giovedì 14 aprile 2016

Luigi Natoli e Braccio di Ferro, avventure di un carbonaro: le fucilazioni dei carbonari nel 1820


Da lontano a intervalli gemevano i funesti rintocchi di una campana, poi s’udì un cupo e lento rullar di tamburi. Il doloroso corteo usciva dal Castello.
Innanzi, alcuni birri armati di bastoni e gendarmi con le sciabole sguainate; dietro a loro la compagnia dei confrati con la loro croce, poi i tamburini dei granatieri austriaci, coi tamburi velati a bruno e scordati; un ufficiale coi capelli biondicci e una faccia rincagnata, duro e dispettoso; un drappello di veterani, e indi fra una doppia fila di granatieri, i condannati, uno dietro l’altro, vestiti di una specie di sacco, il capo coperto di un velo nero, le mani legate dietro il dorso, i piedi scalzi. Andava ognuno fra il sacerdote che lo andava confortando, e un gendarme che lo sosteneva e lo guidava.
La strada lunga, lubrica per la pioggia della notte, che aveva qua e là, lasciato pozze fangose, aveva da una parte le case del Borgo, dall’altra il mare livido, che s’infrangeva fra le secche.
Via via che il lugubre corteo procedeva, i pochi passeggeri fuggivano per le strade traverse; qualche bottega ancora aperta s’affrettava a serrare; chi non poteva sottrarsi altrimenti, chiudeva gli occhi per non vedere: ma al suo orecchio giungeva il cupo e lento battere dei tamburi, la voce lamentevole e cadenzata dei sacerdoti, il grido supplice ed esortativo dei confrati che invocavan preghiere per l’anima dei morituri.
Oltre la parrocchia di Santa Lucia, si allargava un vasto piano, diviso in due dallo stradale che conduce a Monte Pellegrino. La parte verso il mare prendeva nome dal convento della Consolazione, che ne segnava il limite settentrionale, l’altra parte dove ora sorgono le carceri, conserva il nome di piano dell’Ucciardone. Era la meta.
Altre milizie austriache e borboniche erano sulla piazza della Consolazione; divise in due ali, l’una di faccia all’altra, perpendicolarmente al muro del Convento, e in modo da lasciare fra loro un largo spazio. Dietro di esse e al principio della piazza eran dei gendarmi a cavallo; più addietro, dalla parte del mare, sulla strada del Molo, i cannoni delle batterie da costa (sparite ora e mutate in magazzini) avevan le bocche rivolte sulla piazza, e i cannonieri stavan con le micce accese, minaccia di un popolo che non c’era!…
Fra l’una e l’altra schiera di soldati in capo alla piazza, poco innanzi al bianco muro del convento erano alcune panchette in fila; allo svolto del fabbricato due carrettoni coperti da una grossa tela. Quelle e questi aspettavano le vittime.
Quando il corteo giunse, a un cenno dell’ufficiale, i granatieri che lo accompagnavano si schierarono fra le due ali, colla fronte al Convento, così da formare con queste, i tre lati di un quadrato spazioso. 
I condannati furono dai gendarmi spinti dai innanzi, sino alle panche.
I sacerdoti abbracciavano le vittime, e rivolgevan loro l’ultima parola di conforto; e un drappello di ventisette veterani, su tre file, staccandosi dal grosso della truppa, si schierava a venti passi dai condannati.
Forse qualcuno dei condannati ripetè le supreme parole dei sacerdoti; essi stavano immobili, con le mani legate dietro le reni, gli occhi serrati nella benda; ma indovinavano, sentivan già il freddo della morte scendere nel loro sangue.
All’improvviso balenìo d’una lama, uno scoppio squarciò il silenzio, una nube di fumo empì lo spazio; quei nove corpi si abbatterono per terra, coi petti infranti… Non erano morti! I veterani borbonici li avevano solamente feriti. Bisognò ricaricare le armi, e tirare ancora due volte su quegli sventurati. Fu un assassinio; e non un giudizio.
Poi le soldatesche si raccolsero, si ordinarono, tornaron via; i preti si avvicinarono ai cadaveri, li benedissero, e si allontanarono anch’essi pallidi e convulsi; sul luogo infame rimasero, tra le panche rovesciate, quei nove corpi, che versavan sangue dalle orrende ferite; e pochi gendarmi e birri incaricati di fare eseguire l’ultimo ufficio.
Allora i confrati si avvicinarono; qualcuno si chinò per toglier le bende a quegli occhi che non vedevan più....
Luigi Natoli: Braccio di Ferro, avventure di un carbonaro, nel volume Tre romanzi del risorgimento italiano di Luigi Natoli.
Prezzo di copertina € 24,00 - Sconto 15% - Spedizione gratuita.
Ulteriori informazioni: ibuonicugini@libero.it
 

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