lunedì 14 luglio 2025

Luigi Natoli: Santa Rosalia fu dichiarata patrona della città di Palermo... Tratto da: Almanacco del fanciullo siciliano

Narrano gli scrittori di storie religiose, che alla corte del re di Sicilia, Gugliemo il Buono, c’era un cavaliere, parente del re, di nome Sinibaldo, signore del monte Quisquina; il quale aveva una figlia, giovinetta bellissima, che si chiamava Rosalia, virtuosa e tutta data alla preghiera.
Ora molti la domandavano in isposa, ma essa si rifiutava, perché voleva consacrarsi a Dio; e per sottrarsi alle nozze, fuggì di casa. Pellegrinando, andò a ricoverarsi in certe grotte del monte Quisquina, dove visse, cinta di rozzo saio, nutrendosi di erbe e bevendo acqua fresca con una ciotola. Così passava i giorni in penitenze e in preghiere.
Dal monte Quisquina, a piedi, valicando aspre montagne, venne verso Palermo: arrampicatasi sul monte Pellegrino, vi trovò una grotta, e ne fece la sua abitazione.
Ivi trascorse il resto della vita; ivi morì ignorata: ma poi la fama del suo pellegrinaggio si sparse; e sul monte Pellegrino fu eretta una piccola chiesa in suo onore. Se non che, non si sapeva dove fosse sepolta, per quante ricerche si facessero.
Nel 1624 Palermo fu afflitta da una fiera pestilenza: la gente moriva a centinaia, e non valevano rimedi di medici, nè preghiere e penitenze ad arrestarla. A chi ricorrere?
Quand’ecco un giorno un cacciatore si presenta all’arcivescovo, e gli dice di aver veduto santa Rosalia, che gli aveva indicato il punto preciso dove erano le sue ossa; e lo aveva incaricato di farle togliere e trasportare in Palermo.
E allora vanno sulla montagna; trovano la grotta, scavano, e proprio nel punto indicato trovano le ossa. Era il 15 di luglio. Subito le mettono in un’urna, le portano in processione per tutta la città, e le depositano nel Duomo, dove poi fanno alla Santa un’arca d’argento, che è una bellezza.
La peste indi a poco cessò; santa Rosalia fu dichiarata patrona della città di Palermo; e ogni anno in luglio si celebrano grandi feste, che una volta duravano dall’11 al 15 luglio, poi si restrinsero a tre giorni. Si chiamavano il Festino; e un tempo erano così magnifiche e famose, che da ogni parte accorreva gente in Palermo, per ammirarle.


Luigi Natoli: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie.
L'opera è la fedele trascrizione del volume originale pubblicato da Industrie Riunite Editoriali siciliane nel 1925 e corredata dalle immagini originali.
Pagine 210 - Prezzo di copertina € 18,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Il volume è disponibile: 
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Consegna gratuita per chi ordina da Palermo. Selezionare dal menu a tendina del carrello il codice postale 90100. Consegna a mezzo corriere o raccomandata postale in tutta Italia. Contattaci alla mail ibuonicugini@libero.itTutti i volumi sono disponibili Amazon Prime e Feltrinelli/Ibs.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423), Libreria Modusvivendi (Via Quintino Sella 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Bancarella (Via Cavour di fronte La Feltrinelli)

Luigi Natoli: Il Festino nella Palermo di fine settecento. Tratto da: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano

Corrado intanto gironzolava per tutti quei vicoli a lui noti, guardando con infantile compiacimento la luminaria in onore della “Santuzza”. Centinaia di lampioncini di carta colorata, penduli da festoni di verdi fronde distesi pel largo dei vicoli, un dopo l’altro formavano, visti da lontano, come dei soffitti luminosi. Sui muri delle case imbiancate di fresco ignoti pittori avevano dipinto in rosso e turchino delle colonne e dei vasi mostruosi con dei fiori inverosimili; e dei chiodi appaiati infissi lungo il contorno reggevano piccole lampadine di terra cotta, che spandevano intorno con la luce rossastra il sito dell’olio da ardere. Ogni edicola di santi era illuminata con candele di cera, e ornata di parati di carta; qua e là una tavola era stata trasformata in altare, coperta di un pezzo di stoffa rossa, e di una tovaglia, e su fra candele e mazzi di fiori freschi che tramandavano l’acuto odore della gaggia e del gelsomino, un quadro rappresentante Santa Rosalia, coronata di rose, col rocchetto di pellegrina e il crocifisso e il teschio in mano; ovvero un gruppo di cartapesta raffigurante Santa Rosalia e il “saponaro” vestito da cacciatore, inginocchiato ai piedi della “Santuzza”. Qua e là dinanzi le bettole, dinanzi le case, lunghe tavole e banchi, e boccali e bicchieri, e vino scintillante nei bicchieri, sparso sulle tavole, fragrante e spumoso; e piatti nei quali nuotavano nella salsa di pomodoro galletti o chiocciole; e montagne di mandorle, ancora chiuse nel mallo verde; e polpi bolliti, dai lunghi tentacoli bruni; e da ogni parte una folla che mangiava, beveva, cantava, annegava nella baldoria le tristezze della vita e della povertà; dimenticando anche che per quell’ora di gioia aveva portato la roba al Monte di Pietà. Ma bisognava onorare la “Santa”. La “Santa” per eccellenza è la gentile e poetica romita del monte Ercta, o Pellegrino; la figlia di Sinibaldo, discendente di Carlo Magno, nel cui nome si confondono i nomi della bellezza e del candore: Rosa et lilia, rose e gigli; la taumaturga che proteggeva la sua città natale dai più tremendi flagelli: fame, peste, terremoto e fuoco.
La stessa luminaria più ricca era nelle strade che quell’anno avrebbe percorso la processione dell’urna argentea contenente le miracolose reliquie della vergine romita. Uscendo sul Cassaro o Toledo, lo spettacolo era veramente maraviglioso, e quale nessuna immaginazione potrebbe raffigurare. Le due strade Toledo e Nuova, erano due torrenti di fuoco, due incendii. Per tutta la loro lunghezza eran fiancheggiate da assi di legno intagliate e dipinte maestrevolmente a forma di colonne con vasi, di pilastri, obelischi, statue; dette con unico nome “piramidi”; sulle quali si innalzavano archi di trionfo; e piramidi e archi tempestati di lampadine che seguivano, commentavano, brillavano il disegno, diffondendo intorno una luce viva e uguale. Ai balconi delle case lampioni, candele, lampadari, candelabri; e giù per le strade una folla straordinaria lieta, contenta, ma tranquilla, composta, senza nessuna di quelle clamorose dimostrazioni di gioia che son proprie dei popoli meridionali. Si udivano chiaramente le voci dei venditori ambulanti di semi di zucca e fave tostate, di chiocciole, di acqua e fumetto, biscotti e leccornie. Si aspettava la discesa del “Carro”, il famoso carro trionfale, che era la maraviglia delle maraviglie. Ed esso si vedeva da lontano, torreggiante sulla strada, tremolante nel suo lento avanzarsi, tutto splendente di lumi e di ori e di fiori. Aveva la forma di una barca, su quattro ruote, tirata da cinquanta mule bardate e montate da palafrenieri vestiti alla spagnuola; sulla nave si ergeva una specie di tempietto di stile corinzio, coronato di nubi, circondato di angeli nudi, e su, in alto, così in alto da oltrepassar quasi i tetti dei palazzi, si librava, come in atto di spiccare il volo pel cielo, il simulacro della vergine romita, con le vesti svolazzanti. Giù nei gradini del tempietto i musici sonavano a perdifiato: a ogni fermata del carro si cantava la frottola, specie di lauda in onore della vergine, che veniva composta ogni anno da un poeta ufficiale.
Per tre giorni di seguito il carro attraversava la città. Saliva nel pomeriggio del primo giorno del Festino, l’11 di luglio, da Porta Felice e si fermava al piano del palazzo reale. Ridiscendeva la sera dopo, tutto illuminato, ed era lo spettacolo più grandioso della festa, dopo il vespro solenne nel Duomo; certo il più attraente e caratteristico. Le altre parti della festa, come le corse dei berberi, lo sparo dei fuochi artificiali, la processione, il trasporto delle “bare” e dei “cilii”, eran sì splendide e magnifiche, ma non avevano quella grandiosità inesprimibile del Carro, e dell’illuminazione del Duomo. Eran tre anni che Corrado non vedeva quelle feste così caratteristiche della sua città; e per quanto i suoi nuovi sentimenti gli facessero rimpiangere con certo dolore il folle sciupìo di tante migliaia di scudi, quando la miseria, l’ignoranza, l’abbrutimento asservivano la popolazione, pure non sapeva frenare le dolci commozioni che quegli spettacoli suscitavano nel suo cuore, col destarvi le memorie della sua fanciullezza e la dolcezza amara dei dolori che avevano annebbiata la sua gioventù.



Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano.
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Pagine 880. Prezzo di copertina € 25,00
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Consegna gratuita per chi ordina da Palermo. Selezionare dal menu a tendina del carrello il codice postale 90100. Consegna a mezzo corriere o raccomandata postale in tutta Italia. Contattaci alla mail ibuonicugini@libero.it
Tutti i volumi sono disponibili Amazon Prime e Feltrinelli/Ibs.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423), Libreria Modusvivendi (Via Quintino Sella 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Bancarella (Via Cavour di fronte La Feltrinelli)

martedì 8 luglio 2025

Luigi Natoli: Quel Festino del 15 luglio del 1820. Tratto da: Braccio di Ferro avventure di un carbonaro.

La sera del 15 luglio 1820, la via Toledo sfolgorava di luce, formicolava di gente. Era l’ultimo giorno di quel famoso “Festino” di Santa Rosalia, padrona di Palermo; che per la singolarità degli apparati, per la magnificenza degli spettacoli chiamava a Palermo una folla di isolani e stranieri. 
Quella sera la luminaria fiammeggiava più delle sere precedenti. Pareva che le lampadine infisse lungo i contorni e i disegni delle “piramidi” avessero una specie di allegrezza luminosa. Le “piramidi” erano assi di legno, ritagliate a foggia di colonne, con vasi, od obelischi, e dipinte a colori, che si piantavan diritte lungo i marciapiedi, per tutta la lunghezza della strada, pieni di lampadine a olio. Con esse, con le lampade colorate pensole dai festoni, distesi pel largo della strada, o attaccate alle ringhiere dei balconi, la via Toledo prendeva un aspetto fantastico: vista da una delle estremità, sembrava sommersa nel fuoco. In fondo alla via, sul limite della piazza Marina, torreggiava in un nembo di luce e d’oro il “Carro”, sul quale tra nuvole di bambagia spiccava il simulacro di Santa Rosalia.
Quella sera la folla era maggiore, e aveva un aspetto più gaio. Negli occhi, nei gesti, v’era come il riverbero di una gioia, che non si sa né si può nascondere: v’era una irrequietezza, come di chi aspetti una letizia, che sa, e che tarda a venire. Gente si fermava, barattava saluti e parole, con vivacità di tono e di gesti: i più espansivi si abbracciavano. Qua e là si formavan crocchi e capannelli; che si allargavano e ostruivano il passaggio: ma ecco una fiumana d’altra gente fender la folla, urtare, scomporre il crocchio, trascinarne parte con sé.
Curiose fiumane di giovani e vecchi, di frati e preti, di cittadini e di soldati, a braccetto, o tenendosi per mano, affratellati da un sentimento di gioia, che traluceva dai volti, canticchiando e battendo il passo, avevano sul petto, sulle risvolte delle vesti, sulla tonaca una coccarda nera rossa e turchina: alcuni vi avevano aggiunto un nastro giallo con l’aquila siciliana stampata in nero.
Tutta la via Toledo formicolava di queste fiumane, che si raggiungevano, si fondevano, formavano una massa rumorosa, mobile; che scendeva giù, verso la piazza Marina, si fermava dinanzi al “Carro”; guardava in su, l’immagine della “Santa” librata fra le nubi, sulla cui veste candida e luminosa svolazzava un nastro nero, azzurro e rosso. E allora gridavano:
- Viva Santa Rosalia!
Una voce aggiunse:
- Viva la Costituzione!
Parve il razzo aspettato per dar fuoco alle polveri. Da tutte le bocche proruppe quel grido: - Viva la Costituzione! –; e così terribile che ne tremarono i vetri delle case vicine; migliaia di mani sventolarono in aria cappelli e fazzoletti: il grido si propagò, risalì per la via Toledo, più alto, più entusiastico: la città trasaliva, scossa da quell’irrompere di un sentimento lungamente represso; e pareva che i suoi polmoni si allargassero, come bevendo un’aria nuova e più pura. Il giorno innanzi, 14, con la feluca di padron Catalano era arrivata da Napoli la grande notizia della rivoluzione, e aveva prodotto un senso di lieto stupore, destando liete speranze. Rivoluzione? Proprio? Se ne domandavano i particolari, che passando di bocca in bocca s’ingrandivano, prendendo proporzioni e atteggiamenti eroici. I nomi dei due ufficiali Morelli e Silvati, che la notte di S. Tebaldo, alla testa di uno squadrone di cavalleria, avevano gridato, a Nola, la costituzione di Spagna, furono circonfusi di gloria, con quelli del colonnello De Concillis e del prete Minichini. Tutti carbonari! La loro marcia su Avellino, la sollevazione di quel presidio, la formazione di un corpo d’esercito costituzionale che si trascinava dietro il popolo: la rapidità con la quale la rivoluzione si diffondeva, sembravan miracoli. E il re? Quel traditore di re Ferdinando? Aveva cominciato dallo spedire il generale Guglielmo Pepe contro i costituzionali; senza sapere che Pepe era carbonaro anche lui! Ed ecco Pepe alla testa dei costituzionali entrare in Napoli, e il re concedere e giurare la costituzione! Una rivoluzione compiuta senza spargimento di sangue! Non aveva finito di parlare che dalla strada salì un grido confuso, come di un impeto di vento che s’avvicini e cresca di forza, rotto e dominato con frequenza di raffiche di applausi ed evviva. Tullio disse allora:
- La dimostrazione! Venite!
Si affacciò al balcone, tirandosi dietro la fidanzata, la suocera, e lo stesso signor Anselmo curioso, ma pavido. Uno spettacolo magnifico si offerse ai loro occhi. Dalla strada Toledo veniva un vero esercito di sotto-ufficiali, e soldati e cittadini a braccetto, con la coccarda tricolore sul vestito. Venivano preceduti da un ufficiale, gridando:
- Viva la Sicilia! Viva la costituzione! Viva l’indipendenza!
Al loro passare le confratie, e le corporazioni artigiane che si recavano al Duomo per prendere parte alla processione di Santa Rosalia, sollevavano ed agitavano gli stendardi, i gonfaloni; e dalle finestre, dai balconi, dai marciapiedi, la folla univa il suo grido a quello dei dimostranti; le donne sventolavano i fazzoletti, gli uomini battevano le mani e agitavano i cappelli; tutti accesi dallo stesso entusiasmo. Ordinato, solenne, grandioso, fra lo scintillare delle lampade e dei lampioni, il corteo procedeva verso il palazzo reale. Pareva celebrasse il trionfo dopo una lunga guerra, e assaporasse i frutti di una vittoria tanto più grande e strepitosa, quanto improvvisa. Nessuno dubitava che la Sicilia riavesse il suo parlamento, da parecchi anni soppresso con la frode; e che le nuove libertà darebbero al regno novello splendore.
Quando la dimostrazione passò sotto il balcone del signor Anselmo, Rosalia e la mamma, trasportate dall’entusiasmo generale, si misero a sventolare anch’esse i fazzoletti, con gli occhi umidi di commozione e Tullio si diede a gridare:
- Viva l’indipendenza!
La testa del corteo aveva appena oltrepassato i Quattro Canti quando improvvisamente si arrestava; e quel movimento ripercosso nella fila di dietro produsse un ondeggiamento, un rigurgito improvviso, grida di minaccia e di spavento di cui quelli che venivano dietro, non sapevano il perché. Parve che diffondessero uno sgomento, un terrore, come se un esercito terribile fosse piombato su la folla inerme...


Luigi Natoli: Braccio di Ferro avventure di un carbonaro – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1820, al tempo della Rivoluzione e delle Vendite carbonare; il tutto vissuto attraverso le avventure del protagonista, Tullio Spada. 
L’opera è la fedele trascrizione del romanzo originale, pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1930 ed è arricchito dai disegni di Niccolò Pizzorno.
Pagine 342 – Prezzo di copertina € 22,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.

Il volume è disponibile:
dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
(consegna gratuita a Palermo. Consegna a mezzo corriere o raccomandata postale in tutta Italia)
Disponibile su Amazon Prime e tutti gli store online. 
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423), Libreria Modusvivendi (Via Quintino Sella 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo 76), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15)

lunedì 30 giugno 2025

Luigi Natoli: l'inizio di Fra' Diego La Matina, romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1640.

C’era spettacolo del Sant’Offizio quella mattina del 9 settembre 1640. Già il giorno innanzi, come era prescritto, c’era stata la processione, che partendo dallo Steri, palazzo del Sant’Offizio dell’Inquisizione, si era recata nel piano della Cattedrale, dove era stato costruito il gran palco per l’Atto di Fede; e aveva posto la Croce del Santo Tribunale sull’altare, fra torce rimaste accese tutta la notte; e frati, preti, familiari del Sant’Offizio vi avevano vegghiato recitando salmi ed inni.
Lo spettacolo destava grande curiosità pel numero degli inquisiti, tre dei quali erano stati colpiti dalla più grave sentenza: erano stati cioè rilasciati al braccio secolare. Era una formula ipocrita con la quale si intendeva togliere alla Chiesa il biasimo di condannare a morte. La Chiesa non doveva e non poteva per materia di fede, uccidere; ma faceva uccidere dalla giustizia laica, alla quale consegnava i rei d’eresia e di commercio col demonio, che dovevano essere bruciati. La giustizia secolare, e cioè la curia del Capitano di città dopo la solenne lettura della sentenza del Tribunale del Sant’Offizio s’impadroniva del reo, e lo sottoponeva a un giudizio pro forma, che serviva per dimostrare che la sentenza di morte non era pronunciata dall’autorità ecclesiastica, ma da quella laica. In grazia di queste miserabili ipocrisie, poteva la potestà della Chiesa affermare che essa non condannava a morte nessuno! 
Tre, dunque, fra gli inquisiti, già si sapeva, sarebbero stati rilasciati al Capitano di città. Tre roghi si sarebbero accesi nel piano di Sant’Erasmo: spettacolo triplice in onore della santa religione. I nomi erano noti: uno si chiamava, da cristiano Gabriele Tudesco, da moro musulmano Amet. Era un mal battezzato, ritornato alla sua prima fede. Condannato una prima volta per questo suo ritorno alla fede dei padri, aveva confessato il suo errore, abiurato, ed era stato assolto e mandato in galera a remare per cinque anni. Ma era ricaduto nel fallo; e sottoposto nuovamente a giudizio, aveva dichiarato che maomettano era nato e maomettano voleva morire: colpa gravissima, che meritava il rogo.
Il secondo era un frate agostiniano, calabrese: fra Carlo Tavalora, che si era spacciato per Messia; aveva fondato una setta di Messiani e diffondeva una morale nuova, una teoria nuova, una politica nuova e nuovi riti, che avevan trovato qualche seguace. Arrestato nel 1635 era stato per cinque anni nelle carceri della inquisizione sottoposto a dispute e a torture, ostinato nella sua riforma religiosa; finalmente il pio tribunale lo aveva condannato.
Il terzo che destava maggior interesse per la sua notorietà, era un francese, guantaio, che si chiamava Giovan Battista Verron. Era venuto di Francia giovane, non ancor ventenne; aveva aperto bottega nella strada dei Guantai, e aveva fatto fortuna; e però aveva suscitato gelosie e invidie. Qualcuno notò che Verron non andava a messa. Francese e non frequentatore della chiesa, bastava per far nascere sospetti. Un giorno fu sorpreso mentre leggeva la Bibbia; quella Bibbia era tradotta in francese: Giambattista Verron dunque era ugonotto. 
I birri del Sant’Offizio lo arrestarono.
Verron era giovane e amava la vita. Morire a venti anni, quando il cuore ferve di sogni? Per una messa? Rinunciare alla gioia di amare, alla gioia di vivere? Nelle carceri del Sant’Offizio, tormentato da teologi di ogni specie, sopraffatto di argomentazioni e di minacce, Verron sentì vacillare la saldezza del suo carattere. Si confessò convinto della verità cattolica. Così nello spettacolo o atto-di-fede nel 1630 egli fu pubblicamente assolto dall’eresia, e condannato a un anno di carcere. Quando ne uscì, credette di poter vivere in pace con il suo lavoro; e di poter seguire il suo sogno d’amore.
Vano sogno! Una mattina, era la quaresima del 1640 appunto, in un impeto di furore, tolse via dalla bottega l’immagine del Cristo, e da un ripostiglio segreto del suo armadio, prese una piccola Bibbia. I suoi nemici lo spiavano. Quando si assicurarono che egli non andava più a messa, non si confessava, non compiva nessuno degli atti prescritti dalla religione, lo accusarono nuovamente all’Inquisizione, che gli teneva gli occhi addosso. Gli occhi delle spie. Verron fu arrestato una seconda volta e chiuso nelle segrete del Sant’Offizio; ma questa volta per non uscirne più.
Sottoposto ad interrogatori, discussioni e minacce, rispose che la sua coscienza gli aveva fatto giudicare più pura, più cristiana, più conforme allo spirito del Vangelo, la sua fede di ugonotto; che era ritornato a essa e che sarebbe morto, prima di rinunziarvi. Colpa grande! dopo sette mesi di torture il Sant’Offizio lo condannò come eretico formale, ostinato, bestemmiatore.
E quella mattina del 9 settembre 1640, egli insaccato nell’ “abitello” nero dipinto a fiamme, fu condotto con gli altri due, per sentirsi leggere in pubblico, le grandi colpe commesse, e la sentenza che lo rilasciava al braccio secolare. Dopo lo spettacolo egli fu dunque consegnato al Capitano di città, al quale spettava di diritto di far seguire la sentenza. Di solito l’arsione avveniva il domani; perché la corte capitanale doveva imbastire quel simulacro di giudizio, per pronunciare la condanna al rogo; ma il domani era domenica e nei giorni festivi non si eseguivano sentenze. Non in die festo. Verron ebbe dunque prolungata l’agonia ancora un giorno: ma la mattina del lunedì, sollecitato a convertirsi, a salvare l’anima, egli disse che voleva confidare cose di grande importanza, soltanto a un frate agostiniano...

Luigi Natoli: Fra Diego La Matina. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1640. L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1924. 
Pagine 536 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo corriere o raccomandata postale in tutta Italia)
Su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria Modusvivendi (Via Quintino Sella 79), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423).

mercoledì 18 giugno 2025

Luigi Natoli: l'inizio di Squarcialupo, romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1500

Buio profondo nella strada. E non un’anima viva: solo due cani che si udivano ringhiare invisibili, sotto la pioggia minuta e uguale che cadeva silenziosamente dalle prime ore della sera. Una porta si schiuse lentamente, lasciando travedere una luce rossiccia, e una testa si sporse fuori: guardò a destra, guardò a sinistra, poi in alto, dove l’alta torre di un vecchio palazzo si perdeva nelle tenebre: infine rientrò e richiuse.
Dentro v’erano cinque uomini, seduti intorno a una tavola, illuminata dalla luce rossastra oscillante di una lucerna di terracotta. Un boccale stava fra loro. Un’altra tavola, tra panche e scranne si trovava alla parete opposta, in quella stanza, non troppo grande, fuliginosa, che sapeva di vino e di unto. In fondo si vedevano incerti nella penombra, un banco con altri boccali, e dietro il banco due botti. Era una taverna.
A quell’ora, essendo già suonata da un pezzo l’ora del coprifuoco, nessuno avrebbe dovuto trovarcisi: ma quei cinque avventori avevano qualche cosa di singolare che aveva obbligato il tavernaio a lasciarli stare nella taverna, contentandosi di chiudere la porta.
Quei cinque uomini erano armati di spada e pugnali; ma più delle armi che tutti per altro portavano, incuteva soggezione l’aspetto. Erano bravacci, avanzi forse di quelle soldatesche spagnole che pochi anni innanzi, ritornati dall’Africa, avevano suscitato in Palermo una sommossa con tante uccisioni che la fecero dire un piccolo Vespro.
Avevano certamente qualche ragione per trattenersi in quella taverna oltre l’ora consentita dai bandi: e il tavernaio non aveva osato mandarli via, oltre che per non subire prepotenze, anche perché di convegni simili questo non era il primo.
Quello che si era affacciato, disse con lieve accento straniero:
- Piove ancora.
- Tanto meglio! – disse uno di quelli che stavano seduti.
- Che s’aspetta? – domandò un altro.
- Non è l’ora. Non bisogna aver fretta, più tardi è, meglio è!...
- Gli è che mi annoio...
- E se t’annoi, vattene!
- Proprio?
Il dialogo morì a questo punto. Il bravaccio che s’annoiava sbadigliò, stirò le braccia, poi le intrecciò sulla tavola e vi appoggiò il capo. Per un poco il silenzio gravò nella stanza: ma un colpo picchiato alla porta provocò un movimento, come se fosse stato un richiamo.
Dalla porta aperta, si affacciò un uomo avvolto in un mantello e disse a uno di quegli uomini.
- Andiamo, Egnacio.
Egnacio, che pareva il capo della comitiva, diede una scossa a quello che s’era addormentato.
- Su, poltrone!...
Uscirono a uno a uno, cautamente, senza far rumore: e s’avviarono, un dietro l’altro, in silenzio, rasente i muri, dietro l’uomo che era andato a chiamarli. 
La città era deserta: le case immerse nel sonno. Per quanto essi si studiassero di non far rumore, i passi risonavano nel silenzio notturno. Percorrendo vicoli tortuosi, che probabilmente datavano dal tempo dei musulmani, sbucarono nella via Marmorea, che così ufficialmente si chiamava allora il vecchio Cassaro: e imboccarono la strada di Sant’Antonio, che montava in su, verso la vecchia piazzetta di San Teodoro, chiusa dall’alta muraglia che dominava le bassure del quartiere degli Amalfitani, dove sorgeva il mercato, e scorreva ancora un fiumicello.
La comitiva si fermò sotto l’arco detto delle Vergini. L’uomo che ve l’aveva condotta, disse a Egnacio.
- Io ti aspetto a casa dove sai. Bada bene a non fallare il colpo.
- Non abbiate timore, caballero.
- E soprattutto non bisogna torcerle un solo capello.
- Ma bisogna pure impedirle di gridare!
- Troverai il modo di impedirlo, senza farle male... E ricordati di quel che ti ho detto...
Egnacio fece un gesto di promessa e di assicurazione. L’uomo che comandava con tanta autorità, e che ai modi e al portamento si vedeva bene essere un gentiluomo, si allontanò per la strada che correva lungo le mura, e che prendeva nome di Ruga del Celso; nome rimasto a una parte di essa.
Egnacio si avvicinò ai compagni, coi quali confabulò un poco, sotto voce, guardando ogni tanto il muro di cinta del giardino del monastero. La pioggia continuava, lenta, minuta, implacabile. Essi avevano i mantelli fradici, e i piedi guazzanti nella mota.
Il Ragno, che doveva essere il soprannome alla lunghezza e alla esilità delle sue gambe, s’avvicinò al muro, tastandolo, finché trovò il punto buono.
Allora stese le mani dentro certi crepacci, e con facilità straordinaria si arrampicò su pel muro, non ostante che la pioggia lo rendesse lubrico, e che più d’una volta il piede scivolasse. Gli altri seguivano con gli occhi l’ascesa della sua massa bruna e informe, che appena si scorgeva sul grigiastro del muro.
Finalmente giunse a mettersi a cavallo.
- Ci sei? – domandò Egnacio.
- Sì: butta.
Egnacio si tolse di sotto il mantello una cordicella arrotolata, al cui capo era legato un pezzo di legno: e preso lo slancio la lanciò in alto. Il Ragno la prese in petto, e cominciò a tirare la cordicella all’altro capo della quale era assicurata una scala di seta, munita di due forti uncini.
Dopo qualche minuto il Ragno disse:
- Potete salire.
Egnacio fece salire a uno alla volta i suoi compagni; ultimo si arrampicò lui. Quando tutti si trovarono a cavalcioni sull’orlo del muro, il Ragno girò la scala e la voltò dalla parte del giardino. Discesero. La terra molle spegneva il rumore dei passi; e non si udiva altro rumore che quello dell’acqua che cadeva sul laghetto che era in mezzo al giardino. V’era anticamente una sorgente d’acqua minerale che aveva virtù medicamentose, per cui i musulmani l’avevano chiamata  fonte della salute. “As Safa”. E vi avevano costruito un ospizio. I normanni vi eressero chiesette, un ospedale, forse un macello: poi vi sorse un monastero, e la fonte restò nella clausura. L’acqua perdette forse la sua virtù, ma continuò a scaturire: e le monache ne fecero un laghetto, sul quale una barchetta serviva a sollazzarle.
Egnacio, seguito dai suoi compagni costeggiò il laghetto: entrò in un viale che pareva una galleria aperta nel fogliame, e giunse a un portico. Allora si trasse di sotto una lanterna cieca, e illuminò le pareti del portico, dove scoprì una porticina.
- È questa – disse: – a te Succhiello.
Succhiello era il nomignolo affibbiato a uno di quei malandrini, per la sua abilità a scassinare le porte. Egli prese la lanterna, esaminò il buco della serratura; poi cavato un ferro dalla borsa che gli pendeva al fianco, cominciò a girarlo nel buco e a far leva, finché sentì lo scatto della molla e la porta cedette, e inghiottì nelle tenebre i cinque malandrini.

Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli. Ventisei romanzi, ognuno con un inizio diverso.
Squarcialupo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1500. Pubblicato unicamente in appendice al Giornale di Sicilia nel 1924, raccolto per la prima volta in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori.
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Pagine 684 - Prezzo di copertina € 24,00

Il volume è disponibile:
dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo poste o corriere, consegna gratuita a Palermo)
Su Amazon Prime e tutti gli store online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour di fronte Feltrinelli), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Spazio cultura libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102). 

lunedì 16 giugno 2025

Luigi Natoli e l'inizio dei suoi romanzi: Cagliostro e le sue avventure. Romanzo storico siciliano.

 
Un colpo di fucile rimbombò nella notte; e nel tempo stesso una voce gridò: 
- All’armi! 
Quasi subito s’udì un gran rumore di gente ridestatasi e impaurita; e per la cortina occidentale del castello, fra’ due torrioni, si videro correre, al lume di lanterne oscillanti, nere ombre gridavano: 
- Che cos’è?....
Al corruschìo delle armi si indovinava che erano soldati. 
Si udì uno stridere di ferri, uno sbattere di porte e di cancelli; alcune finestre del mastio si illuminarono; ben presto le due torri e la cortina si animarono di soldati e di aguzzini o guardiaciurme, che agitavano fiaccole e lanterne: 
- Che cos’è?...
La sentinella che aveva sparato da una delle torri, gridava: 
- Giù! Bisogna andar giù nel fosso... Dev’essere lì...
- Chi?
- Un prigioniero. È caduto nel fosso. 
Un uomo piccolo, magro, gridio, in farsetto, senza parrucca, con una spada in pugno, venne anche lui frettolosamente, gridando: 
- Che cos’è stato? che prigioniero?
Era l’illustrissimo signor tenente Gandini comandante del presidio della fortezza di S. Leo, svegliato nel suo più bel sonno da quel colpo di fucile impreveduto e inesplicabile. 
- È scappato un prigioniero, illustrissimo...
- Un prigioniero? Scappato? E l’avete lasciato scappare, animali! Salvando il battesimo... Vi farò impiccare...
- Illustrissimo, non è scappato: è precipitato giù nel fosso; deve essersi sfracellato!...
Intanto si era aperta la saracinesca e la porta del castello, e abbassato il ponte; quattro soldati con la baionetta inastata e alcuni guardiaciurma con fiaccole, scendevano nel fosso. Di su, altri sporgevan fuori dalle feritoie altre fiaccole e lanterne; e la scena si illuminava fantasticamente qua e là di luce rossiccia e fumosa. 
Il tenente Gaudini, arrampicato sul parapetto, allungando il capo, gridava: 
- Fa’ presto sergente! Oh che avete le gambe di legno?
La sentinella che aveva sparato, alla sua volta, gridava per guidare i cercatori: 
- Da questa parte... dev’essere caduto da questa parte!... l’ho veduto precipitare io!...
I soldati e i guardaciurma seguivano le indicazioni, balzellando per la costa sdrucciolevole del fossato, e sorreggendosi sui fucili e sui bastoni. E intanto dal borgo, destati da quella fucilata, stupiti da quel trascorrere di lanterne e di torce a vento nell’ombra notturna, accorrevano i terrazzani, domandandosi che cosa fosse accaduto. Incendio non era; salvo il fumo delle torce, non v’era altro segno di arsione; assalti impensati di nemici, non era da supporne. 
Ancora i repubblicani francesi non osavano scendere dalle Alpi; e gli stati di Sua santità erano tranquilli. Né si poteva pensare a ribellioni. Se nelle grandi città, per esempio a Roma qualche anno innanzi, o a Bologna, v’erano degli innovatori, infatuati di giacobinismo, (pochi, per fortuna, della Santa Sede e della religione!) come poteva supporsi che ve ne fossero in San Leo, in quel piccolo borgo, appollaiato sull’ardua rocca di Montefeltro, sotto la minaccia della formidabile fortezza?
Ma ben presto la verità corse di bocca in bocca. Un prigioniero aveva tentato di fuggire. Come, non si sapeva. La sentinella che passeggiava nella torre di tramontana, aveva veduto un’ombra attraversare la corte, salire e scavalcare la cortina, calarsi lungo il muro. Le aveva gridato l’alto, ma l’ombra si era affrettata a discendere, come un gatto; e allora la sentinella aveva fatto fuoco. L’ombra era precipitata nel fosso. Era evidente che doveva essere un prigioniero. Il muro era alto e il corpo del prigioniero aveva fatto un tonfo. Era vivo? Morto?
I terrazzani commentando il caso inaudito salivan per la china sparsa di cespugli, che separa il borgo dalla fortezza; si distendevano sul ciglio del fosso, guardando i soldati che vi erano scesi, e che tendevan alte le fiaccole, per illuminar più lontano che fosse possibile. 
A un tratto una voce gridò: 
- Eccolo! Eccolo!...
Il comandante con un gran sospiro di soddisfazione, gridò: 
- C’è dunque?
- Signor sì, illustrissimo!...
- Sia lodato Dio! chi è? Guardate chi è il malandrino?...
Al dubbio lume delle torce si vedeva tra i sassi limacciosi raggomitolato e immobile un corpo umano, del quale non si scorgeva il capo, nascosto com’era fra le gambe. 
I soldati gli furono addosso; un di loro, chinatosi, gli sollevò il capo e gridò con stupore:
- È l’eretico...
- L’eretico?
La parola risonò per tutte le bocche con lo stesso stupore. 
- È morto? – gridò il tenente Gaudini con sdegno e paura. 
- Dagli col calcio del fucile! 
- Il bestione è svenuto!...
- Fagli un salasso con la bajonetta: gli farà bene...
- Adagio... Mi pare abbia una gamba rotta!...
- No, un braccio!
- Un braccio e una gamba!...
- Ma guarda! Il diavolo suo compare l’ha dunque abbandonato?...
Un soldato rimontò il fosso per andare a prendere una scala; intanto che gli altri continuavano a vociare fra loro e coi terrazzani, che dal ciglio del fosso domandavano:
- Rinviene?
- Sì...
- No...
- Ma sì, apre gli occhi!... Domandagli come ha fatto...
- Che cosa vuoi che risponda!... Gli è tutto pesto!...
Il caduto aveva difatti aperto gli occhi con una espressione di intontimento, guadando intorno i soldati, le fiaccole, i fucili, come se non capisse nulla: ma a poco a poco la coscienza cominciò a ritornargli, il suo sguardo, diventando più intelligente, si incupiva, prendeva una espressione di collera. 
Tentò un movimento, ma un dolore acuto gli strappò dalla bocca un grido angoscioso...

Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli: 26 romanzi storici, ognuno con un inizio diverso.
Cagliostro e le sue avventure: il romanzo-diario che ha come protagonista Giuseppe Balsamo, passato alla storia come Il conte di Cagliostro. 
L'opera è la trascrizione dell'unico romanzo originale, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914.
Pagine 884 - Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo corriere o con raccomandata postale in tutta Italia)
Su tutti gli store online.
In libreria presso: 
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423), Libreria Nike (Via M.se di Villabianca 102), Spazio cultura libreria Macajone (Via M.se di Villabianca 102).

lunedì 2 giugno 2025

Luigi Natoli: 31 maggio 1860. Quando Garibaldi si affacciò dal balcone del palazzo municipale... Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860

La notizia della conferenza si era già diffusa in un baleno per la città; e una folla immensa, tutto un popolo, “picciotti” delle squadre, volontari, donne, vecchi, signori e plebei si accalcava, si pigiava nella piazza del palazzo di città, su per la fontana, tra le macerie, nella via Maqueda fino e oltre i Quattro Canti. Un bollettino era stato redatto, stampato e divulgato, che aveva commosso e infiammato gli animi. Riferiva che le trattative, contenendo fra i patti una condizione “umiliante per la brava popolazione di Palermo” dal Generale rigettata, erano rotte, e il domani si sarebbero riprese le ostilità. Ma la folla voleva vedere il Generale; ed egli si affacciò dal balcone posto nell’angolo del palazzo, dalla parte di via Maqueda; accanto a lui era il maggiore Bosco andato come parlamentario del Lanza. Un alto e profondo silenzio si fece subito su quella immensa folla, ansiosa e fremente, sopra la quale squillò la bella voce del Generale, come tromba di guerra.- “Popolo di Palermo, il nemico mi ha fatto proposte ignominiose per te; ed io sapendoti pronto a farti seppellire sotto le rovine della tua città, le ho rifiutate!”.
Un urlo formidabile, tremendo, scoppiò da centomila bocche – “Guerra! guerra!... grazie, Generale!...” tutte le mani si tesero a lui; e parve in quel momento che Garibaldi e il popolo non avessero che un’anima sola.
V’erano in quella moltitudine uomini e donne quasi seminude, scampate all’incendio e alle bombe, che avevan loro distrutta la casa, uccisi i parenti; v’eran vecchi e fanciulli digiuni da tre giorni, senza casa, senza domani; e pure nessuno ebbe un attimo di debolezza; nessuno pensò che della città non sarebbe rimasta una pietra, che la guerra sarebbe stata d’esterminio; nessuno tremò: le rovine e i patimenti e le morti avevano tramutato tutta una popolazione in un esercito di eroi.
- “Guerra! guerra!”.
Il maggiore Bosco impallidì e si ritrasse.
La popolazione si preparò alla ripresa della lotta, che sarebbe riuscita micidiale alle truppe, per le formidabili barricate e per la trasformazione d’ogni casa; ma che avrebbe ridotta la città un cumulo di rovine. Fortunatamente il disastro fu scongiurato. Il generale Letizia e il colonnello Bonopane, venuti da Napoli, espressamente, il 31 proposero a Garibaldi, senza che il Lanza ne sapesse nulla, il prolungamento dell’armistizio. Si vociferò di tradimenti, si infamò questo o quell’onesto generale: e la verità, rimasta tanto tempo celata, è oggi palese per la pubblicazione della corrispondenza tra il re Francesco II e il generale Lanza. Il Letizia e il Bonopane avevano ricevuto l’incarico dal re; al cui animo ripugnava lo spargimento del sangue e l’orrore del bombardamento. Egli volle l’armistizio; persuaso per altro che la Sicilia oramai era perduta; e che la corona doveva salvarsi a Napoli.
O la fortuna assisteva davvero il genio di Garibaldi, l’audacia dei suoi compagni d’armi, la tenacia e il valore di tutto un popolo!



Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Una raccolta di scritti storici e storiografici rigorosamente nella originalità dei documenti:
Storia di Sicilia dalla Preistoria al Fascismo (Ed. Ciuni anno 1935 - Per la parte di storia siciliana che va dal 1820 al 1860) La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione. (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910) Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille. (Estratto mensile "Rassegna storica del Risorgimento Anno XXV Fasc. II Febbraio 1938 - XVI) I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto da "La Sicilia nel Risorgimento italiano - anno 1931") Rivendicazioni. Attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927).
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Pagine 575 - Prezzo di copertina € 24,00
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo corriere o poste in tutta Italia)
Su tutti gli store online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102). 

Luigi Natoli: 2 giugno 1882, muore Giuseppe Garibaldi. Tratto da: Almanacco del fanciullo siciliano.

Il 2 giugno del 1882, nella sua isoletta di Caprera, morì Giuseppe Garibaldi.
Il suo nome non ha bisogno di lodi: perché non si può parlare del risorgimento della Patria, senza parlare di lui. E non ci inchiniamo dinanzi alla sua grandezza soltanto noi Italiani, ma tutti i popoli civili: perché dove c’erano popoli oppressi, che anelavano alla libertà, ivi accorreva Garibaldi.
Combattè in America, combattè in Roma, in Lombardia, in Sicilia, nel Napoletano, in Francia: e giovani e vecchi lo seguivano, perché egli li affascinava e li tramutava in eroi.
Eppure questo grande guerriero, questo liberatore di popoli era di cuor generoso e compassionevole: era modesto, e rifiutò gradi, onori e doni. Si sarebbe potuto arricchire; invece, dopo aver liberato la Sicilia e Napoli, e aver dato al re Vittorio Emanuele II queste due regioni, se ne tornò povero e semplice in Caprera, a coltivare le sue terre e a governare il suo piccolo gregge.
Ma quanta gloria illuminava la casetta solitaria da lui stesso costruita! E di quanta venerazione non era egli circondato!...
Non v’è città in Italia che non gli abbia inalzato un monumento, o non abbia intitolato una via col suo nome. E questo, perché dire: “Garibaldi” e dire: “Italia”, è la stessa cosa.


Luigi Natoli: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie. 
Pagine 210 - Prezzo di copertina € 18,00
L'opera è la fedele trascrizione del volume pubblicato dalle Industrie Riunite editoriali siciliane (Palermo) nel 1925 ed è corredato dalle foto originali del libro. 
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour) e presso il punto vendita del Centro Commerciale Conca d'Oro, La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria Macaione (Via Marchese di Villabianca 102), Libreria Nike (Via Marchese Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15). 

sabato 24 maggio 2025

Luigi Natoli: Pochi salutarono con gioia pari alla Sua l'alba del 24 maggio! Tratto da: Ricordi di Clodomiro, mio figlio.

Eppure in quel primo momento gli vietarono di partire pel fronte, perché i medici militari lo giudicarono inadatto alle fatiche di guerra: Lui che la guerra già conosceva! Egli fuggì: fuggì due volte; e così gli fu concesso di raggiungere il suo reggimento. Partì negli ultimi di maggio. Da allora stette sempre in prima linea; dovrei dire anzi sempre in trincea; che soltanto pochissimi giorni la sua compagnia andò in riposo. Modesto, sobrio, primo sempre ai pericoli, allegro, affettuoso, in tutta la lunga faticosa aspra avanzata per la conquista del Col di Lana, rese importanti servizi. Cento volte sfidò la morte: di giorno e di notte, sulla neve, sotto i reticolati austriaci, dovunque i suoi superiori Lo mandavano, sicuri dell’audacia, dell’abnegazione e dell’intelligenza del “Garibaldino” – come lo chiamavano.
E non vantò mai l’opera sua; spesso lasciò ad altri il merito di Sue rapide e feconde iniziative. Inviato dal suo capitano, che lo amava, a iscriversi nel plotone allievi ufficiali, si rifiutò. Che importava un grado? Combattere bisognava; che anche da semplice soldato si poteva ben meritare dalla patria. E da soldato poteva Egli, nei brevi riposi della trincea, continuar meglio fra compagni quell’apostolato di italianità, che aveva cominciato in Francia. Non pensò mai a sé. Più di una volta, sfidando la morte, andò a raccogliere qualche compagno gravemente ferito, e se lo caricò sulle spalle, invano bersagliato dalle fucilate austriache. Gli shrapnels, le bombe, le palle austriache che Gli uccidevano i compagni al fianco, pareva rispettassero la sua balda giovinezza: Gli cadevano ai piedi senza esplodere, o Gli foravano il berretto senza colpirLo. Le valanghe precipitavano su la Sua capanna in vedetta avanzata, senza abbatterla; la neve Lo copriva durante il sonno su per la montagna, e Lo svegliava il domani ilare e svelto, fra compagni, ahimè, che non si svegliavano più!... S’era acquistata una fama di invulnerabilità, che Gli faceva sfidare la morte, sorridendo. Ma senza spavalderia. Non potei indurLo mai, nelle brevi licenze passate con me, a scrivere o a narrare episodi che Lo riguardassero: quelli che io conosco, Gli sfuggivano, quasi senza volerlo, dalla bocca, incidentalmente; e accennandovi, cercava di non lumeggiar troppo Se stesso; e qualche Suo bel tratto eroico o generoso cercava di ridurre, non tanto per modestia, quanto pel timore che potesse apparire una vanteria.
Portava nella guerra la gentilezza dell’animo; così il Suo odio fiero e ardente contro il tedesco – e tedesco per Lui era anche l’austriaco – non spegneva il sentimento di pietà: nè l’aver desiderato e propugnato la guerra, di riconoscerne e deplorarne l’orrore.


Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro mio figlio.
Prezzo di copertina € 10,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon Prime, Ibs, La Feltrinelli.it e tutti gli store online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica e nelle migliori librerie.

martedì 20 maggio 2025

Luigi Natoli: 20 maggio 1795, l'esecuzione del patriota giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi. Tratto da: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano

Quel giorno parve che il governo fosse preso da una paura tremenda. Tutte le truppe furono tenute sotto le armi, nelle caserme; fu rinforzata la guardia nelle carceri e all'arsenale; a Castello a mare e al Palazzo; sui bastioni che guardano la Piazza S. Teresa, e dove è il giardino reale, furono posti dei cannoni, con le bocche rivolte al palco, caricati a mitraglia; altri cannoni furono appostati all'arsenale.
L’esecuzione doveva aver luogo verso le quattro pomeridiane. Corrado sentiva battere le ore alle campane degli orologi con una impazienza mista ad apprensioni, a timori, a sospetti; il suo cuore pulsava con violenza e con un’ansia inquieta, che era in lui affatto nuova. La vista di quelle forche, di quella mannaia, orride macchine, alle quali pur era adusato in quei tempi di supplizi feroci e inumani, ora gli metteva dei brividori nelle vene. Pur si padroneggiava; la sua emozione si rivelava al pallore del volto e alla febbrile irrequietezza degli atti. Ciò che più lo stupiva era il fatto che nella piazza, sebbene si avvicinasse l’ora, non si vedesse la solita folla avida di quegli spettacoli di sangue, feroce e compassionevole nel tempo stesso. La piazza era quasi deserta. Questa solitudine sconcertava il disegno di Corrado, che contava appunto su la folla per poterlo eseguire con minor rischio.
Poche persone, e dell’infima plebaglia, circolavano per la piazza, incuriosite; e fra loro scorrevano degli uomini, con uno scapolare indosso, che andavan gridando:
- Per l’anima di questi poverelli. 
Erano i confrati della Chiesa degli Agonizzanti, che ogni qualvolta si eseguiva una condanna capitale andavano per le strade, invitando, durante il tempo della triste funzione, con quel lugubre grido i pietosi a pregare per l’anima dei disgraziati, e a dare l’obolo per la celebrazione di messe in loro suffragio.
A quel grido s’accompagnavano i rintocchi funerei delle campane.
Corrado udì i rintocchi, udì il grido; un brivido gli corse per le vene...
- Orsù! – disse – avvenga quel che può; ma si compia il dovere!...
Attraversata la piazza s’avviarono verso Porta Nuova, dove si erano accalcati i pochi curiosi, per vedere la lugubre processione. I condannati venivano a piedi; dinanzi andava don Francesco Paolo Di Blasi, fra due confrati della Compagnia dei Bianchi; dietro, venivano i suoi compagni di sventura, confortati anch’essi da Bianchi. Erano strettamente circondati da settanta algozini; e di qua e di là compresi in una doppia e fitta siepe di compagni d’arme, di birri, caporali, cavarretti; tutta la sbirraglia era sotto le armi. Per accostarsi ai condannati, bisognava rompere una triplice muraglia vivente ed irta d’armi.
Corrado Calvello, che aveva già veduto l’apparato di forze, riconobbe la impossibilità del benchè lieve tentativo. Per veder meglio, montò sopra un sedile, dove stavano altri; confondendosi tra essi per non restar troppo in vista, e aspettò. Quando vide comparire don Francesco Paolo Di Blasi, non potè trattenere un grido di dolore. Il giureconsulto era irriconoscibile; magro, pallido, incanutito; tuttavia fermo e dignitoso. Udì e riconobbe egli quel grido? Sollevò il capo con vivacità, e il suo occhio errò su gli spettatori: vide due occhi umidi che lo guardavano, e una mano agitarsi in segno di supremo saluto; e un sorriso gli illuminò il volto...
Corrado non assistette al supplizio. Cupo, fremente, commosso ritornò al fondaco. L’esecuzione si svolse in quasi due ore. Prima fu decapitato il Di Blasi, poi furono impiccati il Tenaglia, il La Villa e il Palumbo; nessuno di loro tremò dinanzi alla morte; primi martiri della libertà iniziarono in Sicilia la lunga serie di cospirazioni e rivolte che dovevano abbattere la signoria borbonica; e mostrarono come si muore per un’idea.
Quando i pochi curiosi cominciarono ad allontanarsi, il cadavere di don Francesco Di Blasi fu trasportato nella vicina chiesa dei teresiani scalzi, e deposto in una cappella, senza che alcuno dei parenti gli rendesse pietoso ufficio. Soltanto fu visto entrare in chiesa un giovane, seguito da due contadini, avvicinarsi alla bara, inginocchiarsi e recitare una breve preghiera. Levatosi in piedi domandò a un frate:
- Sarà sepolto qui?
- No, signore; domattina sarà portato a S. Maria di Gesù, dove si celebrerà il funerale...




Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento e inizi Ottocento, quando la Rivoluzione Francese porta in tutta Europa le prime idee di libertà dei popoli e nascono le prime Logge. Il protagonista Corrado Calvello è affiancato dal patriota e giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi. 
L’opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 880 – Prezzo di copertina € 25,00
I volumi sono disponibili:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo corriere o posta in tutta Italia). È possibile ordinare anche alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. 
Disponibili su Amazon Prime o al venditore I Buoni Cugini e in tutti gli store online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella n. 15) Libreria Nike (Via Marchese Ugo 76/78), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102)

martedì 6 maggio 2025

Luigi Natoli e il modo diverso di iniziare ogni suo romanzo: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento

Quella sera, sabato, si recitava al Casotto delle Vastasate una delle tre commedie popolari più fortunate e più originali: il Cortile degli Aragonesi. Bisognava sentire Marotta, il celebre comico creatore della parte di ‘Nofrio, e Giuseppe Sarci, biondo e femineo d’aspetto e di voce, nelle vesti di Lisa e il Montera nei panni di don Litterio il notaio messinese, e il Corpora sotto le spoglie di Caloriu il Ciancianese. Che risate!... La recita diurna aveva riempito la cassetta; non un posto vuoto: e di gente ne era rima sta fuori, e non si era mossa da lì, aspettando la recita notturna, per prendere i posti migliori, e rifarsi della lunga attesa. Fra gli spettatori fortunati era un bel giovane di ventisei anni, non molto grande, di membra delicate, strette nell’uniforme dei fucilieri, turchina, a risvolte bianche. Pallido, con gli occhi neri, un’aria quasi feminea; ma lo sguardo tagliente, che lampeggiava talvolta come una lama, il naso lievemente aquilino e la mascella forte, davano un carattere di energia a quel volto; e temperavano la mollezza dell’ovale, e della dolce e malinconica curva della bocca, rosea e piccola. Si vedeva bene che egli aveva una gran cura della bella uniforme turchina, dei calzoni bianchissimi e delle lunghe uose nere; e in generale di tutta la persona, forse un po’ troppo attillata. A non guardarlo in volto, poteva parere un vagheggino; ma lo sfolgorìo degli occhi e la vigorìa delle mascelle avvertivano che sotto quella lindura quasi feminea c’era un cuore che non tremava, e che quella mano sottile e bianca, sapeva render pericolosa la spada, dall’impugnatura dorata, che gli batteva sui polpacci. Egli stava lì, allo spettacolo, ma non pareva che ne godesse; nel suo volto era steso un velo di melanconia, e il suo sguardo distratto correva evidentemente dietro qualche idea.
Gli applausi del pubblico, che non poteva tenersi alla scena della baruffa tra la vecchia e loquace Laura e il goffo Barone, lo scossero per un istante. Alzò gli occhi su la scena. Laura stava alla finestra con un vaso intimo in mano, mentre il Barone, fradicio di un liquido che non era nanfa, minacciava con la canna in pugno, e Lisa gridava, e ‘Nofrio si sganasciava dalle risa. La folla batteva le mani, rideva, urlava, fischiava, si abbandonava a una ilarità tempestosa che faceva tremare la baracca. Come quell’uragano cessò, il sergente ricadde nelle sue meditazioni; ma a un tratto si sentì tirare per una manica. Si voltò...


Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento, quando la Rivoluzione Francese porta in tutta Europa le prime idee di libertà dei popoli e nascono le prime Logge. Il protagonista Corrado Calvello è affiancato dal patriota e giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi. 
Pubblicato per la prima volta in appendice al Giornale di Sicilia nel 1907.
L’opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913. 
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 880 – Prezzo di copertina € 25,00

Il volume è disponibile:
dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna in tutta Italia)
È possibile ordinare alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. 
Disponibile su Amazon Prime e in tutti gli store online.
Disponibili a Palermo presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133 e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Nike (Via Marchese Ugo 76/78), Spazio cultura Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102).

lunedì 28 aprile 2025

Luigi Natoli a La via dei Librai


Sullo sfondo della magnifica Cattedrale di Palermo, che ci ha accompagnato per tre giorni, è finita ieri La via dei Librai. 
Tre giorni intensi, ricchi di nuove conoscenze, di incontri con i lettori curiosi di conoscere Luigi Natoli e il romanzo storico, oltre le opere di storiografia e di letteratura. 
Tante le firme raccolte per il Comitato Cittadino Amici di Luigi Natoli, che andrà avanti per raggiungere il suo scopo. 
Grazie agli organizzatori de La Via dei Librai.
Grazie a tutti coloro che si sono interessati alle nostre pubblicazioni, hanno fatto domande, hanno interagito con noi: avere un contatto diretto con il lettore è veramente bello. 
Grazie a tutti coloro che hanno aderito alla raccolta di firme del "Comitato Cittadino Amici di Luigi Natoli", molti sono venuti proprio per mettere la firma. E tra questi, ho avuto il piacere di conoscere di persona il dott. Claudio Paterna, Cristian Pancaro e Massimo Bonura. 
Grazie soprattutto per tutti i complimenti che ci avete fatto, una bella spinta per andare avanti nel nostro lungo lavoro. 

Vi attendiamo al prossimo evento, Una marina di libri, dal 5 all'8 giugno
Vi ricordiamo che la Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli è disponibile:
dal catalogo prodotti della Casa Editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo poste o corriere in tutta Italia e oltre, consegna gratuita a Palermo).
Su Amazon Prime e tutti gli store online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56).

I Buoni Cugini Editori
Anna Squatrito e Ivo Tiberio Ginevra 

sabato 19 aprile 2025

Luigi Natoli: Pasqua. Tratto da: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie

Che allegro scampanìo per l’aria primaverile!
Grandi e sonore campane nelle città; piccole e timide campanelle nelle chiesette dei villaggi; ma tutte suonano a gloria: è Pasqua.
Quasi sempre la festa cade in aprile, più raramente negli ultimi di marzo, ma sempre in primavera: essa è la festa della Risurrezione.
Risorge dalla morte Gesù vittorioso: risorge la natura dallo squallore dell’inverno; risorgiamo anche noi con maggior lena alle nostre opere.
La festa di Pasqua era propria degli Ebrei, e commemorava la loro liberazione dalla schiavitù del Faraone.
Ora Gesù fu arrestato, martoriato e crocifisso, e risuscitò nel tempo, che in Gerusalemme si celebrava la Pasqua: perciò i cristiani conservarono il nome di Pasqua alla festa che ricorda la risurrezione di Gesù: con la quale hanno termine le funzioni della Settimana Santa.
Pasqua è la festa più gioconda dell’anno. Le campane, che per tre giorni sono state mute, squillano ora lietamente, e sembra che ci invitino a dimenticare i dolori, e a godere del bel tempo; ma altre cose ci dicono più belle e più sante.
Ci dicono che Pasqua è la festa del perdono: Gesù morì sulla croce perdonando i suoi nemici, e insegnandoci ad amarli. Se tu hai un nemico, va’ a trovarlo; portagli l’ulivo della pace; abbraccialo e bacialo, e dimentica il male che ti ha fatto. Se il male l’hai fatto tu a qualcuno, va a domandargli perdono. E farai bene.
“La pace sia con voi” era il saluto di Gesù e ce lo ha lasciato per insegnamento.


Luigi Natoli: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie. 
L'opera è la fedele trascrizione del volume originale pubblicato nel 1925, corredato con le foto dell'epoca. 
La copertina di Niccolò Pizzorno riproduce quella originale. 

Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo poste o corriere in tutta Italia)
Su tutti gli store online.
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102). 

lunedì 14 aprile 2025

Il 14 aprile 1857, 168 anni fa, nasceva Luigi Natoli: romanziere, storiografo, storico, critico letterario, giornalista, drammaturgo, commediografo, poeta palermitano.

All'arte avevo dato io i primi sogni della giovi­nezza: li sacrificai a quello che mi apparve dovere di cittadino; e ho frantumato la mia attività in mille pic­cole cose, di vita effimera, per esumare, divulgare le memorie del nostro passato; per farle amare; per spronare altri alla storia nostra, che non defrauda, ma aggiunge nuove immarciscibili foglie all’alloro di che si inghirlanda l’Italia madre; e per far sentire ai giovani l’orgoglio di essere siciliani, ma nel tempo stesso il dovere che incombe sopra di loro, di esser degni del passato glorioso; e render nelle opere feconde della pace l’isola nativa emula delle altre regioni d’Italia, come emula, se non pur superiore, fu per rinuncie, per sacrifici, per sangue generosamente versato. 
Troppo io presunsi; lo so: ma se da questi scritti movesse qualcuno di maggior ingegno e più matura pre­parazione, e con maggior agio, a studiare profonda­mente e a rivelare questo o quell'aspetto del nostro Ottocento, io mi sentirei pago, e non rimpiangerei i sogni della mia giovinezza oramai tramontata da un pezzo.

Luigi Natoli

E noi, caro professore, da anni lavoriamo alla Tua opera, per divulgarla ai lettori che con amore e interesse ti seguono. E a breve, pubblicheremo un nuovo volume: una raccolta di studi a Te molto cara e su cui hai tanto lavorato. 
E continueremo incessantemente le nostre ricerche, affinchè un giorno la Tua immensa OPERA OMNIA sia completa, nella speranza che non si dica più che Luigi Natoli è quello dei Beati Paoli, ma lo scrittore e storiografo palermitano che, facendo conoscere la Storia della Sicilia con i suoi romanzi storici, i suoi scritti storiografici e di critica letteraria, le sue opere teatrali, ha reso i siciliani orgogliosi di essere tali. 

I Buoni Cugini Editori
Anna Squatrito e Ivo Tiberio Ginevra

La Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli (36 volumi ad oggi) è disponibile:
dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna con raccomandata postale o corriere in tutta Italia)
Su Amazon Prime e tutti gli store online (alcuni volumi anche in ebook)
In libreria presso: 
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), Spazio Cultura Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), Libreria Nike (Via M.se Ugo 78), Libreria Modusvivendi (Via Quintino Sella 79).