martedì 26 aprile 2022

Luigi Natoli: Mastro Cecco di Naro e il chiostro di San Domenico. Tratto da: Il Paggio della regina Bianca.

Nel 1401 la chiesa di San Domenico, che sorgeva presso a poco dove sorge l’odierna, non era molto grande: era stata edificata da cento anni, da quando i frati abbandonarono il piccolo convento di basiliane, che si trovava sul Cassaro, dove fu poi eretta la chiesa di S. Matteo. Della chiesa antica non rimane più nulla, pei successivi rifacimenti e ingrandimenti; ma restano ancora tre lati del chiostro, coi loro piccoli archi acuti sorretti da doppie colonnine varie di forma e di capitelli, come sono i chiostri siciliani di quel tempo. 
Mastro Cecco dipingeva una parete del chiostro, per incarico di quei frati. Non era un gran pittore; e nel disegno e nel colore aveva quella ingenuità infantile dei pittori primitivi, in un tempo in cui la pittura aveva avuto Giotto, e s’avviava a quello sviluppo che fece grandi i quattrocentisti. 
Un devoto aveva legato una somma al convento, con l’obbligo ai frati di far dipingere in una parete del chiostro, un soggetto tra storico e sacro: il conte Ruggero che libera Palermo dai mussulmani e vi ripristina il culto cristiano. 
Mastro Cecco aveva trovato nel tema un vasto campo per sfogarvi la sua fantasia; e tra i guerrieri che si accalcavano intorno al fortunato venturiero normanno aveva raffigurato i fondatori delle grandi case signorili, che la tradizione o la vanità diceva venuti col normanno. 
Attraverso il palco di legno, sul quale il pittore lavorava, la sua rappresentazione pittoresca si travedeva a brani. Un lato, quello dove erano Ruggero e i personaggi del suo seguito, era dipinto: il maestro attendeva ora a dipingere i Saraceni, dai volti bruni o neri, secondo la tradizione popolare, coperti di grandi turbanti. Nel mezzo c’era il vescovo Nicodemo, tratto dalle tenebre delle catacombe, per ribenedire e riconsacrare al culto l’antica chiesa cristiana, convertita dai musulmani in moschea. 
Il giovane era rimasto meravigliato dinanzi alla vivacità dei colori, profusi con fanciullesca intemperanza sulla parete, sui quali predominavano il rosso, l’azzurro, il verde e il giallo. 
Ma la sua attenzione fu attratta da un guerriero, il cui scudo portava per arma tre monti d’argento in campo rosso. 
- Non è quello lo stemma dei Chiaramonte, maestro? – domandò vivamente.
- Appunto. Come lo sai?
- L’ho veduto altre volte… – balbettò il giovane arrossendo.
- Sì, appunto: quel personaggio è Ugone di Chiaramonte, della stirpe di Carlo Magno, venuto in Sicilia col Gran Conte…
- Lo so. – interruppe il giovane. 
- Toh! lo sai? – esclamò il pittore, voltandosi e guardando maravigliato il giovane, che parve pentito di essersi lasciata scappare quella interruzione. – Come lo sai?
- Me l’hanno raccontata…
- A Catania? – domandò con tono canzonatorio il pittore; – sanno coteste storie a Catania?...
Il giovane non rispose.
Cecco di Naro spandeva certe pennellate larghe di azzurro nelle vesti di un Saraceno; e il silenzio li avvolse, e avvolse il chiostro. 
Il sole non era ancora così alto da inondare della sua luce tutto il chiostro: ne illuminava, in un angolo, il fastigio, gli archi e i capitelli, che avevano un candore abbagliante: il resto era immerso nell’ombra: un’ombra chiara e fresca, piena di raccoglimento. 
Sulle grondaie di pietra intagliata, sull’arco di ferro battuto che reggeva la carrucola del pozzo, in mezzo al chiostro, dei passeri gittavano piccoli  gridi di gioia. 
Mastro Cecco pareva assorto nella sua pittura; ma a un tratto si voltò rapidamente e domandò al giovane:
- E il figlio? il figlio?
La domanda rispondeva certo al corso dei suoi pensieri; ma il giovane fece un viso stupìto.
- Che figlio? – disse.
- Ah! che figlio? Hai ragione, credevo che stessimo a parlare di messer Andrea. Domandavo che ne è del figlioletto del povero conte. Era a Catania quasi prigioniero di quel capitano. Poi non se ne seppe più nulla. Chi sa? forse il duca di Montblanc, quel vecchio brutto e giallo e adiposo come un giudeo, l’avrà fatto avvelenare. Aveva paura il briccone del lioncello… Tutti perduti, tutti… Non c’è più nessuno: e la gloria dei Chiaramonte che ho istoriato nel soffitto dello Steri, rimane lì, deserta, solitaria, a contemplare i carnefici… quando hanno il coraggio di venire!...
Parlava serrando le mascelle, con un impeto di collera e di odio, e stendendo il pugno contro i nemici lontani e potenti, che non potevano udirlo. 
Il giovane lo ammirava, sorridendo lievemente a quell’ira innocua, che però rivelava l’intimo sentimento del pittore. 


Luigi Natoli: Il Paggio della regina Bianca. Grande romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401, quando ebbe fine l'epoca chiaramontana. 
Pagine 726 - Prezzo di copertina € 22,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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