Guy pensava al domani. Domani
sarebbero giunti i tedeschi; gli ulani li avevano già annunziati; nell’aria
immobile si sentiva quasi il rombo pesante e fosco della loro avanzata. Pareva
che un fremito percorresse la terra, sotto il passo di quei reggimenti
ferrigni, che marciavano con una cecità fanatica, verso la vittoria o la morte,
passando, senza fermarsi, sui loro fratelli caduti. Domani quel borgo, che
dormiva tranquillo nell’ombra, tra’ fanali spenti, sarebbe diventato un
inferno; la Sambra, che mormorava dolcemente fra le colline degradanti coi loro
boschetti a specchio, sarebbe stata turbata e insanguinata.
Ma dormiva veramente la
borgata? dentro le case buie e serrate, la gente forse non trepidava
nell’aspettazione del terribile ignoto?
Guy provava una strana
sensazione. Non era paura; tuttavia un lieve fremito, di tanto in tanto, ad
ogni più lieve rumore, gli scorreva a fior di pelle.
Il latrar lontano di un
cane gli faceva spalancar gli occhi nell’oscurità. Passando accanto alle
sentinelle che passeggiavano col fucile su la spalla, dopo aver dato la parola
d’ordine, raccomandava di stare attenti.
Non era paura. Era un
sentimento quasi di oppressione e d’ansia, generato dall’aspettazione del
prossimo nembo. I primi colpi, le prime cannonate sarebbero appunto piovute
contro i suoi cento uomini, in quella posizione estrema; il primo urto della
battaglia avrebbe cozzato contro quel manipolo. Probabilmente quel soldato che
passeggiava su e giù vigilando per la salvezza dei compagni, sarebbe caduto pel
primo; e non sapeva o non pensava che la morte gli era sospesa sul capo. E anche
lui.
Perché no?...
Pensava alla sua casa, e
pensava a Ginevra. Nelle prime ore della sera, in un piccolo caffè aveva
scritto due lettere, una alla mamma, l’altra a Ginevra; e le aveva spedite; poi
aveva in un taccuino, che era il suo piccolo diario, scritto alcuni pensieri.
Sulla prima pagina, per ogni evento, aveva già scritto una nota: Chi troverà questo taccuino sul mio
cadavere, abbia l’animo gentile e pio da inviarlo a M.r Vandois in Parigi, rue
Jouffroy, 26. Aveva raccolto in quel libretto, giorno per giorno, pensieri,
osservazioni, confessioni; vi aveva narrato la storia di quel suo amore del
quale la famiglia non sapeva nulla, vi aveva confidato i suoi sogni, le sue
ambizioni; tutto l’animo suo, in quel che aveva di più segreto e sentimentale.
Ora pensava a questo
taccuino. Se egli cadesse, qualcuno glielo ritroverebbe addosso ed eseguirebbe
religiosamente il suo desiderio… Ah! l’arrivo di quel cimelio nella sua casa a
lutto!... Immaginava la scena, rivedendo tutti i personaggi; l’on. Cadenat col
suo cranio lucido e la sua eloquenza di deputato che parla soltanto fuori della
Camera, avrebbe fatto un bell’elogio. Guy, l’udiva: l’on. Cadenat consolava
madama Vandois, dicendole: - Non bisogna piangere!
Guy è morto da eroe, per la Francia: è una gloria per voi!
Nel disegno di Niccolò Pizzorno: un ulano.
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