Raccolto l’esercito composto di milizie
proprie e bande feudali, di nobili, di mercenari, di hildaghi spiantati, di
masnadieri, di ladroni assolti da pene, e postolo sotto gli ordini del valoroso
Bernardo Cabrera, avendo già distribuite ai principali cavalieri le alte
cariche del Regno, uffici e privilegi, il duca di Montblanc, col figlio e con la
nuora salpò da Port Fangos nei primi di marzo: il 22 marzo 1391 approdò a Favignana, ed
ivi ricevette l’omaggio di Guglielmo Peralta, Antonio Ventimiglia, del conte di
Cammarata e di Enrico Rosso: a Trapani gli fecero onore molti dei baroni
convenuti a Castronovo, dei quali congiunse le milizie feudali alle sue.
Solo non vi si recò Andrea Chiaramonte,
che rimase a Palermo, dove l’umore non era favorevole ai due Martini.
La domenica delle palme l’esercito
catalano si schierò sotto le mura della città, che, chiuse le porte, rifiutò d’arrendersi,
onde il duca pose l’assedio dalla parte di mezzogiorno. Tra il reciproco
bombardarsi, il duca dava il guasto alle campagne e avvenivano conflitti con
danno dell’una e dell’altra parte. Nella generale defezione, quella resistenza
pareva l’ultima difesa dell’indipendenza del Regno. Gli altri Vicari s’erano
dati allo straniero: Andrea Chiaramonte rimaneva solo. Dopo un mese di assedio,
crescendo la fame, l’arcivescovo di Palermo e uno dei Giudici andarono a
pattuire la resa: Andrea fu assolto e tenuto buono e fedele vassallo: gli altri
ebbero l’indulto. Così stabilito, Andrea il 17 di maggio presentavasi ai Reali,
e ne era bene accolto. Ma il domani, ripresentatosi con l’arcivescovo per
spiegare la sua condotta, il Duca perfidamente lo fece arrestare. Si
imbastirono accuse che erano calunnie, e intanto si prese possesso della città,
dove i Reali entrarono il 21, tra la freddezza del popolo. Il Duca nominò
Bernardo Cabrera Grande Ammiraglio, e Guglielmo Raimondo Moncada, in premio
d’aver venduta la patria, Grande Giustiziere.
Andrea fu sottoposto a giudizio,
condannato a morte, e decapitato il 1 giugno nella piazza Marina, dinanzi al
suo palazzo, donde il duca di Montblanc assisteva. La famiglia fu dispersa: i
beni confiscati. I Chiaramonte scomparvero dalla storia.
Re Martino sorrise a fior di labbra.
Dinanzi agli occhi suoi si rinnovava la visione della tragedia chiaramontana.
Egli stava col padre a una finestra dello
Steri; la piazza Marina era gremita di popolo che gli arcieri e i picchieri
catalani a stento frenavano, perché non invadesse il palco sul quale il boia, appoggiato
alla scure larga e luccicante aspettava le vittime.
Poi dalle prigioni del palazzo uscì il
corteo. I confrati col cappuccio, le guardie, il carro; e nel carro, diritti,
fieri, Andrea Chiaramonte e Antonio delle Favare suo segretario.
Il carro giunse ai piedi del palco.
Andrea Chiaramonte, sebbene avesse le braccia legate dietro le reni, balzò
svelto dal carro, senza bisogno d’aiuto, e montò la scala del palco, senza dar
segno di commozione.
Guardò il suo palazzo: i suoi occhi si
fissarono sulla finestra e cercaron gli occhi del duca e del re.
Martino sentiva ancora il lampo di quegli
occhi, che esprimevano una minaccia lontana; e ne provava un turbamento
indefinibile...
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