mercoledì 2 marzo 2016

Luigi Natoli nel romanzo "I Cavalieri della Stella": la cavalcata di S. Giacomo.


 
La cavalcata di S. Giacomo scendeva dall'alto della strada dei Mer­canti. Uscendo dalla chiesa di S. Maria della Scala, posta nell'angolo formato dalla strada del Duomo e di S. Agostino col torrente della Boccetta, l'Accademia dei Cavalieri per via di traverso entrava nella strada dei Mercanti, e la percorreva fino al Palazzo reale; e niuno spettacolo era più grandioso e magnifico, per nume­ro di cavalieri, ricchezza di vesti e di li­vree, splendore di armature.

Dinanzi, ca­valcava Antonello da alfiere, con una ric­ca assisa di terzanello d'oro, un ampio feltro sul capo, sul quale ondeggiava un gruppo di piume. Il suo cavallo, bianco come neve, dalle froge rosse, dalle gambe svelte e nervose, coperto di una gual­drappa rossa, ricamata d'oro di una ric­chezza e d’una bellezza straordinaria, era condotto a mano da due valletti con la livrea di casa de Gotho. Egli portava in mano lo stendardo della franchigia, con le armi di Messina, croce d'oro in campo rosso. Seguivano i cavalieri, a due a due, ciascuno seguito dai suoi scudieri, essi vestivano la ricca divisa dell'Accademia; corazza e gorgiera di acciaio brunito, maniche di maglia d'acciaio; sul petto grande stella d'oro, immagine della co­meta apparsa ai tre Magi; in capo feltro cinerino con piume bianche e rosse, fer­mate da un cordone d'oro annodato da una piccola stella di diamanti e rubini; lunghi stivali di cuoio color naturale alle gambe, sproni d'oro. Erano tutti armati, oltre alla spada, di zagaglia, pistole, schioppetto e pugnale. I quattro armigeri che accompagnavano i Cavalieri, vestiva­no coi colori della casa, in pieno assetto di guerra. Se non fosse stato pel lusso del­le bardature, per la nitidezza delle armi, e soprattutto pel colore festivo che ogni cosa prendeva intorno a loro, si sarebbe detto che quello era un reggimento che andava alla guerra.

Cassandra Abate guardava con uno stupore pieno di ammirazione e di gioia; non aveva mai veduto nulla di più ma­gnifico. Riconobbe Antonello, che, giun­to sotto il palazzo, levò il capo in alto, ma non ne scorse il pallore, né la commozio­ne; gli sorrise come per fargli sapere che lo aveva riconosciuto, e tosto guardò fra i cavalieri. A un tratto si sentì prendere da una piacevole commozione: riconosceva Ga­leazzo. Galeazzo, in quell'armatura, con quella zagaglia in pugno, rassomigliava appunto a S. Giorgio; se invece del feltro, avesse avuto in capo l'elmo, ella avrebbe creduto che il santo ed eroico cavaliere, staccandosi dal quadro, si fosse mescola­to a quel corteo. Anche Galeazzo alzò gli occhi sul palazzo, ma non come un curioso che cerchi un volto noto e amico; sibbene con un'aria di corruccio, con una espres­sione di odio, che lo fece apparire terribi­le agli occhi della fanciulla. Ah perché non c'era donna Laura? Dietro i cavalieri venivano i trom­betti e i pifferi del Senato, i donzelli, il banditore, il maestro di cerimonia e poi i senatori a due a due, a cavallo, avvolti nell'ampia toga di seta rossa, dalle gran­di maniche; e dopo di essi i magistrati della città, gli uffiziali, le guardie... Gli ar­tiglieri reali non c'erano.
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