lunedì 11 aprile 2016

Luigi Natoli e "I mille e un duelli del bel Torralba": il teatro Santa Cecilia.


La sera del 12 gennaio, anniversario della nascita del re, v’era una rappresentazione di gala al teatro di Santa Cecilia: l’Alzira del maestro Nicolini. Si sapeva che il re vi interveniva: la nobiltà aveva accaparrato i palchi di prima e seconda fila, ben inteso che anche in questo si osservavano le prerogative della gerarchia: i semplici baroni non potevano avere lo stesso rango dei principi. I cavalieri erano relegati nella terza fila, coi proprietari, coi curiali, i “paglietti” e così di seguito. Anche le sedie della platea erano destinate gerarchicamente: le prime file erano pei nobili. Quanto alla piccola borghesia, ai piccoli mercanti o bottegai, agli artigiani, dovevano contentarsi del loggione, per non offendere di contatti plebei l’incontaminata purezza del gentil sangue patrizio. Lo spettacolo di solito cominciava a due ore di notte; e il teatro presentava a quell’ora una vista maravigliosa. Migliaia di candele accese nel gran lampadare che pendeva dal soffitto e nelle lumiere infisse sui pilastrini tra palco e palco, per tutti e cinque gli ordini diffondevano una luce viva e calda, che faceva brillare le dorature e i birilli di cristallo; sugli sfondi cremisi e ombrosi dei palchi i colori vivaci dei vestiti di seta si staccavano nettamente; le carnagioni parevano più candide, i visi più regolari, giovenili, di una bellezza vaporosa; e sotto le capigliature incipriate gli occhi splendevano, e le bocche si accendevano di un bel cinabro. Colli, semibraccia nude, quali fino all’omero, quali conservatrici della moda passata fino al gomito, trasparivano tra nubi di veli e di pizzi, o si offrivano nella loro bellezza provocante: intorno ai colli, sopra i seni, alle orecchie, sulle vesti, sui capelli, era uno scintillio di gemme; sul sommo delle pettinature tremolavano pennacchietti bianchi, ondeggiavano piume morbide che parevano piccoli strappi di nubi. Tutta la bella sala, che era stata ingrandita, e novamente decorata con maggior ricchezza da dodici anni, rifulgeva, come un tempio consacrato alla beltà. All’ingresso nella sala, e giro giro per la curva, sotto i palchi erano schierati i granatieri, in gran gala, coi fucili e le baionette inastate: altri erano nel vestibolo, e fuori dinanzi alla porta; altri nel corridoio del secondo ordine, di qua e di là della porta del palco reale: il più vasto, nel mezzo della curva, col padiglione azzurro e la corona regia.

Il teatro di S. Cecilia, così detto da una chiesetta dedicata alla santa, che ivi sorgeva, e che apparteneva all’Unione dei Musici, era stato eretto tra il 1692 e il 1693, dai Musici, col concorso della nobiltà e segnatamente del vicerè Uzeda: ed era stato inaugurato il 28 ottobre del 1693 con un’opera musicale l’Innocenza penitente. Insignito del titolo di regio, e fatto segno alle cure della città, nel 1787 era stato come si è detto ingrandito e abbellito. Aveva sessantasette palchi in quattro ordini, e trentadue file di banchi, divise da un corridoio. Il diametro maggiore della sala, era di circa sedici metri e mezzo, il minore era di dieci metri e mezzo. L’altezza della cupola era più di quindici metri. Il palcoscenico era, pei meccanismi di quel tempo, abbastanza capace: aveva infatti uno sfondo di più che venti metri; l’apertura o proscenio ne aveva quasi dieci. La forma della sala, a semicerchio, leggermente allungata verso il proscenio, l’arco armonico, o bocca d’opera, erano costruiti con tanta perfezione acustica da fare del Santa Cecilia uno dei migliori teatri del tempo, per le opere musicali. E tenne il primato in Palermo, finchè il Carolino (ribattezzato poi al 1860 col nome glorioso di Bellini) tra il 1830 e il 1870 lo oscurò e gli si sostituì come principale.

Ma il Santa Cecilia ebbe i suoi fasti; accoglieva i più celebri e le più celebri cantanti; e non aspettava che le opere dei maestri più famosi invecchiassero nei teatri del continente, per farle sentire sulle proprie scene: e qui per la prima volta nel 1784 fu data la commedia musicale del Cimarosa Giannina e Bernardone. Ora il teatro non esiste più; venuto in potere dell’Ospedale Civico non fu più adibito a spettacoli, fu venduto e tramutato in magazzino di ferrame; e le grossolanità dei facchini e il rumore dei ferri urtati rumoreggiano là dove trillavano i gorgheggi di Nina Gabrielli e di Marina Balducci e inebriarono gli animi le note del Paisiello, dello Zingaralli, del Cimarosa. Habent sua ata, anche i teatri!  
 
Luigi Natoli - I mille e un duelli del bel Torralba

 

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