Il giuoco! L’anno innanzi il vicerè don Marcantonio Colonna principe
d’Aliano, aveva pubblicato un bando coi soliti modi, e suon di trombe e di tamburi,
col quale proibiva i giuochi di “invito e parata”, fra i quali elencava quelli
che erano in uso tra le classi elevate e le infime: “Bassetta, biribisso,
primera di qualsivoglia sorte, goffo, stopo con invito, trenta e quaranta,
cartetta, banco fallito, regia usanza, o sia truppa, faraone, paris e pinta,
passa dieci, sette e otto, scassaquindici, laccio e cavigliola, cacocciolille,
o siano tabacchiere, o siano scorze di noce” e altri popolari; ma era stato
tempo perso. Il bando proibiva assolutamente a qualsiasi persona, senza
differenza di grado, condizione, dignità, nazionalità, privilegio, di tenere
“né direttamente né indirettamente, ridotti di giuochi pubblici o sia
baratteria di carte, dadi, palle e biribisso”. Proibiva che nessuno doveva
giocare e “intervenire
anche per vedere giocare”, fosse
in luogo pubblico o privato, “palagi, case, giardini... ecc.”
Li proibiva, e minacciava gravi pene: pei nobili, se uomini cinque
anni di relegazione, se donne cinque anni d’esilio; senza contare le multe in
soprappiù, e le pene che colpivano i creditori di giuoco e quelli che avevano
giocato in parola, e i conduttori di case da giuoco, i quali dovevano pagare al
fisco mille ducati, e perdere tavolini, sedie, “e tutti gli strumenti dei giuochi
proibiti”, che dovevano essere bruciati innanzi le case in cui si fosse
giocato… Ma non ci fu nessun condannato, nessuna casa vide bruciata la più piccola
cosa; e la prammatica del vicerè Marcantonio Colonna raggiunse tutte le altre
dei suoi predecessori sul gioco nel gran mare delle parole inutili.
Perciò si giocava a primera, a trenta e quaranta e alla bassetta in
barba alle disposizioni.
Dunque don Diego e il baronello Spinola, due arrabbiati giocatori, giocavano
audacemente forti somme. Il baronello puntava; che questo aveva voluto, dacchè
aveva la mano buona; del resto erano in vena di vincere, e dopo un’ora il
mucchietto ch’era dinanzi a loro, diventò
un mucchione. Ridendo si alzarono dal giuoco, e passarono nella sala di
conversazione. C’erano gli oziosi e in quel momento parlavano di un annunzio,
che si leggeva nella gazzetta “Il Nuovo Postiglione”. Era questa una raccolta
di notizie da Parigi, da Madrid, da Vienna, ecc. frammischiate con avvisi di cose cittadine.
Il numero, di cui si parlava, conteneva l’annunzio di un libro pubblicato in
quei giorni. Non è a credere che si trattasse di una edizione di Dante o di
Petrarca o d’un altro classico, ma semplicemente “la Smorfia” o sia “Il vero
mezzo per vincere all’estrazione dei lotti, o sia, una nuova lista generale contenente quasi tutte le
voci delle cose popolaresche e appartenenti alle Visioni e Sogni, con loro
numero, esposto per ordine alfabetico. Opera di Fortunato Indovino, da esso
estratta da Vecchi Libretti dell’Anonimo Cabalista, e di Albumazzar da
Carpinteri. Accresciuta di 400 voci, ed ora in questa terza edizione se ne
aggiunge 582 oltre delle 90 figure esprimenti le arti, il giuoco del Barone...
V’è annesso il giuoco romano, e i numeri delle contrade. Tre nuove Cabale
d’ignoto autore, le tavole astronumeralgebrate, quali saranno per la cabala di
Rutilio Benincasa...”. E chi ne ha più ne metta.
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