mercoledì 28 ottobre 2015

Luigi Natoli nel romanzo Fioravante e Rizzeri: don Calcedonio vende il "pupo" Carlo Magno.


Il giorno dopo don Calcedonio uscì di buonora, e si recò al teatrino. Era commosso come se fosse costretto a strapparsi una costola o meglio il cuore. Guardò tutti i paladini messi in fila, che lo guardavano alla loro volta con gli occhi spalancati; e pareva irresoluto se scegliere l’uno o l’altro. Ne giudicava l’armatura, ne tentava le mosse, ne verificava le vesti. Chi era più bello? Orlando? Rinaldo? Carlo Magno? Fioravante no; quello gli serviva. Chi scegliere? Avevano tutti belle armature di nichel con ricami dorati, e sfolgoravano. Egli ne prese quattro, e li distese sul tavolato, poi su quattro pezzi di carta scrisse quattro numeri, li attorcigliò, li chiuse nel cappello, li scosse e li buttò in terra. Raccattò il più lontano; segnava il numero uno; corrispondeva a Carlo Magno. Trasse un sospiro dal petto: era proprio quello che desiderava. Avvolse il paladino in giornali, se lo cacciò sotto il soprabito e uscì.

Andò al palazzo del duca di Terrabruciata, una duchea di recente formazione, il cui proprietario ricco a milioni aveva fama di essere un raccoglitore di scartoffie, che prendeva per codici antichi, di marmi tolti a vecchie fontane, che prendeva per greci o romani, di lame arrugginite che egli credeva scavate nelle terre sacre dell’antichità. Ma in compenso aveva una buona collezione di bardature, di stoffe, di strumenti, di cose appartenenti al folclore. Gli mancava un paladino per avere una collezione completa o quasi.

Don Calcedonio si presentò al signor duca, e scioltosi il pupo di sotto il soprabito, mostrandolo in tutto il suo splendore, gli disse:

- Le piace?
- Ehm! non c’è male. Quanto?
- Non dico, ma la sola armatura m’è costata circa mille lire.
- Troppo caro!
- Io non ho fatto prezzo; vossignoria è buon giudice, e io vengo a offrire il mio paladino perché so che va in cerca di cose caratteristiche di regione…
- Siete contento di seicento lire?
- Ho detto che faccia vossignoria.
Don Calcedonio uscì dal palazzo con seicento lire e con gli occhi umidi di lagrime.

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