mercoledì 27 dicembre 2023

Luigi Natoli: Quando in Sicilia duecentomila persone morirono di fame... Tratto da: La civiltà siciliana nel secolo XVI.

Alla libertà politica non corrispondevano liberali ordinamenti giuridici ed economici. Non unità di codici e di amministrazione; le città governate da magistrati propri e da giurisdizioni privilegiate; onde una varietà di provvedimenti, un moltiplicarsi di decreti, un rivaleggiare nell’ottener favori e concessioni particolari. 
Quanto all’amministrazione finanziaria le continue prevaricazioni, i razionali, banditi o impiccati con certa frequenza, i fallimenti della tavola, o banco di Palermo, il fiscalismo proverbiale dei gabellieri e dei collettori d’ogni genere, provano qual fosse. A questo si aggiungano le condizioni economiche, che lasciavano gravare tutto il peso dei dazi e delle gabelle sul popolo. Siccome la lontananza dei re, e la cupidigia dei vicerè, rendeva arbitri dei parlamenti i baroni, questi, forti nei loro diritti feudali, nelle immunità proprie, accordavano facilmente i donativi; il pagamento dei quali non sulle loro rendite, né su quelle della chiesa, ma sul popolo gravava. Perivano così sotto il gravame dei balzelli le industrie, i coloni abbandonavano le terre, e gli ovili, e si davano a mal fare; e per tutto rimedio il governo inferociva, non pensando che invece di impiccare e squartare i rei, dovevasi scemare il numero reprimendo la tirannia dei baroni, temperando la esorbitanza e la frequenza dei dazi e dei donativi superiori alle forze del paese, raffrenando la feroce rapacità degli esattori, proibendo i monopoli. Ai disagi economici si proponevano disastrosi rimedi: si elevava il valore della moneta, senza considerare che ai momentanei guadagni succedevano perdite irreparabili. Per far danaro i vicerè mettevano all’incanto il ricco patrimonio della corona e del pubblico, le dogane, i dazi, le rendite d’ogni sorta; o incettavano il vasellame e le argenterie dei privati; ma non cercavano di sgravare le terre, di incoraggiare le industrie, di favorire i commerci. Il divieto di esportare granaglie allontanava i compratori e lo scambio: la incettazione che ne facevano i baroni, e i municipi, o per speculazione, o per supplire alla deficienza dei granai, promoveva la povertà e affrettava le carestie. A questi errori economici si addebitano le fiere carestie del 1516, del 1542, del 1591, del 1646, che furono le più terribili, non le sole; e in quella del 1591, durante il viceregno del duca d’Albadelista, afferma don Vincenzo di Giovanni, esser morte di fame nell’isola duecentomila persone. «Così la Sicilia – al dir dello Scrofano – ubertosa nudrice d’Italia, spesso tra carestie e fame coglieasi alle strette».
Questo quadro maestrevolmente ritrae il La Lumia: 
«La popolazione considerevolmente scematasi, talchè per l’isola intera il calcolo che sembra più prossimo al vero non attinge i due quinti del numero attuale...
Grosse e piccole terre sparse a lunghe distanze, per le quali si viaggiava sovente non incontrando una masseria od un villaggio. Comunicazioni malagevoli e scarse per tutto, con fiumi valicantisi a guado, con aspri sentieri serpeggianti sull’orlo di scoscese montagne. La coltivazione ristretta in vicinanze dei luoghi abitati, fin dove si stendeva il contatto immediato degli uomini; poscia immensi poderi lasciati all’armento ed anche spesso al ginepro e al cardo; sotto un cielo sì bello e presso i ruderi di vetuste grandezze, tesori di natura improduttivi e fecondi. Insecure costiere con porti che le carene colmavano, o dove si mostrava solitaria l’antenna di qualche raro naviglio. Nelle terre feudali un castello con torri e merli, d’ordinario su l’altura di un colle, che sovrastava pauroso e sinistro a poche case, e miserabili tuguri intorno. Nelle terre demaniali, ovvero in quelle che non ubbidivano a baroni e tenevano direttamente dal re, antiche cerchie di mura troppo vaste alla menomata frequenza de’ nativi abitanti, rovine accumulate qua e là; presso i domicili de’ modesti borghesi e dei poveri artefici, nobileschi palagi minacciosi e superbi, che rendevano imagini de’ signorili castelli». 
Le continue scorrerie dei pirati barbareschi che non solo depredavano le navi, ma mettevano a ruba le città costiere, costringevano il regno a continue spese per opere di difesa, e i regnicoli a tenersi in arme con grave scapito delle industrie e dell’agricoltura. I provvedimenti del resto erano inutili; malgrado che il vicerè de Vega avesse fatto circondare l’isola di torri di sicurezza o fani, che avvisassero le galee dei corsari, questi continuavano a esercitare lor ladronecci. «I barbareschi con pronte escursioni – disse uno storico – qui rubano i vascelli ch’osano salpare, ivi, più arditi, presa terra, traggono in misera schiavitù le intere famiglie mal secure nelle proprie lor case». Onde il Leti argutamente osserva: «Sembra che i vicerè si mandino in questo regno per servire da gazzettieri alla corte e per dare gli avvisi delli sbarchi e rapine giornaliere che vi fanno i corsali turchi nelle città, ville e castelli, che prendono e ruinano, e di tanti infelici schiavi che trasportano». Ma questo non poteva far molto specie in quei tempi, nei quali il vicerè Gonzaga vendeva la libertà di più migliaia di cittadini, cedendo ad Antonio Balsamo per 30 mila ducati Taormina, terra demaniale; la quale per riscattarsi e conservare la propria indipendenza doveva pagarne 60 mila; e nei quali il vicerè Macqueda mandava sue navi in corso, e arricchiva pirateggiando.

 

Fa parte di:
Luigi Natoli: La civiltà e la letteratura siciliana nel secolo XVI. Il volume comprende: 

La civiltà siciliana nel secolo XVI (Palermo, Remo Sandron editore - 1895)

Prosa e prosatori siciliani del secolo XVI (Palermo, Remo Sandron editore - 1904)

La poesia siciliana del secolo XVI (Estratto da Musa Siciliana, Milano, Casa editrice Caddeo - 1922)

Un poemetto siciliano del secolo XVI (Estratto dagli Atti della Reale Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Palermo serie III Vol. IX - Palermo 1910)

Hortensio Scammacca e le sue tragedie - Studio (Tip. editr. Giannone e La Mantia, 1885 - Palermo)

Pagine 420 - Prezzo di copertina € 24,00

Copertina di Niccolò Pizzorno. 

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