domenica 24 aprile 2022

Luigi Natoli: Un pomeriggio di settembre del 1713... - Tratto da: I Beati Paoli. Grande romanzo storico siciliano.

La strada di Mezzomonreale che per oltre tre miglia corre diritta dal piede del colle Caputo alla Porta Nuova di Palermo, era nel secolo XVIII per un buon tratto, dalla porta fino al Convento dei Cappuccini, fiancheggiata di grandi e ombrosi alberi, fattivi piantare da Marcantonio Colonna durante il suo viceregno. Alcune fontane, delle quali ancora ne avanza qualcuna, ornavano il largo viale, e dei sedili offrivano comodi riposi all’ombra. Di qua e di là, oltre i muri che fiancheggiavano la strada, oltre le case rare, si stendevano orti e prati e agrumeti, sorgevano ville magnifiche, qualche chiesa lanciava sopra il verde, il suo campanile squillante, il vetusto e grigio palazzo della Cuba torreggiava, triste e solitario superstite di una grandezza scomparsa, ridotto a caserma di cavalleria. Questo stradale era in quei tempi una delle passeggiate favorite dai cittadini di Palermo, specie nelle ore vespertine e nelle prime ore notturne, nelle quali le ombre avvolgevano di mistero i convegni degli innamorati. Nel pomeriggio la strada era percorsa da portantine e carrozze rilucenti di dorature, sormontate da grandi pennacchi svolazzanti, e da una parte e dall’altra da domestici borghesi e popolani, che non potendo concedersi il lusso di esser trasportati dai piedi altrui, si compiacevano di riconoscere e ammirare gli equipaggi, che fragorosamente andavano e venivano fra porta Nuova e la fontana dei Cappuccini. I giovani signori preferivano andare a cavallo, caracollando fra le carrozze e le portantine, per far mostra della loro abilità e sfoggiare la ricchezza del loro abbigliamento. Le carrozze di quel tempo erano ben diverse da quelle odierne così svelte e leggere; eran pesanti macchine, sorrette da cinghie di cuoio sopra ruote tozze e massiccie; veri monumenti ambulanti, avevan nondimeno qualcosa di magnifico e di imponente. Eran tirate da quattro, sei, talvolta anche otto cavalli, tutti d’un manto, attaccati a due a due, con bardature e finimenti ricchissimi, con pennacchi dai vivaci colori sulla testa. Le qualità e i mezzi del signore si rivelavano nella ricchezza delle scolture, nella bontà delle decorazioni pittoresche, spesso affidate ad artisti di grido, nella profusione dell’oro. Uno, quattro o cinque pennacchi sormontavano la cupola; tende di seta con frange d’oro pendevano nell’interno, tappezzato di cuoio o di velluto. Il cocchiere troneggiava e veramente la cassetta su cui sedeva, coperta di una gualdrappa di velluto, con le armi della casa d’argento e d’oro massiccio cesellato, pareva un trono, o un altare; ed egli un nume, nella sua ricca livrea, e nel gesto solenne col quale teneva le redini. Due o tre lacchè in livree non meno ricche, stavano ritti dietro la cupola della carrozza, tenendosi a delle maniglie; e dinanzi ai cavalli, e ai fianchi della carrozza, andavano i volanti trotterellando, in pugno le torce, che all’ave avrebbero acceso per rischiar la strada al padrone, costretti a gareggiar col passo dei cavalli, a scansar cento volte l’urto di altri volanti e di altre carrozze, o le zampe dei cavalli caracollanti. Nè meno ricche eran le portantine, graziosi ninnoli al paragone delle carrozze, di seta, d’oro, di pitture, trasportate da servi in magnifiche livree, circondate anch’esse da volanti. Fra esse se ne vedeva qualcuna più semplice, anzi sobria; o era da nolo, o apparteneva a qualche medico o prete. Una passeggiata in quel principio di secolo aveva dunque un aspetto di magnificenza e di ricchezza, e una varietà di colori e di luccichii, di cui difficilmente oggi possiamo farci un’idea. In mezzo a questa magnificenza s’insinuava talvolta qualche carretto, o qualche “retina” di muli carichi o di sacchi di frumento o di otri, che attardatisi per la strada, giungevano in Palermo sul tramonto; e si fermavano dinanzi una taverna. I lacchè, insolenti e soverchiatori, ributtavano da una parte carri e muli, quando non facevano in tempo a lasciar libero il passo; nè si davan pensiero se qualche sacco andava per terra, e il grano si spandeva. 
Appunto nell’ora del passeggio, e quando più risplendeva la pompa lussureggiante dei signori, un pomeriggio di settembre del 1713 scendeva dalla strada di Monreale verso Palermo un giovane cavaliere, il cui assetto stonava maledettamente con quell’apparato di ricchezza, e più con l’espressione del volto.
Entrando in mezzo al lusso degli equidaggi, tra i bei cavalli caracollanti, cavalcati da giovani signori azzimati, profumati, inappuntabili, il giovane cavaliere non sembrò vergognarsi, ma tentando coi lunghi sproni e con certi strettoni delle redini di infondere un po’ di vivacità alla sua rozza stanca, infangata, teneva il capo eretto con aria spavalda e quasi di sfida, senza curarsi degli sguardi curiosi e beffardi e dei motteggi salati, coi quali era accolto il suo passaggio.



Luigi Natoli: I Beati Paoli. Grande romanzo storico siciliano. 
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