- Ora sarà quel di prima! – disse con amaro disprezzo Matteo. – Popolo! Dite una folla inconsapevole, mutabile, che si volta là dove la spinge il vento; che oggi ti segue, ti esalta, si fa uccidere per te; domani ti abbandona, ti vitupera, ti uccide. Non ve ne fidate... Non v’è che un mezzo di tenerlo soggetto e devoto: la paura. E la paura la incutono le armi. Circondatevi di milizie, di quelle che non conoscono la pietà, e tenetele come una minaccia sospesa sul popolo, e questo non si arrischierà mai di tentare qualche cosa contro di voi... E dategli pane; anzi fategli capire che voi solo potete dargli pane, perché non si allontani da voi. Il popolo è un cane: il cane non si mantiene sottomesso e fedele che con lo staffile e col pane. Ma non lo saziate: alimentategli la speranza di ottener di più, perché vi segua... Io ho errato: ho mostrato troppo dispregio e nel tempo stesso troppa debolezza. L’ho abbandonato a sé stesso. Non ne ho diffidato abbastanza. Domatelo senza che egli trovi ragione e mezzi per ribellarsi, ma diffidatene sempre, e abbiate sempre pronte le armi per rompergli le zanne...
Tacque un poco e riprese:
- Io l’odio questo popolo, che sparse il sangue dei miei figli; che saccheggiò, bruciò la mia casa; che mi cacciò come un lupo; che perseguitò i miei amici; e vorrei colpirlo con la mia vendetta... Ma mi serve. Deve essere lo strumento della mia rivincita. Io lo scaglierò addosso ai miei nemici, come una muta di cani sul cinghiale.
Parlando i suoi occhi si accendevano di fiamme d’odio che davano al suo volto una espressione feroce e spaventevole.
- Non ne ho dimenticato nessuno.
Nuovo silenzio. I due Chiaramonte lo guardavano, con ammirazione sommessa, come soggiogati da quella volontà imperiosa.
- Forse la peste ne avrà sottratto qualcuno, non dei maggiori, che salvo il duca Giovanni, sono ancora vivi; ma dei minori. Non vanno trascurati neppur questi: l’andare a caccia al lupo non significa che si debba lasciar la donnola nel pollaio!... Vive ancora quel mercante, quel messer Puccio Cannata, che era uno dei partigiani del duca?
- Se è quel medesimo che ha il banco in Loggia, e un fondaco di panni fiorentini, sì. È lui, anzi, che fornisce la nostra casa. È un mercante onesto, – disse Federigo.
- È un gaglioffo... E quel pedante che insegnava nelle scuole del comune a San Domenico? Mastro Bertuchello...
- Insegna ancora grammatica...
Era un servo di Francesco Ventimiglia; nemico fierissimo vostro e mio... Bisogna cacciarlo via dalla scuola, per lo meno!
Tacque un poco e riprese:
- Io l’odio questo popolo, che sparse il sangue dei miei figli; che saccheggiò, bruciò la mia casa; che mi cacciò come un lupo; che perseguitò i miei amici; e vorrei colpirlo con la mia vendetta... Ma mi serve. Deve essere lo strumento della mia rivincita. Io lo scaglierò addosso ai miei nemici, come una muta di cani sul cinghiale.
Parlando i suoi occhi si accendevano di fiamme d’odio che davano al suo volto una espressione feroce e spaventevole.
- Non ne ho dimenticato nessuno.
Nuovo silenzio. I due Chiaramonte lo guardavano, con ammirazione sommessa, come soggiogati da quella volontà imperiosa.
- Forse la peste ne avrà sottratto qualcuno, non dei maggiori, che salvo il duca Giovanni, sono ancora vivi; ma dei minori. Non vanno trascurati neppur questi: l’andare a caccia al lupo non significa che si debba lasciar la donnola nel pollaio!... Vive ancora quel mercante, quel messer Puccio Cannata, che era uno dei partigiani del duca?
- Se è quel medesimo che ha il banco in Loggia, e un fondaco di panni fiorentini, sì. È lui, anzi, che fornisce la nostra casa. È un mercante onesto, – disse Federigo.
- È un gaglioffo... E quel pedante che insegnava nelle scuole del comune a San Domenico? Mastro Bertuchello...
- Insegna ancora grammatica...
Era un servo di Francesco Ventimiglia; nemico fierissimo vostro e mio... Bisogna cacciarlo via dalla scuola, per lo meno!
I Chiaramonte si strinsero nelle spalle.
Luigi Natoli: Il Tesoro dei Ventimiglia (Latini e Catalani vol. 2)
Prezzo di copertina € 22,00
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