giovedì 21 febbraio 2019

Luigi Natoli: La festa di S. Cristina. Tratto da: Squarcialupo

Era la sera del 22 luglio 1517, antivigilia della festa di Santa Cristina, patrona della città(9) che i Palermitani si affaccendavano a celebrare, come facevano ogni anno, nella maniera più sontuosa, imbiancando cioè i muri delle case, e appendendovi festoni di fronde; innalzando per le strade che la processione doveva percorrere archi trionfali, anch’essi di verdi fronde; e preparando coperte e panni e, chi li aveva, arazzi, da stendere sulle finestre, e lanterne e torce resinose per far la luminaria.
Questa era la festa principale, e più solenne per la città; cominciava la vigilia, col Vespro solenne che si cantava nel Duomo, e si svolgeva il giorno della festa, cioè il 24, con la “cappella reale” e la messa cantata, di mattina, e immediatamente dopo la processione. Cappella reale significava che alla funzione religiosa interveniva il vicerè o il luogotenente, come rappresentante del sovrano, in gran pompa; sedeva sul trono e riceveva l’incenso nelle forme prescritte dal cerimoniale. Tanto nell’andare al Vespro solenne, quanto alla messa cantata, l’intervento del vicerè era per se stesso uno spettacolo che attirava la folla: perché egli vi andava con le insegne della carica, con gran seguito di cavalieri e di creati: ed era ricevuto alla porta del Duomo dall’Arcivescovo: e perché andando il vicerè in veste ufficiale, a esercitare un atto di sovranità, ci si recavano anche le alte magistrature del regno, e il Senato, anch’esso in gran pompa.
Il popolo, dunque, faceva i preparativi per addobbare le strade specialmente quelle che la processione avrebbe percorso, come prescriveva il bando del Senato. E quell’anno era prescelto il quartiere del Capo, o come si diceva, di Civalcari.
Qua e là, dove c’era gente che o imbiancava, o sul bianco dipingeva certi ornati rossi e turchini, che parevano ai riguardanti bellissimi, si formavano crocchi, che ciaramellavano delle cose più disparate; uno più numeroso se n’era fatto presso la chiesa di Sant’Agostino, dove addobbavano di verdi fronde d’arancio e di palme un arco trionfale; ma un uomo vestito da frate, messosi a parlare ad alta voce sui gradini della chiesa, aveva attirato a sé quel crocchio, che era man mano diventato folla, e pareva che prendesse gusto al discorso del frate.
Il quale era mastro Iacopo, camuffatosi a quel modo per poter percorrere le vie, senza intoppi. Lì s’era fermato e pareva predicasse. Una predica buffa, che faceva ridere. Ora egli continuava a dire:
- Dovete sapere, amici miei, che una volta, saranno cento e cento e cento anni, i Cristiani andavano nel paese dei Turchi per togliere loro i Luoghi Santi, dove nostro Signore Gesù Cristo fu crocifisso da quei cani di giudei. E combatti oggi, combatti domani, vinsero la battaglia, e liberarono il Santo Sepolcro. E che trovarono!... Tutti gli strumenti della Passione di nostro Signore!... – Dicono: – “questi per non litigare fra noi, dobbiamo portarli al Papa, e penserà lui a dividerli”. Detto fatto: portarono ogni cosa al Papa, il quale composta una bella nota di tutti i regnanti e principi fece la distribuzione e mandò ad ognuno una reliquia, come vi dirò. Voi mi domanderete: E tu come li sai quanti regnanti e principi c’erano in quel tempo? – Io non li sapevo, ma l’ho udito nominare dal padre lettore di San Francesco. Dunque, all’Imperatore mandò la Croce; al re di Francia la Corona di spine; al re di Castiglia la colonna dove Gesu fu flagellato; al re di Navarra la Catena, al re d’Inghilterra i tre chiodi; al re d’Ungheria il Martello; al re di Cipro la Scala, al re d’Aragona la lancia; al re di Scozia la spugna, al re di Boemia il velo; al re d’Apollonia la corda; al Delfino di Francia la camicia; al principe di Taranto i trenta denari; al Duca di Scozia la fanara di fuoco; al Duca di Calabria i dati; al Duca di Borgogna il guanto di ferro; al Duca di Bretagna la canna; al Duca di Milano la lanterna; al Duca d’Orleans le tanaglie; al Gran Maestro di Malta la trombetta; al Conte di Armaniaceo il secchio; al Conte di Tusca la borsa(10). E i flagelli con cui il povero Gesù fu ridotto una piaga dalla testa ai piedi? I flagelli, amici miei, li lasciò al Vicerè di Sicilia; sapendo che voi, come tanti Cristi legati alla colonna, vi lasciate flagellare, senza parlare. Pigliateveli dunque in pace i colpi che vi portano via la pelle a pezzo a pezzo, e bene vi stia!...
La gente che dapprima ascoltava ammirando tutta quella filastrocca, alla fine inaspettata, e dalla quale capiva l’arguzia ironica, mormorava, e commentava. Qualcuno diceva:
- Eh! frate mio, hai torto, perché sai bene che a don Ugo gliel’abbiam strappato il flagello…


Luigi Natoli: Squarcialupo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1500, dove protagonista è Giovan Luca Squarcialupo, patriota. 
Nella versione originale pubblicata unicamente a puntate in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1924. Raccolto ed edito in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori. 
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