venerdì 14 ottobre 2022

Luigi Natoli: Il casotto delle vastasate. Tratto da: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano.

Quella sera, sabato, si recitava al Casotto delle Vastasate una delle tre commedie popolari più fortunate e più originali: il Cortile degli Aragonesi. Bisognava sentire Marotta, il celebre comico creatore della parte di ‘Nofrio, e Giuseppe Sarci, biondo e femineo d’aspetto e di voce, nelle vesti di Lisa e il Montera nei panni di don Litterio il notaio messinese, e il Corpora sotto le spoglie di Caloriu il Ciancianese. Che risate!... La recita diurna aveva riempito la cassetta; non un posto vuoto: e di gente ne era rimasta fuori, e non si era mossa da lì, aspettando la recita notturna, per prendere i posti migliori, e rifarsi della lunga attesa. Laura stava alla finestra con un vaso intimo in mano, mentre il Barone, fradicio di un liquido che non era nanfa, minacciava con la canna in pugno, e Lisa gridava, e ‘Nofrio si sganasciava dalle risa. La folla batteva le mani, rideva, urlava, fischiava, si abbandonava a una ilarità tempestosa che faceva tremare la baracca.
Il Casotto era lontano: giù a Piazza Marina, quasi un miglio di strada. Era il teatro popolare, o, come si diceva anche, nazionale, dacchè la Sicilia era una “Nazione” per sè, e il dialetto era considerato come lingua nazionale.
Poiché i Signori avevano per loro i teatri di Santa Cecilia e di Santa Lucia, alcuni popolari avevano verso il 1780 fondato un teatro per loro; ed avevano costruito una grande baracca, nella piazza Marina, nella quale recitavano commedie in dialetto, spesso improvvisate, e delle quali i personaggi principali erano i facchini di piazza.
Facchino, in dialetto, si dice vastasu, vocabolo prettamente greco; vastasate si chiamarono quelle commedie, e Casotto delle vastasate il teatro.
Attori e commedie levarono grido.
Fino allora a Palermo non s’era mai visto nulla di simile. C’erano state vecchie commedie, recitate da comici di mestiere, nelle quali il tipo buffo siciliano era rappresentato dal solito Travaglino, o dal vieto Nardo; due maschere oramai insipide i cui lazzi e le cui buffonerie si ripetevan sempre gli stessi. Del resto le commedie non eran molte, e per riudirle bisognava aspettare qualche compagnia di comici randagi e disperati. Figurarsi dunque la sorpresa e il piacere di vedere sul palco non piú quelle maschere, ma personaggi vivi, che si vedevan ogni giorno: gli artigiani, i provinciali, e più i facchini di piazza col loro linguaggio, coi loro gesti, con le loro bestialità, i loro pettegolezzi, le loro baruffe, i loro piccoli intrighi! Un mondo nuovo!
E non eran mica del mestiere, gli attori; tutt’altro. Gente che di mattina attendeva ad altro ufficio, spesso in aperto dissidio con Talia: Giuseppe Marotta che era il capocomico, ed era un vero creatore di tipi, era portiere del giudice della Monarchia; Giuseppe Sarcì portiere dell’Imprese del Lotto; degli altri chi era operaio, chi sarto, chi povero azzeccagarbugli; e pure quanta verità, quanto sapore di arte spontanea in quei comici improvvisati!
Si capisce che la fortuna della Compagnia aveva acceso cupidigie ed emulazioni. Intorno al teatro del Marotta ne eran sorti degli altri; e altre compagnie si eran formate, ma invano: Marotta non ce n’era che uno, e don Biagio Perez che era il poeta comico della Compagnia, non aveva competitori.
Fra gli spettatori fortunati era un bel giovane di ventisei anni, non molto grande, di membra delicate, strette nell’uniforme dei fucilieri, turchina, a risvolte bianche. Pallido, con gli occhi neri, un’aria quasi feminea; ma lo sguardo tagliente, che lampeggiava talvolta come una lama, il naso lievemente aquilino e la mascella forte, davano un carattere di energia a quel volto; e temperavano la mollezza dell’ovale, e della dolce e malinconica curva della bocca, rosea e piccola.
Si vedeva bene che egli aveva una gran cura della bella uniforme turchina, dei calzoni bianchissimi e delle lunghe uose nere; e in generale di tutta la persona, forse un po’ troppo attillata. A non guardarlo in volto, poteva parere un vagheggino; ma lo sfolgorìo degli occhi e la vigorìa delle mascelle avvertivano che sotto quella lindura quasi feminea c’era un cuore che non tremava, e che quella mano sottile e bianca, sapeva render pericolosa la spada, dall’impugnatura dorata, che gli batteva sui polpacci.
Egli stava lì, allo spettacolo, ma non pareva che ne godesse; nel suo volto era steso un velo di melanconia, e il suo sguardo distratto correva evidentemente dietro qualche idea...


Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Grande romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento, quando il vento di libertà della Rivoluzione francese soffiava in tutta Europa. 
Pagine 880 - Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile su tutti gli store online e nelle migliori librerie. 
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia) 

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