passata alla storia come "La vecchia dell'aceto".
Nell'unica versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1927
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