giovedì 7 aprile 2022

Luigi Natoli: don Emanuele Albamonte duca della Motta. Tratto da: I Beati Paoli. Grande romanzo storico siciliano

Il palazzo del duca della Motta sorgeva nella strada di S. Agostino, presso la piazzetta del convento della Mercè; era un antico edificio sormontato da un’alta torre, conosciuta allora col nome di torre di Montalbano; la quale era forse una delle antiche torri della città, incorporatasi con l’estendersi delle mura in una casa signorile. Del palazzo e della torre, ricordata nelle vecchie topografie, non rimane più vestigio; ma nel 1698, sebbene i pesanti balconi dalle ringhiere di ferro battuto e dalle mensole massicce, e il grande portone, sopraccarico di cartocci di stucco ne avessero deturpato il carattere, serbava la sua massa imponente e troneggiava fra le altre case della contrada. 
Il duca don Emanuele Albamonte fino a quarantacinque anni era rimasto celibe, pur non disdegnando di appendere qualche volta una ghirlanda all’ara di Venere. Forte, vigoroso, esuberante di vita, sdegnando le effeminatezze della società signorile, aveva passato la giovinezza fra le sue terre; feudi immensi che si distendevano fra le valli e su per le colline staccantisi dalle aspre e nevose giogaie delle Madonie. Le selve intricate che infoltivano quei gioghi eran ricche di grossa selvaggina, nè era raro il lupo. Don Emanuele preferiva inseguire e affrontare i pericoli di queste cacce, piuttosto che lasciarsi trascinare in carrozza per la passeggiata della Marina; provava maggior felicità a vibrare la sua daga dentro la gola di un lupo, che passar la giornata in inchini e a guardarsi le belle trine delle maniche nei salotti di qualche dama. 
Per queste ragioni, durante la guerra di Messina, essendo già a capo del suo stato, accolse volentieri il bando delle armi, e come signore feudale, levò una squadra di milizie dai suoi stati e corse a combattere i Francesi e i ribelli. Allora aveva ventisette anni; e s’innamorò del mestiere. La caccia al lupo era una bella cosa, ma la guerra era ancor più bella; c’era più eroismo, c’era più grandezza e nobiltà di gesto. E allora ottenne un brevetto di colonnello, e poiché, dopo la caduta di Messina, non c’era più nulla a fare in Sicilia, passò il mare e se ne andò in Spagna, pur aprendo delle grandi parentesi nella sua vita bellicosa per venire a respirare l’aria delle sue montagne. 
A quarantacinque anni però don Emanuele si accorse che bisognava pur continuare la stirpe, e che egli sarebbe stato il primo duca della Motta, che non avrebbe trasmesso lo stato a un suo diretto e legittimo discendente. Forse dei rampolli del suo sangue ve n’eran dispersi e ignoti, ai quali il mistero della nascita non consentiva di fregiarsi del nome degli Albamonte, ma l’erede voluto dalla legge non c’era. L’idea del matrimonio gli si affacciò allora, e gli fece riflettere che bisognava affrettarsi, giacchè oramai egli era troppo maturo; o farlo subito o rassegnarsi al celibato, come se fosse stato un cavaliere di Malta, e rinunciare all’erede diretto. 
La sua famiglia oramai si componeva di lui, di due sorelle monache nel monastero di Santa Caterina, e di don Raimondo; due altri fratelli, maggiori di don Raimondo, erano morti in tenera età: Raimondo era l’ultimo nato. Fra loro due v’era una differenza di diciassette anni; quando Raimondo cominciava a balbettar le prime parole e a dare i primi passi, don Emanuele correva a cavallo attraverso i boschi, come un cavaliere errante in cerca di avventure. Don Raimondo era cresciuto in città nell’ombra del vasto palazzo degli Albamonte; quasi sempre solo, sotto le cure di un pedagogo prete, passando la vita fra gli studi, le pratiche religiose e qualche esercizio cavalleresco, secondo il proprio grado. Ogni domenica andava a visitare le sorelle monache, alle quali non aveva mai potuto affezionarsi, perchè non era mai convissuto con loro neppure un giorno nella dolce intimità familiare; nè più affettuosi erano i rapporti con don Emanuele, che egli vedeva assai di rado, quando cioè il duca tornava dalla guerra o dalle sue lunghe dimore in campagna. 
Don Raimondo aveva una grande soggezione per quel suo fratello grande, robusto, rumoroso, nemico delle cerimonie, quasi rude, che lo trattava come un fanciullo. Infatti don Emanuele considerava il fratello col fare bonario di un padre tollerante e di manica larga, supponendo che don Raimondo fosse un giovane che avesse le sue capestrerie.
Don Emanuele passò una diecina di anni in Sicilia, alternando la dimora fra i feudi e la capitale; e in questi dieci anni prese una viva affezione pel suo piccolo fratello, al quale proibì di farsi prete. Un Albamonte, che sono stati tutti uomini di guerre o presso a poco, infagottarsi nell’abito talare? Oibò! Che bisogno ne aveva del resto? Gli mancava qualche cosa nel palazzo dove era nato? e forse il suo fratel maggiore non lo amava? Se mai, il suo posto era nel Tribunale nel Regio Patrimonio, o nella Gran Corte criminale, quando non si sentisse alcuna vocazione per le armi. Don Raimondo obbedì con quella sottomissione che il diritto di primogenitura poteva esigere da lui: ma non potè mai assuefarsi alla familiarità del fratello. 
Una mattina don Emanuele gli disse: 
- Figlio mio, io invecchio; è tempo che io prenda moglie. 
Don Raimondo levò il capo vivamente, impallidendo. Per la prima volta, forse, guardò negli occhi il fratello, ma senza tradire il pensiero interiore. 
- Ho già in vista la tua futura cognata; è molto più giovane di me; ma per un vecchio tronco come me ci vuol proprio un bel virgulto giovane per farmi rinverdire. 
- Quel che fate voi è sempre ben fatto, – rispose don Raimondo senza entusiasmo, ma senza mostrar freddezza; e dopo un minuto di silenzio riprese: – E sarà troppo ardire domandarvi il nome della mia signora cognata?
- Ma anzi, è naturalissimo, figliol mio: è donna Aloisia Ventimiglia. Buon sangue. Discende dai re normanni...



Luigi Natoli: I Beati Paoli. Grande romanzo storico siciliano. 
Pagine 938 - Prezzo di copertina € 25,00
Dopo novant'anni dall'ultima edizione curata dall'autore (1931), il romanzo torna finalmente con tutto lo stile dell’epoca allo splendore della reale versione originale, impreziosito dall'originale copertina di Niccolò Pizzorno e corredato dal contesto storico dell'opera tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo dello stesso autore (I Buoni Cugini - 2020)
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon Prime, La Feltrinelli, Ibs e tutti gli store online.
Attualmente in libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour)

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