Così viene descritto da Luigi Natoli il re Guglielmo I, uno dei protagonisti del romanzo "Gli ultimi saraceni".
"Guglielmo
si vedeva così raramente, che tutte le volte che appariva in pubblico destava
la curiosità del popolo. Egli stava sempre chiuso nel suo palazzo, e dicevano
che passasse il più della giornata, sdraiato all’orientale sopra cuscini fra le
donne del Tiraz. Il re Guglielmo era
giovane ancora; aveva nel 1159, trentanove anni: somigliava molto al padre,
Ruggero. I cronisti contemporanei ne lasciarono un ritratto che si riconobbe
esatto, quando scoperchiata la tomba del re, in Monreale, nel 1811, se ne vide
il cadavere ancora intatto. Era di alta statura, corpulento; bello e maschio di
volto, sebbene la fronte un po’ stretta, ma l’espressione un po’ acre e
repulsiva; i capelli lunghi e la barba folta e rotonda di color biondo traente
al rossiccio. Vestiva il camice bianco, percorso intorno intorno da un fregio.
Il fianco aveva cinto da un cingolo di cuoio e metallo, al quale era attaccata
la spada; indosso aveva una specie di dalmatica tutta d’un colore, ornata di
una larga striscia ricamata. In capo un berretto, specie di cuffia, che aveva
qualcosa di orientale.
Era un buon conoscitore di donne: rassomigliava da questo lato
al padre, che aveva subito il fascino della vita voluttuosa
dei musulmani, e non contento delle quattro mogli prese successivamente, s'era
fatto un harem, sfidando i rimproveri, gli scrupoli e l'orrore del clero. In questo Guglielmo aveva superato il padre, di cui aveva
subito il fascino in altre qualità dello spirito. Nell'avarizia, per esempio, e
nella ferocia dei castighi. Gli restava di gran lunga inferiore nell'attività maravigliosa,
nel fine senso politico, nella opportuna e sapiente prudenza e nella magnanimità,
quando era necessaria: qualità che avevan fatto di lui il più grande monarca e
statista del suo tempo. Guglielmo amava troppo la voluttà, per aver tempo di
occuparsi dello Stato. Egli non serbava gli odi tenacemente; era così
snervato, che non aveva neppur l'energia dell'odio; negli impeti era terribile
e crudele; ma passato l’impeto impulsivo, le nuove impressioni affievolivano e
talvolta spegnevano le antiche, e non rimaneva che un’ombra di odio o di
avversione passiva; talvolta però essa si ravvivava.
Luigi Natoli.
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