mercoledì 13 febbraio 2019

Luigi Natoli: Attacco alla fattoria La Marchiènne. Tratto da: Alla guerra!

A un tratto apparve nel cielo un punto nero, che sollevandosi e avvicinandosi, con le grandi ali distese, s’andò ingrandendo e designando la sua forma. Era un taube. Passò rombando sopra la fattoria, volò su Auvelais, poi girò in largo, ritornò, sparve; ma poco dopo un tuono cupo e violento rimbombò e dominò il crepitìo delle fucilate. L’artiglieria tedesca apriva il fuoco per sloggiare i francesi.
Guy pallido, immobile sotto la tettoia, col trombettiere accanto, aspettava che la fanteria tedesca giungesse sotto la collina, per fulminarla di fianco. Se avesse avute due mitragliatrici, la sua posizione sarebbe stata veramente formidabile. Ma come domandarle? Ad Auvelais non ne avevan mica tante da dislocarne; le poche di cui il capitano poteva disporre, erano in posizione in punti strategici. Bisognava dunque confidare nei fucili.
Portò alla bocca un fischietto e soffiò. Un fremito percorse la terra. Un altro fischio. Uno scoppio molteplice, furibondo, tempestoso, avvolse la fattoria, sopra, sotto, intorno; Betty balzò indietro, con un grido di terrore, papà La Marchiènne impallidì e si tirò da parte; Bruno si rizzò su tutte e quattro le gambe, col muso levato, brontolando.
Guy guardava.
Giù nello stradale, i tedeschi colti alla sprovvista, si erano arrestati; molti erano caduti: alcuni erano rimasti immobili, con le braccia spalancate, altri si avvoltolavano nella polvere: erano a tre o quattrocento metri, e si vedevano distintamente.
Il fuoco dei francesi continuava, con un fracasso infernale incalzando: la terra, il fabbricato, tremavano: una specie di febbre pareva rendesse le mani più sollecite: Guy uscì dalla tettoia spingendosi innanzi, allo scoperto, per osservar meglio. Betty pallida, inchiodata fra le sue mucche, con gli occhi spalancati, si sentiva attratta da una forza maggiore dello spavento, a guardare; ma quando vide l’ufficiale avanzarsi solo, non potè trattenere un grido di terrore.
Laggiù i tedeschi, superato ben presto quel primo momento di confusione si riordinavano; altre masse sopravvenivano, a passo svelto, per sorreggere i primi; e cacciare via i francesi dalla fattoria. Ora mentre i primi, riprendevano la loro marcia, curvi, quasi strisciando per terra, fermandosi ogni tanto per sparare; una colonna mosse contro la fattoria, per distogliere il fuoco dei francesi e occupare la posizione. Cominciò un fuoco spaventevole; le palle sibilando stroncavano i rami; passavano tra gli alberi che tremavano con uno stormire pazzo di fronde; si cacciavano nel terriccio, sollevando la terra; poi tempestavano i muri della casa; strappandone i calcinacci, spezzando i vetri, schiacciandosi nei ferri, rimbalzando.
Betty tratteneva il respiro, agghiacciata dal terrore, ma ostinata a guardare. Si era cacciata un po’ più dentro, seguendo con gli occhi l’ufficiale, che pareva non s’accorgesse dell’uragano in mezzo al quale s’aggirava.
Guy seguiva con viva attenzione i movimenti del nemico, che tendeva a spiegarsi sul fianco del poggio, per avvolgerlo. Da quella parte egli aveva fatto costruire la barricata, dietro la quale erano appostati venti uomini. Bisognava rinforzarli. Ordinò a una dozzina di quelli piazzati sotto gli alberi un movimento d’appoggio verso la barricata.
- Non vi alzate! – gridò; – strisciate per terra… non vi fate vedere…
- E voi? – gli domandò un fantaccino piccolo e rosso che aveva un viso di arguto e una parlantina sciolta da parigino.
Si rizzò in piedi, per braverìa, ma quasi subito girò sopra sè stesso e cadde; non gemette che un nome:
- Mamma mia!...
Era il primo, che pagava il suo tributo di sangue, raccogliendo le sue forze sopra un nome; il primo che si balbetta, quando le labbra si sciolgono alla parola, il solo che s’invoca, nei grandi dolori, l’ultimo che erra su la bocca, quando la morte la sigilla. Guy si chinò rapidamente sopra di lui, lo scosse, lo voltò. Aveva gli occhi verdastri aperti con una espressione di sgomento, e la bocca angosciosa piena di sangue e di terra; e non respirava più.
Una grande pietà invase il cuore di Guy: alla sua mente apparve l’immagine dell’ulano da lui ucciso; anche quello era giovane, biondo, con gli occhi chiari. Si rialzò accigliato, stringendo le mascelle quasi per costringere la pietà a ricacciarsi nel profondo del petto, e raggiunse la barricata, dove le palle tedesche si abbattevano come la gragnola.
- Saldi, ragazzi! – gridò per incoraggiarli.
Ma non ce n’era bisogno. Non costretti più al silenzio, esaltati dalla febbre omicida e dall’istinto della conservazione, quei trenta fantaccini gridavano, motteggiavano, accompagnavano di ingiurie ogni colpo, come se le palle potessero, mandate al nemico inacerbirne le ferite. Un fantaccino s’era alzato in piedi, e protetto dall’aratro di ferro, buttato sopra alcune masserizie, tirava con una certa lentezza.
- Uno a ogni colpo, signor tenente! – disse ridendo.
Aveva la mira precisa, e non falliva; abbatteva un tedesco a ogni fucilata, con una freddezza, come se avesse tirato a fantocci di legno in una fiera.
- Non sciupo le munizioni! – aggiunse mirando e sparando.
Giù, ai piedi del poggio, lungo lo stradale era tutta una nube biancastra, ondeggiante. Oltre la quale si vedevano sopravvenire altre masse grigiastre, compatte, che non finivano mai. Se ne staccavano sezioni di soldati, che si buttavan per terra, si avanzavano quasi strisciando, sparavano. Molti non s’avanzavano più, non sparavano più; non importava; ne sopravvenivano altri, passavan sopra i caduti, andavan oltre: importava avanzare, superare la strada maestra, entrare ad Auvelais, per aprirsi la via sopra Charleroi. La strada era sparsa di morti e di feriti: ma da quelle masse, come da una matrice prodigiosamente feconda, balzavan fuori altri vivi. Vi era in quel rifornimento qualche cosa di automatico, di impassibile, di rigido: il cieco movimento di una macchina, che ubbidisce all’impulso della sua leva.
Il combattimento si era allargato; tutti quei borghi, disseminati lungo le rive della Sambra, o fra gli avvallamenti dei poggi; tutte le officine coi loro camini spenti; e più in là ancora, verso Moustier diritta sull’altipiano, verso Tausines, dall’altra parte, in mezzo alle linee della strada ferrata; dovunque era un ondeggiar di nubi, un guizzare di incendi, fra il rombo cupo e implacabile dei cannoni, e lo strepito alto e basso delle fucilate. Di tanto in tanto s’udiva l’eco smarrita d’uno squillo di tromba: e di lontano dal fondo dell’orizzonte, apparivano sempre nuove masse, dapprima come linee fosche, che si movevan lentamente, poi più distinte; si dividevano, si diramavano, si allargavano, e a mano a mano che si avanzavano si ingrandivano. E non finivano mai.
Verso la fattoria però i tedeschi non avevano fatto un passo.
Costretti a combattere scoperti, ammassati in uno spazio piuttosto angusto, in basso, avevan dovuto arrestarsi dinanzi al fuoco sicuro, terribilmente micidiale dei francesi. Gli ufficiali li minacciavano, li percotevano coi calci delle rivoltelle, perché andassero avanti; ma la morte abbatteva anche loro; inesorabilmente, fulmineamente sopra i soldati.
Fu sonato l’ordine di ritirarsi un po’ indietro.
I fantaccini francesi, allora, credendo che abbandonassero l’impresa, levarono alte grida di gioia:
- Aspettate, canaglie!... Abbiamo confetti anche per voi!...
- Prendete questi!...
- E tanti saluti a Guglielmo!...
Quello dietro l’aratro, non gridava; sorrideva, mirava, sparava, e contava:
- Trenta… trent’uno!... Son trent’uno, signor tenente; uno a ogni colpo!... Non sciupo le munizioni… Trenta due!...
Quel movimento di ritirata, scopriva giù ai piedi della collina, uno spettacolo di orrore: il terreno era sparso di caduti; alcuni dei quali si trascinavano spasimando, come per cercare uno scampo; altri si avvoltolavano incapaci di levarsi, e stendevan le mani, come per trovare per terra qualche cosa cui afferrarsi nello sgomento della morte vicina; qualcuno alzava in aria, con gesto folle le braccia sanguinose. Uno si alzò in piedi, mosse due o tre passi brevi rigidi, e s’abbattè di un colpo…
Guy guardò il piccolo francese morto, coi verdi occhi ancora sgomenti, la bocca angosciosa, irrigidito. Delle mosche, venute chi sa donde, gli svolazzavano sul volto. Allora si chinò sopra di lui, gli frugò nelle tasche, ne trasse un piccolo portafogli, due cartoline illustrate, un ampio fazzoletto turchino a quadri rossi. Glielo stese sul volto quel fazzoletto, e conservò nella sua borsetta i ricordi di quel povero morto.
Ritornò verso il casamento crivellato, screpolato dalle fucilate. Papà La Marchiènne era ancor lì, immobile, sotto la tettoia della stalla; accoccolato sopra uno sgabello. Bruno gli si era posto accanto, accosciato sulle zampe di dietro, con gli occhi torbidi, la faccia iraconda. In fondo, sotto la tettoia, un soldato si faceva fasciare il braccio da Betty; un altro, che aveva una spalla fracassata, gemeva con mugolii strozzati, seduto per terra, appoggiato a un pilastro; un terzo si teneva la testa con ambo le mani, dondolandola con un ritmo automatico, che aveva qualche cosa di agghiacciante. Un fantaccino, con una gamba trapassata da una palla, se la legava tranquillamente con un fazzoletto, disse:
- Poveretto! ha una scheggia dentro un occhio, e gli dole!...
Bisognava apprestare qualche medicatura a quei feriti; trasportarli ad Auvelais dove avrebbero trovata un’ambulanza. Forse quel contadino inoperoso aiutato da Betty, avrebbe potuto incaricarsi della bisogna: c’era qualche sentiero, che scansando la strada maestra dove il combattimento s’accaniva, conduceva ad Auvelais.
Guy stava per dare gli ordini opportuni quando s’udì in alto un urlìo strano, lungo, come di una sirena, e poco dopo uno scoppio, dietro il casamento; uno scoppio che fece tremare la terra, scrosciare i vetri, fremere gli alberi. Era un obice.
- La canaglia! – gridò un sergente; – hanno messo i cannoni in batteria!... Adesso sì, che balleremo!...
Un altro obice a qualche minuto di distanza, cadde e scoppiò nell’angolo estremo della fattoria, abbattendone il muro e slanciandone i rottami in aria.
Un ondeggiare di sgomento si diffuse allora tra i soldati, lo stesso Guy si sentì a quei colpi balzar il cuore; due obici caduti a giusto tiro avrebbero spazzato quel pugno d’uomini e rasa la fattoria.
- Fermi, ragazzi! – gridò – volete mostrare d’aver paura? Un francese deve saper morire al suo posto!...


Luigi Natoli: Alla guerra! Romanzo storico ambientato nella Francia del 1914. 
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