venerdì 22 maggio 2015

Luigi Natoli nel romanzo Gli ultimi saraceni: il re Guglielmo I della dinastia di Hauteville.


Così viene descritto da Luigi Natoli il re Guglielmo I, uno dei protagonisti del romanzo "Gli ultimi saraceni".
 
"Guglielmo si vedeva così raramente, che tutte le volte che appariva in pubblico destava la curiosità del popolo. Egli stava sempre chiuso nel suo palazzo, e dicevano che passasse il più della giornata, sdraiato all’orientale sopra cuscini fra le donne del Tiraz. Il re Guglielmo era giovane ancora; aveva nel 1159, trentanove anni: somigliava molto al padre, Ruggero. I cronisti contemporanei ne lasciarono un ritratto che si riconobbe esatto, quando scoperchiata la tomba del re, in Monreale, nel 1811, se ne vide il cadavere ancora intatto. Era di alta statura, corpulento; bello e maschio di volto, sebbene la fronte un po’ stretta, ma l’espressione un po’ acre e repulsiva; i capelli lunghi e la barba folta e rotonda di color biondo traente al rossiccio. Vestiva il camice bianco, percorso intorno intorno da un fregio. Il fianco aveva cinto da un cingolo di cuoio e metallo, al quale era attaccata la spada; indosso aveva una specie di dalmatica tutta d’un colore, ornata di una larga striscia ricamata. In capo un berretto, specie di cuffia, che aveva qualcosa di orientale.

Era un buon conoscitore di donne: rassomigliava da questo lato al pa­dre, che aveva subito il fasci­no della vita voluttuosa dei musulmani, e non contento delle quattro mogli prese suc­cessivamente, s'era fatto un harem, sfidan­do i rimproveri, gli scrupoli e l'orrore del clero. In questo Guglielmo aveva superato il padre, di cui aveva subito il fascino in altre qualità dello spirito. Nell'avarizia, per esempio, e nella ferocia dei castighi. Gli restava di gran lunga inferiore nell'attività maravigliosa, nel fine senso politico, nella opportuna e sapiente prudenza e nella magnanimità, quando era necessaria: qualità che avevan fatto di lui il più grande monarca e statista del suo tempo. Guglielmo ama­va troppo la voluttà, per aver tempo di oc­cuparsi dello Stato. Egli non serbava gli odi tenacemen­te; era così snervato, che non aveva neppur l'energia dell'odio; negli impeti era terribile e crudele; ma passato l’impeto impulsivo, le nuove impressioni affievolivano e talvolta spegnevano le antiche, e non rimaneva che un’ombra di odio o di avversione passiva; talvolta però essa si ravvivava.
Luigi Natoli.

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