Grande
Almirante, capitano, favorito della regina Margherita a molti della corte, e
generalmente creduto pessimo cristiano, e, in fondo musulmano ancora, e in
relazione coi musulmani d’Africa. Il grande Almirante, per la sua politica,
che mal celava una febbre ambiziosa di dispotismo, aveva partigiani e nemici. I
primi erano più numerosi nel popolo e nella piccola borghesia, per sentimento
di solidarietà di classe, come si direbbe oggi e per l’innata avversione di
tutte le plebi alte e basse contro la nobiltà; i secondi erano nella borghesia
dei banchi e nella nobiltà osteggiata sempre da Majone. Inoltre Majone si
appoggiava ai Saraceni, convertiti o no, contro i quali cominciava a
serpeggiare l'odio religioso.
Majone era venuto in corte giovine ancora, al tempo di re Ruggero; ed
era arrivato a ottenere un posto di scriniario, o scrivano. Il re, da quel
profondo conoscitor d'uomini che era, riconobbe in quel borghese un cervello
quadrato e un vivo senso pratico negli affari; ereditato forse dai suoi maggiori
gente di negozi. Accorto, sottile, animoso e risoluto quando era necessario,
simulatore, tenace nei propositi, devoto al re, almeno agli atti, Majone seppe
entrare nell'animo di Ruggero, che da scriniario lo promosse a vice
cancelliere.
Guglielmo l'ebbe a compagno di avventure, prima che si fosse associato al regno del padre; l'ebbe consigliere
e ministro durante gli ultimi anni del regno di Ruggero; ne fu preso e gli si
affidò. Il giorno in cui, dopo la morte di Ruggero, Guglielmo fu solennemente
incoronato nella cappella del duomo, il 4 aprile del 1154, Majone già divenuto
Cancelliere, fu promosso Almirante degli Almiranti, cioè primo ministro. La
parola Almirante, divenuta poi Ammiraglio, derivata da el emir, non designava allora comando di flotta; era titolo di
ufficio civile e militare, indifferentemente. L’Almirante degli Almiranti, o
più comunemente il Grande Almirante era su per giù quel che oggi è il
presidente del Consiglio dei ministri ma con maggior autorità.
Majone, senza parere, aveva a poco a poco radunato nelle sue mani il
potere; e sebbene gli atti recassero la intitolazione Guglielmus dei gratia Siciliae nondimeno essi non esprimevano che
la volontà del ministro. Il quale pareva così interamente e sinceramente
devoto, e così votato al servizio del re, che questi gli abbandonò il regno, e
tenne per sé un altro regno, più ristretto, senza noie, senza brighe, nel quale
egli era solo ed unico signore; era re, ministro, sacerdote di un culto vecchio
quanto il mondo, e sempre nuovo, sempre pieno di incanti, e di giocondità.
Luigi Natoli
Disegno di Niccolò Pizzorno
Disegno di Niccolò Pizzorno
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