lunedì 11 aprile 2016

Luigi Natoli e "I cavalieri della Stella": il forte di S. Placido.


Il monastero di S. Placido oggi
Suonò l'Ave.

Tutta quella gente depose le armi si cavò il berretto o il cappello e recitò la preghiera. Forse ogni anima in quell'i­stante sentiva che quella poteva es­ser l'ultima sera e l'ultima prece; e si raccomandava con serena pietà, alla mi­sericordia divina.
Dalla Scaletta era uscita una formi­dabile massa di soldati, formata da tre reggimenti dei quali uno scendeva in li­nea diretta a investire il monastero da mezzodì, l'altro più numeroso girando su per i colli tendeva a piombar di fian­co; il terzo, doveva oltrepassare le colline per gittarsi sulla strada di Messina, at­taccare il monastero da tramontana, ta­gliando così la ritirata del presidio da Messina. Galeazzo intuì la mossa; discese precipitosamente, e riferì. Il capitano allora, gli ordinò che con un centinaio di uomi­ni, e i cavalieri della Stella, e due pezzi condotti dall'ingegnere Secolo, corresse a occupare la collina più prossima, e la più importante per la difesa. Galeazzo vi condusse celermente le sue schiere: fece disporre i due pezzi, celò i cavalieri nella boscaglia, appostò i suoi uomini dietro gli alberi e i sassi. Or­dine rigoroso il massimo silenzio, e non tirare se non all'ordine di far fuoco.
Il silenzio della campagna era solo turbato dal calpestio di tutta quel­la gente, cauta e vigilante; il silenzio del monastero dal respiro di quell’altra gente che aspettava nell'ansia del­l'imminente pericolo. E sovra, si librava la morte, e il gelido suo nome pareva in­fondesse un senso di terrore in tutte le cose.
Si erano così avvicinati a poco più di un centinaio di passi, e si disponevano a dar l'assalto, quando improvvisamente, dall'alto squillò, fulmineo, gagliardo, im­petuoso, il campanone del monastero. Tutto il cielo parve riempirsi di quei colpi precipitosi, violenti, ai quali da cento, da duecento punti diversi si ac­compagnò lo sfolgorare degli archibugi e degli schioppi; da duecento luoghi invisi­bili fiammeggiò la morte sopra quei reg­gimenti che parevan così sicuri della vittoria. Lo sgomento di quella tremenda sorpresa fece ondeggiare, rinculare, con­fondere, le prime schiere; che gittandosi su quelle che sopravvenivano, e rigettate innanzi da queste, scomposero gli ordini, generarono confusione e smarrimento...
Allora i dodici cavalieri della Stella con le corazze lucenti alla luna, uscirono dalla boscaglia, con alte grida, e le spade squarciate precipitandosi sui fuggiaschi, intanto che dagli alberi i tiratori fulmi­navano con colpi sicuri, fitti, micidiali. Quei dodici cavalieri parvero uno squadrone. Il reggimento piegò, si rove­sciò indietro, fuggì. Invano gli ufficiali tentavano di arrestarlo; la paura aveva messo le ali ai piedi di ciascuno; il terrore della morte non ispirava che il coraggio della fuga!...
Fu una pioggia di fuoco; ma gli ufficiali spagnuoli avevano potuto rior­dinare le compagnie, e rispondevano vi­gorosamente al fuoco. Il monastero era avvolto in una cer­chia di nubi cineree, squarciate da lampi e da tuoni...
Quella pugna notturna, intorno a quel monastero magnifico e solenne, sotto lo scampanare fitto e incessante, tra il lampeggiare rosseggiante delle schiop­pettate, nell'ondeggiar del fumo lievemente cinereo, aveva qualcosa di fantastico.
Luigi Natoli
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