giovedì 29 ottobre 2015

Luigi Natoli nel romanzo Ferrazzano: il giuoco della smorfia


Il giuoco! L’anno innanzi il vicerè don Marcantonio Colonna principe d’Aliano, aveva pubblicato un bando coi soliti modi, e suon di trombe e di tamburi, col quale proibiva i giuochi di “invito e parata”, fra i quali elencava quelli che erano in uso tra le classi elevate e le infime: “Bassetta, biribisso, primera di qualsivoglia sorte, goffo, stopo con invito, trenta e quaranta, cartetta, banco fallito, regia usanza, o sia truppa, faraone, paris e pinta, passa dieci, sette e otto, scassaquindici, laccio e cavigliola, cacocciolille, o siano tabacchiere, o siano scorze di noce” e altri popolari; ma era stato tempo perso. Il bando proibiva assolutamente a qualsiasi persona, senza differenza di grado, condizione, dignità, nazionalità, privilegio, di tenere “né direttamente né indirettamente, ridotti di giuochi pubblici o sia baratteria di carte, dadi, palle e biribisso”. Proibiva che nessuno doveva giocare e “intervenire anche per vedere giocare”,  fosse in luogo pubblico o privato, “palagi, case, giardini... ecc.”
Li proibiva, e minacciava gravi pene: pei nobili, se uomini cinque anni di relegazione, se donne cinque anni d’esilio; senza contare le multe in soprappiù, e le pene che colpivano i creditori di giuoco e quelli che avevano giocato in parola, e i conduttori di case da giuoco, i quali dovevano pagare al fisco mille ducati, e perdere tavolini, sedie, “e tutti gli strumenti dei giuochi proibiti”, che dovevano essere bruciati innanzi le case in cui si fosse giocato… Ma non ci fu nessun condannato, nessuna casa vide bruciata la più piccola cosa; e la prammatica del vicerè Marcantonio Colonna raggiunse tutte le altre dei suoi predecessori sul gioco nel gran mare delle parole inutili.
Perciò si giocava a primera, a trenta e quaranta e alla bassetta in barba alle disposizioni.
Dunque don Diego e il baronello Spinola, due arrabbiati giocatori, giocavano audacemente forti somme. Il baronello puntava; che questo aveva voluto, dacchè aveva la mano buona; del resto erano in vena di vincere, e dopo un’ora il mucchietto ch’era dinanzi a loro,  diventò un mucchione. Ridendo si alzarono dal giuoco, e passarono nella sala di conversazione. C’erano gli oziosi e in quel momento parlavano di un annunzio, che si leggeva nella gazzetta “Il Nuovo Postiglione”. Era questa una raccolta di notizie da Parigi, da Madrid, da Vienna, ecc.  frammischiate con avvisi di cose cittadine. Il numero, di cui si parlava, conteneva l’annunzio di un libro pubblicato in quei giorni. Non è a credere che si trattasse di una edizione di Dante o di Petrarca o d’un altro classico, ma semplicemente “la Smorfia” o sia “Il vero mezzo per vincere all’estrazione dei lotti, o sia, una nuova lista generale contenente quasi tutte le voci delle cose popolaresche e appartenenti alle Visioni e Sogni, con loro numero, esposto per ordine alfabetico. Opera di Fortunato Indovino, da esso estratta da Vecchi Libretti dell’Anonimo Cabalista, e di Albumazzar da Carpinteri. Accresciuta di 400 voci, ed ora in questa terza edizione se ne aggiunge 582 oltre delle 90 figure esprimenti le arti, il giuoco del Barone... V’è annesso il giuoco romano, e i numeri delle contrade. Tre nuove Cabale d’ignoto autore, le tavole astronumeralgebrate, quali saranno per la cabala di Rutilio Benincasa...”. E chi ne ha più ne metta.

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