mercoledì 13 novembre 2019

Luigi Natoli: Giovanna Bonanno al carcere del sant'Offizio. Tratto da: La vecchia dell'aceto.


Giovanna Fileccia, o la “comare Giovanna” come più comunemente era intesa, era vedova due volte, la prima volta di un Fileccia; la seconda di un Bonanno. Siccome aveva incominciato a far la levatrice al tempo del primo marito, aveva nella professione mantenuto quel nome, che era notorio. Era abile, e si prestava facilmente a pratiche delittuose, che essa compiva con la coscienza di far bene, perché miravano a conservare l’onore e la pace nelle famiglie. Don Gastone aveva ricorso a lei per assistere donna Elisabetta, e, un anno dopo, donna Maria di Altofonte.
Il domani riprese il suo posto di osservazione al mercato, incaponendosi nell’idea di scoprire chi fosse il padrone di Sara. Ma a un tratto due birri del Sant’Offizio la presero per le braccia, la spinsero in una portantina, e via. Ella gridò invano; si fece un po’ di folla, il caporale disse:
- È una fattucchiera che ha dato l’anima al diavolo.
E si segnò; la gente si segnò anch’essa e si scostò. La portantina quindici minuti dopo giungeva nel tenebroso palazzo dell’Inquisizione, e Giovanna era gittata in una di quelle segrete, vere tombe di viventi.
Il giorno dopo un fiscale e un notaro entrarono nella segreta e la interrogarono; essa era accusata di pratiche contro l’onestà delle donne, contro la santa religione e il buon costume, di sortilegio e di fattucchierie. Ce n’era tanto da seppellirla il quel tetro carcere. Si difese, pianse, pregò, gridò invano. La porta si chiuse. Era bastata l’accusa del nobile cavaliere Gastone del Carretto, perché l’Inquisitore monsignor Ciafaglione senz’altro la facesse arrestare. Un processo fu imbastito. Dopo un anno Giovanna Fileccia, con altre due disgraziate fu condotta fra birri, famuli e confraternite, alla porta della chiesa di S. Ippolito, con una cesta appesa al collo, il bavaglio, le braccia legate dietro le reni; e lì fu letta la sentenza che le condannava tutte e tre come fattucchiere al carcere del Sant’Offizio per dieci anni.
Dieci anni! chiusa in una segreta del carcere delle donne, senza luce, senz’aria, con poco nutrimento, peggiorato da digiuni e penitenze, Giovanna andò deperendo fisicamente e accumulando nel suo cuore odio contro gli uomini e contro il cielo. Se veramente avesse potuto fare un patto col diavolo, gli avrebbe venduta l’anima pur di uscire da quel carcere, ed esercitare le sue vendette. Ma sebbene invocato e scongiurato con ridicole e nel tempo stesso orrende bestemmie, il diavolo non le apparve. Essa finì col rinnegarlo e col non credere alla sua esistenza.
Quando, trascorsi quei dieci anni, riconciliata, assolta, comunicata, uscì dal carcere, fu presa da una vertigine; la luce del sole l’abbagliava, il rumore della vita la stordiva. Usciva invecchiata di venti anni; l’umidità le aveva fatto cadere i denti; le era cresciuto un gozzo simile a una vescica, pendente dalle grinze del collo: era orribile e nessuno avrebbe potuto riconoscerla. Usciva povera e senza nessun mezzo per vivere. Il Sant’Offizio le aveva fatto la carità d’una vesticciuola e un paio di scudi; ma dove andare? che fare? Riprendere la sua professione? E chi l’avrebbe più chiamata? La condanna l’aveva diffamata, e l’ozio e i patimenti avevano anche ottuso il suo cervello e intorpidite le mani. Essa era in uno stato di ignoranza, che non sapeva più in che giorno, mese e anno si fosse. E ne domandò: il sentir dire che era il 7 settembre del 1775 le sonò come una data misteriosa, inverosimile. Trascinandosi sulle gambe, che avevano disimparato di camminare si recò verso la casa che aveva abitato, nella strada delle Pergole, vi giunse e provò una commozione, rivedendo la scaletta esterna di legno, che metteva alla porta; ma sulla scaletta sedeva ora una comare, che faceva la calza, discorrendo con una vicina che su un ginocchio piegato dava l’aire al fuso, e torceva il filo che traeva dalla conocchia. Stette un poco a guardare; riconosceva che quella gente era in legittimo possesso di quella casa: e pure provava contro di essa un rancore come se gliel’avessero usurpata.
Dove andare?

Luigi Natoli: La vecchia dell'aceto. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1700. La storia di Giovanna Bonanno, famosa avvelenatrice passata alla storia come "La vecchia dell'aceto".
Nell'unica versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1927
Pagine 562 - Prezzo di copertina € 22,00
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