giovedì 13 ottobre 2022

Luigi Natoli: Mariquita. Tratto da: Il capitan Terrore. Romanzo storico siciliano.

In fondo alla via detta della Bandiera, quasi allo sbocco della via di S. Andrea, in una casa a un sol piano, abitava la signora Mariquita di Siviglia, una spagnola come ce n’eran tante, attirate dal terzo di Sicilia, che così si chiamava il reggimento spagnolo venuto in presidio. La casa era di apparenza modesta, con un portoncino minuscolo, sopra il quale si apriva una finestretta a sesto acuto, che ora avrebbe fatto gola ad un antiquario, ed accanto, curiosa compagnia, si apriva un balconcino con la ringhiera di ferro di gusto contemporaneo, se di gusto può parlarsi. Per compenso vi ricorreva una cornice della stessa epoca della finestra, intagliata, con pigne e grappoli e foglie intrecciate fra loro; e sotto il balconcino si vedeva ancora l’arco a sesto acuto spezzato per dar luogo alla nuova apertura. 
La signora Mariquita abitava sola con la serva, una cinquantenne, Miguela, anche lei di Siviglia, ma che stava in Palermo da venticinque anni. Essa aveva servito da introduttrice e sistematrice di Mariquita nella società dei giovani… e anche dei vecchi. Si capisce da ciò perché era andata ad abitare presso S. Andrea, dove di solito andavano ad alloggiare le sue consorelle, che davano tanto da dire ai frati di S. Domenico, da spingerli spesso a ricorrere al Pretore. Però ella era una donna privilegiata, tanto che si meritava il titolo di “signora”.
Era di un genere elevato, come, a parte la letteratura, Tullia Aragona. Frequentavano la sua casa poeti, letterati, pittori, scultori, ed in genere uomini di sapere. Ella li riceveva con grazia, mescolando parole spagnole e siciliane con un sapore delizioso. E poi era bella; gli occhi grandi, le sopracciglia folte, la bocca rossa e carnosa che invitava i baci, aggiungevano nuovo fascino alle grazie della persona. E poi aveva solo ventitré anni. 
Ma era orgogliosa, aveva a modo suo un certo onore, e guai ad offenderla, si rivoltava, e spariva la distinzione; l’Andalusa insorgeva col suo sangue moresco, e diventava terribile e feroce. 
Quanto a Miguela poteva nascondere una diecina di anni, perché, nonostante i suoi cinquanta suonati, era ben conservata. Aveva i capelli rossi e gli occhi azzurri, la pelle fina, e il corpo ben portante. Non era né bella né brutta, un viso che non diceva nulla; ma era molto scaltra e prudente. Ella aveva un’amicizia con un certo Geronimo Colloca, che si faceva chiamare il Re della “Bocceria”, ossia del macello (da boucherie) ed era amico, nientemeno, del vicerè duca di Medinaceli; la qualcosa lo rendeva assai temuto. 
Quella sera stessa la bella Mariquita era rientrata di buon umore. Era andata allo spettacolo insieme a Geronimo, bene ammantata così da nascondere il viso, per non cadere in contravvenzione. Un bando vietava alle donne come lei di frequentare i luoghi pubblici. Invero, trovandosi alla spalla di Geronimo, ella poteva ridersi della contravvenzione; i mastri di “Sciurta” o i maestri di piazza o quelli di mondezza o i conestabili non avrebbero ardito arrestare Mariquita, ma ella non voleva approfittarne. Aveva trovato un buon posto nello spazio riservato ai pedoni, e per difendersi dalle dita pruriginose di qualcuno, s’era messo dietro lo stesso Geronimo. 
Mariquita dunque era di buon umore; lo spettacolo con le sue rappresentazioni, coi suoi cavalieri, i suoi duelli, l’aveva eccitata, ed essa aveva manifestato la gioia con piccole grida. Entrando, e gittando la mantiglia alla serva esclamava: 
- Che spettacolo, Miguela! che spettacolo! E poi… Avresti dovuto vederlo! Oh come era bello!
Se ne andò nella sua stanza. 
Non poteva immaginarsi una camera come quella dentro una casa di aspetto così meschino; pur non essendo tappezzata, aveva tutte le caratteristiche di una buona casa borghese, con le sue pareti tinte di color verdino allietato da un fregio color rosso antico; il letto di ferro dorato ma dentro l’alcova, coi cortinaggi di seta rossa, e di seta era la coltre, e ricamate di seta erano le lenzuola. Un inginocchiatoio con un Cristo e una Madonna, innanzi ai quali pendeva una lampada, quattro quadretti di santi, l’acquasantiera con un ramo d’olivo, uno specchio intagliato, e non privo di gusto, davano alla camera un aspetto assai decoroso. 
Mariquita si spogliò dopo aver fatto le sue orazioni e si coricò sempre meditabonda. Le parole di Miguela le sonavano nell’orecchio. Certo, se avesse detta una parola, Miguela si sarebbe fatta in quattro per portarle in casa Galvano. Perché non glielo aveva detto? Perché mentre era bramosa di vederlo, di parlargli, provava una ritrosia, una vergogna, un pudore alla idea di essergli vicina. Avrebbe voluto poter essere non d’altri che di lui; portargli intatta la sua persona, come intatto era l’animo suo e non poteva. Era questa la ragione della sua vergogna. 
I suoi pensieri senza volerlo, si sospingevano indietro negli anni, e le rappresentavano il passato. 
Ella si vedeva a Siviglia; l’ombra della Firalda si proiettava sulla sua casa e sul suo cuore. Aveva sedici anni, ed era un fiore ancor chiuso, che spandeva intorno a sé la fragranza delle cose intatte. Passava i giorni tra la sua bella cattedrale e la casa, ignara dell’amore e cantava, cantava con voce di flauto. 
Poi aveva conosciuto Frascuelo. Era stato in chiesa; egli la guardava con desiderio, ma lei non se n’accorgeva; uscendo, egli aveva dato l’acqua benedetta alla madre di lei, che aveva detto: – Molto compìto quel caballero! – E allora ella lo aveva guardato arrossendo. Le era parso di amarlo. Poi una notte egli se l’era portata via col suo cavallo. 
Per sei mesi era vissuta fra le ebbrezze della passione; poi aveva incominciato a riflettere che non aveva fatto bene ad abbandonare la casa paterna. Intanto era nato un figlio, e allora Frascuelo, alla sua volta, l’aveva abbandonata. 
Ella era ritornata a quella casa che aveva lasciata; sua madre al vederla comparire pallida e poveramente vestita, si era commossa e l’avrebbe accolta come il figlio prodigo, ma il padre, no. 
- Va via! non c’è casa per le svergognate come te! Va via! 
- Sì, andrò via! 
Il bimbo era morto; ella era rimasta sola, in balia del caso…
Una picchiata lunga e precipitosa. 
- È lui – disse Miguela, alzandosi e andando a tirare il saliscendi. 
Entrò Geronimo Colloca.


Luigi Natoli: Il capitan Terrore. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1560. 
L'ultimo romanzo scritto dall'autore, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1938 e fedelmente ricostruito in questo volume. 
Pagine 477 - Prezzo di copertina € 21,00
Copertina e disegni di Niccolò Pizzorno.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia).
Disponibile su tutti gli store online e nelle migliori librerie. 

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