Messer Francesco
Ventimiglia, conte di Geraci, vantava sangue regio. Una tradizione di famiglia,
che però non è avvalorata da alcun documento, gli attribuiva discendenza dai
principi della Casa d’Altavilla: certo le armi dei Ventimiglia erano quelle
stesse dei re normanni di Sicilia: lo scudo d’azzurro traversato da una fascia
a scacchi alternati bianchi e rossi.
Messer Francesco era uno
dei più potenti signori del reame; il suo vasto dominio si stendeva dal mare
fino sopra le Madonie.
Al tempo della
catastrofe comprendeva una ventina di feudi, Sperlinga, Pollina, Castelbuono,
Golisano, Gratteri, Sant’ Angelo, Malvicino, Tusa, Castelluccio, le due Petralie,
Gangi, S. Marco, Belici e altre terre minori e casali, lo riconoscevano
signore: alla sua casa,per diritto ereditario concesso dai re, spettava
l’ufficio di Gran Camerario, una delle sei o sette dignità supreme del regno.
L’amicizia e la
protezione di chi gli era largo al re Federigo, che lo aveva incaricato di
ambasceria pel papa, e lo aveva dato compagno al principe Pietro nella escursione
in Toscana, lo avevano fatto conte di Geraci: i servigi sedi da lui al re e al
regno travagliato dalle continue pretensione della corte angioina, la
ricchezza, l’ampiezza della stato ne avevano fatto il personaggio più
rispettato, più temuto, più invidiato. Non poteva dire di essere amato o di
godere salde amicizia. Non se le accattivava. facile agli impeti, violento,
instabile nelle relazione, vago di piaceri e di novità, superbo della sua
nobiltà, spregiatore degli altri, generoso fino alla prodigalità e nel tempo
stesso geloso dei suoi diritti, prode, irriflessivo, era un impasto di buone e
di cattive qualità.
Luigi Natoliwww.ibuonicuginieditori.it
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