Il tempio d’Iblea, situato nel punto più
alto della piccola città, aveva intorno uno spazio più che sufficiente per
contenere le folle, che accorrevano anche dai paesi più lontani. Il tempio era
piccolo, con un portico esastilo, senza colonne intorno: e doveva quindi la sua
fama più al potere attribuito alla dea, che alla modesta bellezza
dell’edificio. Era stato il più frequentato dai Siculi e ad essi il più caro; e
così era passato ai Greci. Ai tempi di Cleone (verso il 620 di Roma), la sua
fama era decaduta alquanto, ma gli indovini vi godevano ancora credito. Non
erano più numerosi come un tempo, che si contavano a centinaia, tutti a
servizio del tempio; ma dei pochi che tuttavia esercitavano il servizio religioso,
alcuni erano creduti infallibili.
Naturalmente non si consultavano senza
doni, più o meno pingui, che andavano ad arricchire il tempio. La immagine di
Iblea, vestita alla greca, col bastone in una mano e una piccola anfora
nell’altra, era sovraccarica di gioielli, che ornavano anche l’effigie del cane
che le saltava addosso. Ma anche i sacerdoti indovini avevano la loro parte.
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