mercoledì 27 dicembre 2023

Luigi Natoli: I fasti della marina siciliana nel XVI secolo. Tratto da: La civiltà siciliana nel XVI secolo

 
Se gli storici non narrano i fasti della marina siciliana, la colpa non è certo di essa; la vittoria di Capo Corvo, riportata dall’ammiraglio palermitano Ottavio d’Aragona, su la flotta turca, è tale da gloriarsene ogni nazione. Le galere erano costruite in Sicilia, e il principe Filiberto di Savoia, venuto a capo di una flottiglia spagnuola in Messina, restò maravigliato de la bellezza delle navi siciliane; onde disse che le avrebbe tolte a modello. Le dieci galere nostre nel 1535 presero parte all’impresa di Tunisi, insieme a due del marchese di Terranova e due del marchese di Grotteria; all’impresa di Algeri, nel 1541 figurarono fra le migliori le galere del regno seguite da cinquanta navi onerarie; con le cinquantaquattro galere che mossero alla conquista di Tripoli si trovava la flotta siciliana, due galere del marchese di Terranova, due col conte Cicala, una di Federico Staiti, due del vicerè duca di Medinaceli; nel 1570, alla difesa della Goletta, con le undici galee napolitane e le quattro maltesi, era la squadra di Sicilia; ventidue galere siciliane presero parte alla battaglia di Lepanto nel 1571, e contribuirono grandemente alla vittoria, resistendo e arrestando Ulucch Alì, che già vinceva il corno destro dell’armata cristiana. 
Sulle galere di Sicilia montava il terzo delle fanterie spagnuole di presidio nel Regno; numero esiguo che era accresciuto però dalle compagnie assoldate in Sicilia e dai cavalieri e dalle lance spezzate che volontariamente s’imbarcavano. 
Il valore siciliano era rifulso in molte occasioni: alla presa della Goletta, il 1535, fu l’ericino Salvatore Bulgarella il primo a salire su gli spaldi e a piantare la cesarea bandiera; nella medesima guerra d’Africa Francesco ed Andrea Palizzolo compirono atti di valore tali da meritare speciali benemerenze da Carlo V. Son noti Francesco Salomone e Guglielmo Albimonte, che furono dei tredici di Barletta, e combatterono a Ravenna e a Parma. Pietro Cardona, conte di Golisano, morì da prode alla Bicocca; Gian Paolo Perollo fu capitano di Luigi XII; il capitano Coza difese per Carlo III contro i francesi il castello d’Avigliano, e vi perdette la vita da prode. 
A Malta, assediata nel 1565 da poderosa armata turca, comandata dal fiero Draguth, due palermitani si offersero di condurre rinforzi, attraversando l’armata e l’esercito nemico. Impresa audace, alla quale si erano rifiutati i vecchi capitani spagnuoli. Don Francesco Omodei e capitan Giorgio Montisoro, con quattro galee ed ottocento uomini levati in Sicilia, compirono con grande ardimento lo sbarco, e salvarono Malta già in procinto di rendersi. La storia raccolse i nomi dei prodi morti in quell’impresa: furono Pietro Antonio Barrese e Girolamo Bonanno palermitani; Giovanni Montalto, Francesco Daniele, Nicolò Settimo, Vincenzo Perno siracusani; Giovanni Patti, Girolamo Balsamo, Antonio Saccano, messinesi; Girolamo Speciale, Giovanni Antonio Landolina e Bernardino Sortino, notigiani; Vespasiano Celestri licatese; Alessandro Alessi di Nicosia; tutti gentiluomini, ai quali bisogna aggiungere i nomi dei popolani, che la storia ingiusta non raccolse. A Lepanto, Cola di Bologna, palermitano, compì tali prodezze che fu chiamato d’allora in poi Cola il Valente; il capitano Cola Antonio Oddo saltò solo in una galea turca, e se ne impadronì; ma vi perdette la vita colpito in fronte da archibugiata; don Geronimo di Giovanni si diportò così valorosamente, che l’anno appresso, nel 1572, all’impresa di Navarino don Giovanni d’Austria lo volle colonnello, e volle anche dal senato i capitani Giorgio Montisoro e Pietro di Vita, le prodesse dei quali ricordan le gesta dei paladini. Né meno valorosi furono don Berlinghieri Requesenz che combattè strenuamente alle Gerbe; il marchese di Licodia, Ambrogio di Santapau, vincitore dei turchi a Torre di Faro. Nelle Fiandre altri forti cavalieri seguirono il vincitore di Lepanto: Ottavio d’Aragona vi fece le sue prime armi; don Gastone Spinola, palermitano, vi fu colonnello, e a Maestricht si diportò mirabilmente e perdette un occhio: altri come Garzia Branciforti, il cav. Platamone, don Ferrante e don Antonio Spinola chiesero di combattere nelle prime file; l’ottennero; caddero da prodi. 
Questi fatti, il prestigio che la monarchia siciliana conservava anche sotto la soggezione straniera, illustravano il nome della Nazione siciliana, ed essa potevasi vantare che i suoi ambasciatori alla corte del papa avevano posto dopo quelli dell’Alemagna, della Francia, della Spagna e dell’Inghilterra; e prima di quelli di Scozia, Ungheria, Boemia, Polonia e della medesima Venezia; potevasi vantare di avere delegati i propri concili; di vedere le porte della reggia di Granata aprirsi a due battenti innanzi ai suoi ambasciatori. 



Luigi Natoli: La civiltà e la letteratura siciliana nel secolo XVI. Il volume comprende: 

La civiltà siciliana nel secolo XVI (Palermo, Remo Sandron editore - 1895)

Prosa e prosatori siciliani del secolo XVI (Palermo, Remo Sandron editore - 1904)

La poesia siciliana del secolo XVI (Estratto da Musa Siciliana, Milano, Casa editrice Caddeo - 1922)

Un poemetto siciliano del secolo XVI (Estratto dagli Atti della Reale Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Palermo serie III Vol. IX - Palermo 1910)

Hortensio Scammacca e le sue tragedie - Studio (Tip. editr. Giannone e La Mantia, 1885 - Palermo)

Pagine 420 - Prezzo di copertina € 24,00

Copertina di Niccolò Pizzorno. 

Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia - sconto 15%)

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