domenica 17 novembre 2024

Luigi Natoli: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII. Racconto storico.

Isbn: 979-12-5547-038-0
Pagine 116 - Prezzo di copertina € 15,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
 
Come son diventato scrittore? veramente io dovevo darmi alla pittura, e la studiai qualche anno, a riprese, quando ero un ragazzetto di dieci a dodici anni. 
A farmi mutare strumento concorse il mio professore di seconda ginnasiale, padre Vincenzo Ramirez, che una volta in pubblica classe, mi disse: “Spero di vivere tanto da leggere le cose vostre stampate”. Buona e cara memoria di maestro, che troppo fidò!... Dio gli perdoni di aver fatto di me uno scribacchiatore. 
Nella vita letteraria entrai per tempo: a quattordici anni scrissi un romanzo; che sei anni dopo mia madre (quali illusioni non crea l’amore materno?) volle farmi stampare; e – quando si dice la predestinazione! – era un romanzo storico siciliano! E fu stampato giusto nel 1877. 
 
A dire il vero, questo povero libro vien fuori timido e vergognoso come una sposa la dimane delle nozze; non sapendo che viso farà il pubblico, in tempi, che i romanzi crescono come funghi; eh via! uno più, uno meno, non fa gran caso. Ad ogni modo se il lettore, nel leggermi proverà qualche diletto, avrò toccato il cielo col dito, perché, spero, me ne vorrà un po’ di bene. 
 
Luigi Natoli

Ed oggi, con orgoglio ed emozione, I Buoni Cugini editori ripropongono ai lettori il primo lavoro dello scrittore e storiografo Luigi Natoli, quel racconto storico pubblicato unicamente nel 1877 dallo stabilimento tipografico diretto da P. Pensante che vide la luce grazie all'amore materno e che dopo 147 anni è disponibile in libreria e su tutti gli store online. 
Ambientato nella Palermo del 1647, il racconto che rivela in modo embrionale ciò che sarà il grande romanziere, si muove tra la crudeltà del Sant'Offizio e la rivoluzione di Giuseppe D'Alesi, cui il quattordicenne Luigi Natoli dedica un'ode. 
E le nostre ricerche continuano... 

I Buoni Cugini editori
Anna Squatrito e Ivo Tiberio Ginevra 

lunedì 4 novembre 2024

Luigi Natoli: 4 novembre e il Bollettino della Vittoria. Tratto da: Almanacco del fanciullo siciliano.

È festa, grande festa nazionale. Il 4 novembre 1918 l’esercito austriaco, sconfitto nella grande battaglia di Vittorio Veneto, volse in fuga; e il suo comando supremo dovette domandare un armistizio.
Ma già il tricolore sventolava a Trieste e a Trento, sospiro di ogni cuore italiano.
Per questa vittoria l’Italia ora è tutta quanta libera da ogni soggezione: la catena delle Alpi è tutta nostra; e nessuno straniero può più valicarla e accamparsi nelle nostre terre.
Quanti sacrifizi, però, quanto sangue è costata l’unità nazionale!
In alto il vessillo! E gridiamo gloria a coloro che ci diedero una patria unita, forte, grande.  

Il bollettino della Vittoria

Rileggi, ogni anno, il 4 novembre, il bollettino col quale il generale Diaz dava l’annunzio della vittoria. Ogni italiano deve tenerlo a mente: non per vanagloriarsi, ma per trarne ammaestramento, e adoperarsi ad accrescere grandezza alla patria con una vita virtuosa, degna di coloro che soffersero e morirono per farci liberi e grandi. 
Rileggi dunque:
“La guerra contro l’Austria-Ungheria, che sotto l’alta guida di S.M. il Re, Duce supremo, l’esercito italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915, e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima, per quarantun mese, è vinta.
“La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre, ed alla quale prendevan parte cinquantun divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una czeco-slovacca, un reggimento americano, contro 73 divisioni austro-ungariche, è finita.
“La fulminea, arditissima avanzata del 29° Corpo d’Armata su Trento, sbarrando la via della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della 7a Armata e ad oriente da quelle della 1a, 6a e 4a, ha determinato ieri lo sfacelo totale del fronte avversario.
“Dal Brenta al Torre, l’irresistibile slancio della 12a dell’8a e della 10a Armata e delle Divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente.
“Nella pianura S.A.R. il Duca d’Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta 3a Armata, anelando di ritornare sulle posizioni che dessa aveva già vittoriosamente conquistato.
“L’esercito Austro-Ungarico è annientato. Esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni di lotta, e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiali di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi.
“Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri, con interi Stati Maggiori, e non meno di cinquemila cannoni.
“I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano discese con orgogliosa sicurezza”.
Diaz


Luigi Natoli: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie.
L'opera è la fedele trascrizione del libretto originale, pubblicato nel 1925 dalle Industrie Riunite Editoriali Siciliane. Corredato dalle immagini dell'epoca. 
Pagine 210 - Prezzo di copertina € 19,00
La copertina di Niccolò Pizzorno riproduce quella del libro originale. 
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
https://www.ibuonicuginieditori.it/shop-online?ecmAdv=true&page=1&search=almanacco
Disponibile su Amazon Prime, Ibs, Feltrinelli, tutti gli store di vendita online e in libreria. 

Luigi Natoli: In occasione del 4 novembre, la commovente introduzione di "Ricordi di Clodomiro, mio figlio"

 
Serro nel profondo del cuore l’angoscia, respingo indietro le lagrime che fanno impeto agli occhi, per scrivere della mia creatura. 
Potrei commettere ad altri questo ufficio, ma non voglio; perché a nessun altro Egli rivelò l’anima sua, fuor che a me, che Egli amò devotamente e con orgoglio, che direi soverchio se si potesse dar misura all’amore suo filiale. Voglio scrivere io, il Suo babbo, non soltanto per dire il cuor che Egli ebbe, ma per isfogo del mio cordoglio; e perché parmi che il Suo spirito debba gioire di questa mia testimonianza di dolore e d’amore. 
Il frammento di bomba che nel piccolo cimitero di Staranzano scavò una fossa alla carne giovinetta, aperse una ferita insanabile nel cuor mio. Pure, in questa ferita, come in un sacrario, vive illuminata dalla luce purissima del voluto sacrificio l’immagine del mio Clodomiro; e più, contemplandola, si inacerba il rimpianto, più ella si ingrandisce agli occhi miei: perocchè dispogliata dalle materiali contingenze della vita, l’anima Sua mi si va sempre più rivelando diritta come una lama, tesa come un arco alla sua meta, austera nel concepimento del dovere, vigile e pronta al sacrificio, come quella di un confessore della fede. 
Nessuno sotto la gioconda irrequieta spensieratezza avrebbe supposto in Lui tanta gagliarda serietà di propositi e una fede così viva e operosa nei suoi ideali: chè questa fede Egli tenne dapprima chiusa nell’anima sua, col riserbo di un primo amore: né si rivelò, né si esplicò in azione, se non allo scoppio improvviso della guerra europea. Egli era a Parigi, quando gli eserciti tedeschi invasero il Belgio; e il grido della Francia non giunse invano al suo cuore. 
Pochi, forse, salutarono con gioia pari alla Sua l’alba del 24 maggio! Eppure in quel primo momento gli vietarono di partire pel fronte, perché i medici militari lo giudicarono inadatto alle fatiche di guerra: Lui che la guerra già conosceva! Egli fuggì: fuggì due volte; e così gli fu concesso di raggiungere il suo reggimento. Partì negli ultimi di maggio. Da allora stette sempre in prima linea; dovrei dire anzi sempre in trincea; che soltanto pochissimi giorni la sua compagnia andò in riposo. Modesto, sobrio, primo sempre ai pericoli, allegro, affettuoso, in tutta la lunga faticosa aspra avanzata per la conquista del Col di Lana, rese importanti servizi. Cento volte sfidò la morte: di giorno e di notte, sulla neve, sotto i reticolati austriaci, dovunque i suoi superiori Lo mandavano, sicuri dell’audacia, dell’abnegazione e dell’intelligenza del “Garibaldino” – come lo chiamavano. 
E non vantò mai l’opera sua; spesso lasciò ad altri il merito di Sue rapide e feconde iniziative. Inviato dal suo capitano, che lo amava, a iscriversi nel plotone allievi ufficiali, si rifiutò. Che importava un grado? Combattere bisognava; che anche da semplice soldato si poteva ben meritare dalla patria.
Non pensò mai a sé. Più di una volta, sfidando la morte, andò a raccogliere qualche compagno gravemente ferito, e se lo caricò sulle spalle, invano bersagliato dalle fucilate austriache. Gli shrapnels, le bombe, le palle austriache che Gli uccidevano i compagni al fianco, pareva rispettassero la sua balda giovinezza: Gli cadevano ai piedi senza esplodere, o Gli foravano il berretto senza colpirLo. Le valanghe precipitavano su la Sua capanna in vedetta avanzata, senza abbatterla; la neve Lo copriva durante il sonno su per la montagna, e Lo svegliava il domani ilare e svelto, fra compagni, ahimè, che non si svegliavano più!... S’era acquistata una fama di invulnerabilità, che Gli faceva sfidare la morte, sorridendo. Ma senza spavalderia. Non potei indurLo mai, nelle brevi licenze passate con me, a scrivere o a narrare episodi che Lo riguardassero: quelli che io conosco, Gli sfuggivano, quasi senza volerlo, dalla bocca, incidentalmente; e accennandovi, cercava di non lumeggiar troppo Se stesso; e qualche Suo bel tratto eroico o generoso cercava di ridurre, non tanto per modestia, quanto pel timore che potesse apparire una vanteria. 
Cedette alle insistenze dei superiori, e andò al corso degli allievi ufficiali, soltanto quando si persuase che da ufficiale poteva rendersi utile. Nominato aspirante nel maggio del 1916 fu destinato al 24° che fronteggiava il nemico tra i ghiacciai del Seekofel. Vi andò preceduto dalla fama di audace e volenteroso; e la riconfermò nell’eseguire incarichi, degnamente encomiati dal Comando della Brigata. Altri avrebbe forse fatto valere le lodi per averne ricompense o avanzamenti; Egli non se ne curò. Io non ne avevo notizia che tardi, e brevemente. Non già perché Egli fosse avaro di lettere: mi scriveva anzi frequentissimamente, quasi ogni giorno: talvolta la notte dopo un’avanzata o dopo una ricognizione; chè io era in cima dei Suoi affetti. Ma appunto per questo, Egli cercava di non destare in me preoccupazioni ed ansie. 
Dai Suoi superiori del 24° il mio Clodomiro fu presentato con lettere così elogiative, che dal colonnello del 225°, senza neppur provarLo, Gli fu assegnato il comando di una sezione autonoma, detta Bettica. E bastò meno di una settimana perché Egli confermasse quella fiducia, e Si acquistasse l’affetto e la stima dei superiori e dei compagni. E chi, conosciutoLo appena, non Lo amava? Chi non l’avrebbe amato?
Il 17 giugno, di mattina, condusse le reclute al poligono di tiro, per addestrarle al lancio delle bombe a mano. Erano bombe a miccia, del tipo detto Sipe. Si lanciano, accesa la miccia, a una distanza di venticinque o trenta metri: fra l’accensione e lo scoppio passan sette secondi; il loro raggio di azione si estende a venti metri. Bisogna lanciarle subito. Ma, imperizia e, più, paura tolgono a una recluta la padronanza di sé. Essa lascia cadere la bomba accesa di qua del parapetto, in mezzo ai soldati. Lo scoppio è imminente. Non v’è che un attimo. In quest’attimo è la vita o la morte di tutti. Fra il terrore degli altri, il mio Clodomiro serba lo spirito agile e sereno; vede la miccia fumante consumarsi, prevede la strage, sente che uno deve affrontare la morte per gli altri. Lui. E si slancia sulla bomba, la raccoglie, la scaglia oltre il paraschegge. Salvi? Gli altri sì! La bomba scoppia prima di cadere; una scheggia colpisce al cuore l’eroico Figlio. Una sola: e l’uccide!...
- Qui! Qui! – grida toccandosi il petto. Poi mormora: – Povero babbo! Povera mamma mia!
E le Sue labbra si chiusero per sempre sui nomi adorati: non rimpiansero in quel momento l’acerbezza del destino, la giovinezza spezzata, i sogni infranti: dolorarono del dolore altrui. L’ultimo Suo pensiero fu per lo schianto dell’anima nostra...
La morte che non aveva osato colpirLo nella tempesta dei combattimenti, quando l’ira par che abolisca ogni senso di umanità; che non Lo aveva colpito eroe della strage, con l’arme insanguinata nel pugno; volle spegnerLo in un gesto di carità sublime; volle che tanta bella e fiorente giovinezza fosse irradiata della luce purissima del sacrificio, consapevolmente, volontariamente affrontato, sofferto per la salvezza degli altri!...



Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro, mio figlio. 
L'opera è la fedele trascrizione del libretto originale, pubblicato dall'autore nel 1920 in memoria del figlio Clodomiro, morto eroicamente durante la prima guerra mondiale il 17 giugno 1917.
Pagine 74 - Prezzo di copertina € 10,00
Il libretto è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
https://www.ibuonicuginieditori.it/shop-online?ecmAdv=true&page=1&search=clodomiro
Su Amazon Prime, Ibs, Feltrinelli e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102). 

martedì 29 ottobre 2024

Luigi Natoli: Tutti i romanzi pubblicati da I Buoni Cugini editori.

Le opere, sono elencate in base alla data di pubblicazione dell'autore:

1907 - Calvello il bastardo - grande romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo di fine Settecento, pubblicato a puntate in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1907 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1913 riveduto e corretto dall'autore. Quest'ultima è l'edizione pubblicata da I Buoni Cugini editori

 

1908 - I Cavalieri della Stella - romanzo storico siciliano, ambientato nella tormentata Messina del 1672, pubblicato a puntate in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1908. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.

 

1909 - I Beati Paoli - grande romanzo storico siciliano, pubblicato a puntate in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1909/1910 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1931. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.

 

1910 - Il Paggio della regina Bianca - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1401, pubblicato a puntate in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1910 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1921. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.

 

1911 - Il Vespro Siciliano - romanzo storico siciliano, pubblicato a puntate in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1911 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1915, rifatto, aggiunto e ampliato dall'autore. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.

 

1911 - Gli ultimi saraceni - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1100 al tempo di Guglielmo I e Matteo Bonello, pubblicato unicamente in appendice al Giornale di Sicilia nel 1911/1912. Pubblicato per la prima volta in unico volume da I Buoni Cugini editori.

 

1913 - La principessa ladra - romanzo storico siciliano, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1913 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1930. Pubblicato da I Buoni Cugini editori. 

 

1914 - Cagliostro e le sue avventure - romanzo storico, dove protagonista è il famoso taumaturgo palermitano Giuseppe Balsamo, in arte Conte di Cagliostro, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914. Pubblicato da I Buoni Cugini editori. 

 

1914 - Coriolano della Floresta - seguito ai Beati Paoli, pubblicato in dispense con la casa editrice La Gutemberg. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.

 

1914 - Alla guerra! - romanzo storico ambientato nella Francia e nel Belgio del 1914, all'inizio della prima guerra mondiale, pubblicato unicamente a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914/1915. Pubblicato per la prima volta in unico volume da I Buoni Cugini editori 

 

1920 - La dama tragica - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1530, al tempo di Marco Antonio Colonna, dove protagonista è la bellissima donna Eufrosina Corbera. Pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1920/1921 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1930. Pubblicato da I Buoni Cugini editori

 

1921 - Latini e Catalani volume 1 (Mastro Bertuchello) - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1300, al tempo della sanguinosa guerra tra Latini e Catalani, dei Palizzi, dei Ventimiglia, dei Chiaramonte e del regno di Aragona. Pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1921 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1925. Pubblicato da I Buoni Cugini editori 

 

1922 - Latini e Catalani volume 2 (Il tesoro dei Ventimiglia) - romanzo storico siciliano, seguito a Mastro Bertuchello, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1922 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1925. Pubblicato da I Buoni Cugini editori 

 

1923 - Fra Diego La Matina - romanzo storico siciliano, pubblicato in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1923 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1924. Pubblicato da I Buoni Cugini editori. 

 

1924 - Squarcialupo - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1517, dove protagonista è il patriota Giovan Luca Squarcialupo. Pubblicato unicamente a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1924. Per la prima volta in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori.

 

1925 - Viva l'Imperatore - romanzo storico siciliano, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1925. Pubblicato da I Buoni Cugini editori. 

 

1926 - I mille e un duelli del bel Torralba - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo di fine '700, pubblicato unicamente a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1926. Pubblicato per la prima volta in unico volume da I Buoni Cugini editori.

 

1927 - La vecchia dell'aceto - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo di fine '700. La storia di Giovanna Bonanno, l'avvelenatrice passata alla storia come La vecchia dell'aceto. Pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia da luglio a dicembre del 1927. Pubblicato da I Buoni Cugini editori 

 

1929 - L' Abate Meli - romanzo storico siciliano, dove protagonista è il poeta Giovanni Meli detto l'abate, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1929. Pubblicato da I Buoni Cugini editori in un volume che comprende: Giovanni Meli: studio critico (1883) e Musa siciliana (1922) nella parte relativa alle poesie del Meli, con traduzione in italiano a fronte a cura di Francesco Zaffuto. 

 

1930 - Braccio di Ferro avventure di un carbonaro - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1820, pubblicato con la casa Editrice La Gutemberg nel 1930. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.

 

1931 - I morti tornano... - romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1837 devastata dal Cholera, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1931. Pubblicato da I Buoni Cugini editori con prefazione di Massimo Maugeri 

 

1932 - Gli Schiavi - romanzo storico siciliano, ambientato in Sicilia sotto la dominazione romana, nel 120 a.C. al tempo della seconda guerra servile. Pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1932 e con la casa Editrice Sonzogno nel 1936. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.

 

1932 - Ferrazzano - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1700, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1932/1933. Pubblicato da I Buoni Cugini editori con prefazione di Rosario Palazzolo. 

 

1936 - Fioravante e Rizzeri - romanzo ambientato nella Palermo del 1920, dove protagonista è un "oprante" e la sua "opera dei pupi"; pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1936/1937. Pubblicato da I Buoni Cugini editori con prefazione dello stesso autore (articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia nel 1936). Il copione integrale dell'opra Fioravante e Rizzeri è pubblicato nel volume Il teatro del popolino, che raccoglie tutti gli scritti di Luigi Natoli sull'Opera dei Pupi. 

 

1938 - Il Capitan Terrore - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1560, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1938. Pubblicato da I Buoni Cugini editori. 

 

Nelle biografie ufficiali di Luigi Natoli è riportato il romanzo:

 

Chi l'uccise? - Breve romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1848, di cui al momento non abbiamo trovato traccia sul Giornale di Sicilia o presso altri editori. Pubblicato dopo la morte dello scrittore dalla casa editrice La Madonnina nel 1951. Pubblicato da I Buoni Cugini editori 


I volumi sono disponibili:

Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia).

Su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store di vendita online.

In libreria presso:

La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via Marchese Ugo 56), Spazio cultura libreria Macaione (Via Marchese di Villabianca 102), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), La Nuova Bancarella (Via Cavour). 



Luigi Natoli: La sera piovosa e fosca favoriva la riunione clandestina... Tratto da: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano.


Appena uscito Pietro, don Francesco scrisse due o tre biglietti e li spedì a suoi conoscenti. Convocava la loggia. La sera piovosa e fosca favoriva la riunione clandestina. Da qualche tempo, per eludere l’esercito di spie, sguinzagliato dall’arcivescovo per ogni parte, i fratelli non si adunavano più regolarmente il venerdì; ma quando il Venerabile li invitava.
Mercè una ingegnosa organizzazione l’invito poteva precedere di qualche ora l’adunanza. Il Venerabile avvertiva con una parola convenzionale l’oratore, il segretario e il tesoriere; il segretario passava l’avviso ai due sorveglianti; questi alla loro volta correvano ad avvisare i tre o quattro maestri che avevano i gradi più alti, i quali si incaricavano di convocare gli altri maestri, a loro noti; e ognun di essi, subito, l’iniziato, compagno o apprendista che fosse, da lui introdotto. In una o due ore tutti i fratelli erano così invitati. La parola convenzionale data dal Venerabile, si mutava a ogni convocazione.
La notizia gravissima appurata rendeva urgente e necessaria un’adunanza. La Loggia era minacciata. Sebbene i gradi più alti quando si trattava di adunanze plenarie intervenissero con la maschera sul volto, e gli iniziati non li conoscessero, tuttavia il pericolo di qualche sorpresa per le loro persone non era minore. Bisognava provvedere. Stefano Pascale era stato introdotto nella Loggia da Corrado, che lo aveva creduto davvero un emissario dei repubblicani.
Prima di aprire la porta del tempio, mentre i fratelli s’adunavano a poco a poco nella sala dei passi perduti, don Francesco Paolo Di Blasi si era chiuso con le alte cariche della loggia nella sala di riflessione, in una rapida e grave conferenza. Qualche cosa era trapelata; non si sapeva propriamente di che si doveva trattare, ma si bisbigliava che v’eran gravi cose da discutere, e che un grande pericolo sovrastava alla loggia; onde nei volti, nei passi, nel sommesso interrogarsi quella preoccupazione di un ignoto, del quale ciascuno voleva penetrare il mistero.
Finalmente a tre ore di notte la porta del tempio s’aprì. La sala, tutta nera, era appena illuminata da sette lampade; gli uomini, su quel fondo nero, parevan larve fantastiche. Tutti erano mascherati; un solo non aveva maschera, e si guardava intorno meravigliato di essere il solo col viso scoperto. Era Stefano Pascale.
Tre colpi di martello diffusero per la sala un silenzio grave e profondo. Il Venerabile, con voce solenne e lugubre nel contempo, disse:
- Fratelli carissimi, la santità del tempio è stata profanata. Giuda ha visitata la casa di Salomone, e ha venduto i suoi fratelli. Il nostro segreto è violato; le nostre vite sono alla mercè della tirannide; la nostra causa, la causa dell’umanità, è stata tradita; il traditore è fra noi. Egli si è insinuato nell’anima pura di un nostro fratello; si è fatto credere pieno di entusiasmo per la buona causa; ha chiesto a voi di aprir gli occhi alla luce; ha giurato qui, sotto gli occhi vostri, l’inviolabilità del segreto... E per opera sua quel nostro fratello è proscritto, spogliato, posto a taglione; per la sua delazione il Luogotenente generale è informato dei nostri lavori, e forse in quest’ora stessa sono sguinzagliati contro di noi sgherri e caporali... E pure egli osa venire fra noi; il suo piede sacrilego oltrepassa la soglia sacra; e il suo volto simula, sotto la maschera della fraternità, il tradimento e la perfidia!...
Un mormorio sommesso, ma grave di minaccia percorse le bocche; gli sguardi scintillavano e si incrociavano sotto le maschere nere. Stefano Pascale, pallido, muto, sentiva un freddo sudore bagnargli la fronte, e le gambe tremargli; pure cercava di dominarsi, affettando un sorriso impudente di semplicità e di stupore.
Il Venerabile, dopo un istante di silenzio, riprese:
- Stefano Pascale, avvicinatevi all’ara.
Il falso emissario rabbrividì, le sue gambe si rifiutarono di muoversi; fu necessario un nuovo e più imperioso ordine, perchè egli facesse qualche passo innanzi. Senza aspettare di essere interrogato, con voce strozzata protestò:
- È falso! giuro che è falso!...
Il Venerabile si fece più cupo e più lugubre:
- Voi dichiarate falso ciò che ancora io non vi ho detto. Stefano Pascale, la vostra premura di discolparvi equivale a una confessione. Stefano Pascale, voi siete una spia dell’arcivescovo!...
- È falso!... è falso! – urlò allibito l’emissario dei librai francesi.
- Stefano Pascale, – continuò il Venerabile; – non mentite. Voi avete portato dei libri francesi al carissimo fratello nostro Corrado Calvello, duca di Falconara, esibendovi come emissario della Repubblica; e quei libri uscivano invece dall’Arcivescovato; voi avete, dopo, accusato il nostro fratello, e avete guidato i magistrati al sequestro dei libri; voi vi siete introdotto fra noi, non per essere iniziato nella via della verità, ma per venderci; voi, tre ore fa, appena ricevuto l’invito, siete andato all’Arcivescovato ad avvertire monsignor Luogotenente. Stefano Pascale, tu sei un traditore.
Un silenzio sepolcrale seguì alle parole del Venerabile. L’accusato non aveva osato ribattere; s’era visto perduto. In quel momento tre colpi furono battuti alla porta. Una voce dall’esterno gridò:
- I profani invadono il tempio!...
I due sorveglianti e il “fratello terribile” si avvicinarono alla porta e aprirono.
- La polizia! la polizia!!...
- Impadronitevi del traditore – sclamò il Venerabile, – e coprite il fuoco!...
Un tumulto di voci, un agitarsi di mani, un confondersi di persone seguirono immediatamente a quelle parole: tutti si strinsero attorno a Stefano Pascale; dei pugnali balenarono:
- Traditore! traditore!...


Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine '700. 
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913. 
Pagine 880 - Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Su Amazon Prime, Ibs, Feltrinelli e tutti gli store di vendita online 
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60). 

Luigi Natoli: Il "cristiano" portava in una tasca il rosario, nell'altra il coltello... Tratto da: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano.

Zi’ Francesco era uno di quegli uomini che nel quartiere dell’Albergaria godevano riputazione di coraggio e di valore.
Da questa specie di uomini, per degenerazione lenta e profonda nacque la mafia odierna, che è sopraffazione, ricatto e malandrinaggio. In quei tempi non si dicevano mafiosi, vocabolo nato e adottato in tempi più vicini, come assicurano gli studiosi. Si dicevano “cristiani”; cioè uomini nel vero senso della parola, uomini di fegato e di silenzio.
Il “cristiano” portava in una tasca il rosario, nell’altra il coltello; riconosceva e rispettava le classi sociali più elevate; aveva pei “galantuomini” – cioè per i patrizi – e pei “signori” – cioè per la borghesia – una vera sottomissione, negli atti e nelle parole, ma niente servile, la quale si tramutava poi in una tacita protezione che egli estendeva sulle loro persone e sui loro averi; e nessuno o ladro o malvivente osava commettere un delitto contro coloro che si sapevano protetti da qualche “cristiano”.
I maggiori, gli arcifanfani, diventavano capi del popolo nelle sommosse, esercitavano ufficio di arbitri e di pacieri tra il loro ceto, componendo questioni, risolvendo dubbi, e i loro responsi erano ascoltati e ubbiditi con un rispetto maggiore di quello che si rendeva ai precetti della religione e della legge.
Zi’ Francesco era uno di questi “cristiani” maggiori; e nell’Albergheria godeva di una grande autorità. Egli poteva lasciar andare le sue donne, dovunque; poteva lasciare aperta la sua casa, era sicuro che nessuno avrebbe osato commettere non diciamo una violenza, ma anche la più lieve scortesia. Una taverna all’angolo della discesa del Banditore era il suo ufficio, il suo confessionile, il suo tribunale. La sera, dopo il lavoro, vi si recava; sedeva a una tavola, e riceveva i suoi amici; ascoltava la cronaca del quartiere, le lagnanze di questo o di quello; dava giudizi. Qualche volta, in una stanza appartata, due uomini, armati di coltello di uguale misura, “la paranza”, dinanzi a testimoni e allo zi’ Francesco, si battevano per definire una questione che non si era potuta risolvere amichevolmente. Spesso, nel cuor della notte, approfittando dell’oscurità, un cadavere o un moribondo era depositato dietro i gradini di una chiesa, o in un canto di strada, lontano; e il mistero avvolgeva il delitto.
L’Albergaria era il quartiere che accoglieva gli uomini più maneschi e più rissosi; espertissimi nella scherma di coltello, nella quale si esercitavano secondo le norme di una vera e propria arte; e ubbidientissimi a un certo lor codice di cavalleria, che non compativa la prepotenza sopra i deboli e gli inermi, il delitto a tradimento o a sorpresa, lo spionaggio, l’intromissione della giustizia. Uomini nei quali il sentimento dell’onore e del valore individuale era certo esagerato e anche in parte fuorviato da pregiudizi sociali; ma nei quali era pure in fondo una grande dirittura, e una generosità a volte anche magnanima. Fra loro si professavano scambievolmente un grande rispetto. Non riconoscevan gradi, nè conferivano comandi; ma sentivano una ammirazione più rispettosa verso coloro che più si erano segnalati per atti di valore e per grandezza d’animo, e mostravan verso di loro una sottomissione, che non aveva però nulla di servile o di viltà. Era il tacito omaggio professato dalla forza all’eroismo; così come noi lo professiamo verso i grandi poeti e i grandi artisti, e in generale verso i geni.


Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine '700. 
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913. 
Pagine 880 - Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Su Amazon Prime, Ibs, Feltrinelli e tutti gli store di vendita online 
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60). 

giovedì 17 ottobre 2024

Luigi Natoli: Il castello aveva nome S. Nicola e nel 1748 vi abitava don Antonio di Casalgiordano... Tratto da: Coriolano della Floresta. Seguito a I Beati Paoli.

 
Egli seppe più tardi la storia di sua madre. Si chiamava Virginia.
Quando era una fanciulla di diciotto anni, abitava in un grazioso castello, su la riva del mare poco oltre il feudo di Milicia. A le spalle del castello si alzava a balzi la montagna; ai lati poche catapecchie di pescatori, e poi di qua e di là le rive incantevoli dell’ampio golfo di Termini, ora sabbiose, ora irte di rupi. 
Il castello aveva nome di S. Nicola. 
Terre non ne aveva fuor che un piccolo bosco fra le balze, possedeva però un tratto di mare, dove, alla stagione adatta, si faceva la mattanza dei tonni. 
Il castello era formato di una cortina quadrata; difesa da qualche opera interna agli angoli, e di un’alta torre cilindrica, merlata; che dominava la campagna e la marina. 
Gli appartamenti non erano vasti.
Fuori del castello v’era una cappelletta dedicata a S. Nicola, donde forse aveva preso nome.
Il castello apparteneva allora ai principi di Cattolica, che l’avevano ereditato dai Crispo: ma nel 1748, per concessione del principe, vi abitava un nobile cavaliere, don Antonio di Casalgiordano, con la sua unica figlia, Virginia.
Era un uomo taciturno e severo, ma aveva una adorazione per la figlia: adorazione tuttavia, che non lasciava trasparire dall’aspetto. 
Virginia non aveva conosciuto sua madre, della sua infanzia non ricordava nulla. Ancora bambina era stata posta in un monastero a Messina; a sedici anni il padre che ella vedeva in parlatorio tutte le domeniche, l’aveva ritirata e condotta in quel castello, dove essi vivevano come in un eremitaggio.
Pareva che don Antonio di Casalgiordano fosse geloso di quella sua figlia bella e modesta.
Di quando in quando però egli per gli affari del suo patrimonio si assentava due o tre giorni. Durante la sua assenza il castello era rigorosamente custodito, oltreché dai servi, da due terribili molossi, che non lasciavano avvicinare alcuno.
Era la consegna data alla servitù: per tutt’altro essa doveva ubbidire ciecamente alla fanciulla. 
Ma Virginia non faceva pesare il suo governo.
Ella era buona e umana; e aveva anche ammansato e assoggettato con la dolcezza delle sue maniere, ma con la fermezza della sua volontà, i due molossi stessi.
Un pomeriggio tempestoso, in cui il mare, livido e sconvolto, pareva volesse scalzare gli scogli, e minacciava il piccolo villaggio, don Antonio e Virginia se ne stavano affacciati a una finestra, guardando lo spaventevole e stupendo spettacolo.
Tra i flutti, non molto lungi dalla terra, una tartana si dibatteva disperatamente.
Aveva l’albero spezzato. Gli otto uomini che la montavano, aggrappati ai banchi, per non farsi portare via dai marosi, facevano sforzi perché la fragile nave non si capovolgesse. 
La furia del mare, le aveva fatto perdere la rotta, e la spingeva verso terra, ma l’equipaggio temeva di andare a picco fra le scogliere, e avrebbe almeno voluto dirizzarsi dove la spiaggia era sabbiosa.
La lotta di quegli uomini contro gli impeti del mare aveva qualcosa di grandioso nella sua tragicità. Essi non parevano atterriti dalla fierissima tempesta; forse la grandezza e l’imminenza del pericolo dava loro quella padronanza di governare la nave in una lotta disuguale.
Ma Virginia tremava; e a ogni sparire della nave sussultava e mandava un grido.
La nave infatti pareva a ogni nuova furia di cavalloni che ne fosse inghiottita; ma riappariva subito dopo sulle creste spumose, per ridiscendere e sparire un’altra volta.
Don Antonio guardava senza dar altro segno di commozione che un lieve aggrottar di sopracciglia e un serrar di mascelle. 
Ma a un tratto disse:
- Si perderanno!... Van sopra certe scogliere nascoste... Bisogna salvarli. 
Uscì dalla sala; scese giù nella corte, e si affacciò alla porta del castello; e guardò i pescatori che raccolti sulla spiaggia, muti, con gli occhi costernati, seguivano l’immane lotta fra la barca e il mare.
- Figlioli, – disse; – quella barca naufragherà... Bisogna salvare quegl’infelici!...
Nessuno rispose. Gli occhi si volgevano con dolorosa dubbiezza verso la furia dei marosi; ma nessuno osava affrontarli. 
- Quattro uomini di buona volontà che mi seguano, non li troverò dunque fra voi?
Vi fu un momento di irrisolutezza. 
Don Antonio disse:
- Andrò io solo!...
Lo seguirono tutti: don Antonio ne scelse quattro. 
Buttarono nella barca delle corde e dei remi di ricambio, e la spinsero in acqua. 
I marosi, rovesciandosi furibondi sulla sabbia, la risospingevano indietro: ma, entrati gli uomini nella barca, don Antonio al timone, gli altri quattro ai remi, e trascinata dalla risacca, giunse a guadagnare il largo.
Cominciò anche per gli audaci la lotta contro la tempesta. Pareva che il mare, adirato di quel tentativo di salvataggio, avesse rivolto la sua furia contro il piccolo legno per impedirgli di riuscire.
Don Antonio, saldo al timone, sereno e impassibile, governava quei quattro uomini, che sotto l’impero del suo sguardo, e animati dalla sicurezza del loro signore, parevano moltiplicarsi.
Dalla tartana scorsero quella barca che le onde sballottavano, e raddoppiarono alla loro volta le forze. 
Un’ondata, però, più violenta delle altre, strappò il timone. 
Essa non poté più guidarsi; e i marosi or la spingevano, ora la trascinavano via. 
Non era più possibile governarla, e la catastrofe era imminente.
Il timone travolto, trasportato, venne sul dorso delle onde fin presso la barca. Don Antonio se ne accorse. 
- Quei disgraziati, – disse, – non hanno più scampo! 
E volto ai suoi uomini, aggiunse:
- Animo! da bravi!... Ancora poche bracciate, e gitteremo la corda. 
Dalla tartana intanto gridavano al soccorso.
Virginia era rimasta nella sala, non immaginando che suo padre si sarebbe esposto a un pericolo così terribile: ma quando lo vide entrare nella barca; quando vide la barca in balìa delle onde; quando la vide scomparire quasi in un abisso, e ricomparire in vetta delle torbide spume, cominciò a gridare disperatamente e a invocare aiuto.
La servitù era accorsa al suo grido; e tutti si erano affacciati per vedere: ma nessuno ebbe il coraggio di correre, nessuno sapeva risolversi. Rimasero inchiodati alle finestre, attratti dallo spettacolo maraviglioso e agghiacciante.
Anche Virginia restò lì, con gli occhi fisi alla barca, immobilizzata dal terrore, invocando l’aiuto del cielo.
Qualche serva invocava la Vergine degli Annegati, promettendo un «viaggio» votivo e l’offerta di una torcia, se la Vergine facesse il miracolo di salvare la vita del padrone. 
La barca intanto aveva superato la distanza che la divideva dalla tartana: i suoi rematori parevano stanchi dalla lotta tremenda sostenuta. Ma don Antonio sembrava dotato d’una virtù maravigliosa.
Nel momento in cui egli si apprestava a lanciar la corda, per salvare l’equipaggio della tartana, questa, sospinta dai marosi, si allontanò e andò a infrangersi contro una scogliera che or sì or no, appariva a fior d’acqua.
Andò in pezzi, come fosse stata di vetro. 
Dalla barca si levò un urlo di dolore...



Luigi Natoli: Coriolano della Floresta. Seguito a I Beati Paoli.  
Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di metà Settecento. L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1914.
Pagine 1387 (2 vol.) Prezzo di copertina € 30,00
Copertine di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Su tutti gli store di vendita online e in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60). 

venerdì 13 settembre 2024

Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli: Abbiamo terminato la Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli per la parte relativa ai romanzi storici?

La nostra Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli si compone ad oggi di ben 37 volumi di cui:
6 opere di carattere storico e di critica letteraria (La civiltà e la letteratura siciliana nel secolo XVI, Almanacco del fanciullo siciliano, Il teatro del popolino. Scritti sull'Opera dei Pupi di Luigi Natoli e Giuseppe Pitrè, Palermo al tempo degli Spagnoli 1500-1700, Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento, Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo).
1 Guida di Palermo e suoi dintorni 1891.
1 raccolta di poesie edite e inedite. 
2 raccolte di opere teatrali inedite e copiate dai manoscritti dell'autore in italiano (Il conte di Geraci, Cappa di Piombo, L'ironia della gloria, Quannu curri la sditta, Il numero 570 raccolte nel volume Cappa di Piombo) e in dialetto siciliano (Suruzza!, L'abate Lanza, L'umbra chi luci, Quattru cani supra un ossu) con traduzione in italiano a fronte.
1 raccolta di storie e leggende (La baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue).

26 romanzi storici.
(Tutti i volumi sono arricchiti dalle splendide copertine di Niccolò Pizzorno) 
Secondo l'unica biografia ufficiale ad oggi pubblicata di Luigi Natoli, abbiamo dunque terminato la Collana per la parte relativa ai romanzi storici. 
26 sono infatti i romanzi pubblicati da I Buoni Cugini editori, alcuni trascritti dalle puntate del Giornale di Sicilia perchè rimasti lì, altri trascritti dalle pubblicazioni della casa editrice La Gutemberg, in ogni caso sempre dalle fonti originali. 
Abbiamo scelto di chiudere il lungo elenco dei romanzi con "Coriolano della Floresta" seguito a "I Beati Paoli", il più lungo di tutti (ben 1387 pagine). E l'editore La Gutemberg, nelle pubblicità dell'epoca (1914), dà una spiegazione alla lunghezza dell'opera: Esso è il più lungo di quanti ne sono sgorgati finora dalla penna brillante del nostro valoroso scrittore; ma per l'ampiezza della tela, pel numero dei personaggi, l'azione e l'importanza dei personaggi, per l'intrecciarsi medesimo degli avvenimenti, doveva per necessità riuscire di così vaste proporzioni. Ed ancora: Ci rivolgiamo alla cortesia, intelligenza e pazienza dei nostri lettori, per ripetere che questo bellissimo romanzo storico e di amore fu eccezionalmente lungo perchè si volle narrare tutte le ultime gesta dei famosissimi Beati Paoli e chiudere così la loro storia. 
Ed ecco i ventisei romanzi, elencati secondo il nostro ordine di pubblicazione. 
Gli Schiavi
Il paggio della regina Bianca
Fioravante e Rizzeri
Ferrazzano
Il capitan Terrore
Alla guerra! 
Squarcialupo
Gli ultimi saraceni
L'abate Meli
Latini e Catalani vol 1 (Mastro Bertuchello)
Latini e Catalani vol. 2 (Il tesoro dei Ventimiglia)
I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina
I mille e un duelli del bel Torralba
Braccio di Ferro avventure di un carbonaro
I morti tornano...
Chi l'uccise?
Cagliostro e le sue avventure
Calvello il bastardo
La dama tragica
La vecchia dell'aceto
Il Vespro siciliano
I Beati Paoli
La principessa ladra
Fra Diego La Matina
Viva l'Imperatore! 
Coriolano della Floresta (seguito a I Beati Paoli)

Ma abbiamo realmente terminato con i romanzi, così come dicono le fonti ufficiali? O Luigi Natoli riserva sempre delle sorprese? 

I Buoni Cugini editori (Anna Squatrito e Ivo Tiberio Ginevra) 
www.ibuonicuginieditori.it - ibuonicugini@libero.it
Cell. 3457416697 (dott. Ivo Tiberio Ginevra, resp. vendite)
Tutti i volumi sono disponibili in libreria (La Feltrinelli libri e musica punti vendita Via Cavour e Centro Commerciale Conca d'Oro), su Amazon Prime e tutti i siti vendita online. 

lunedì 9 settembre 2024

Luigi Natoli: Egli guardava il vecchio romito, illuminato di profilo dalla lanterna... Tratto da: Coriolano della Floresta, seguito a I Beati Paoli.

Intorno era tutto silenzio; nel quale, a quando a quando, trasportato dal venticello, giungeva all’orecchio del giovane il canto dell’acqua, che scorreva contrastando coi sassi, in fondo al burrone; e poi qualche grido indefinito, che si perdeva nell’aria; e poi il canto di un gallo, cui rispondevan altri galli, più lontani, a intervalli pari; o l’improvviso latrato di un cane. Voci di una vita che pareva assai lontana da quella grotta misteriosa, debolmente illuminata dalla lanterna; e della quale egli non sapeva la profondità, nè vedeva l’ingresso, nè vedeva i confini.
Dal suo posto egli guardava il vecchio romito, che sedeva un po’ più in là, illuminato di profilo dalla lanterna; con tocchi violenti di luce, che rivelavano l’energia dei tratti non domata dagli anni. La sua fronte spaziosa, la linea del naso e degli zigomi avevano qualcosa di ieratico e di solenne.
Sebbene vecchio, conservava tutti i capelli, folti e lunghi, come non era usanza dei frati; segno che non apparteneva ad alcun ordine religioso, benché vestisse un saio come quello dei frati cappuccini. La barba gli dava un aspetto venerando.
Il giovane lo guardava con curiosità e con simpatia, e di tanto in tanto scoteva il capo, come per un rinnovarsi di stupore. Egli infatti trovava strano quell’incontro: e che in quell’ora, nella campagna deserta e solitaria, il romito andasse a torno; più strana ancora la familiarità che aveva con quella grotta, nella quale, come egli aveva potuto vedere, il romito aveva un armadio, bende e chi sa quante altre cose ancora.
Già quella grotta medesima era atta a suscitare la maraviglia. Per quanto la lanterna non giungesse a rischiararne che una parte, questa era sufficiente per dare un’idea della sua forma.
Non era una grotta naturale: in tempi remoti – almeno così giudicava il giovane – era stata scavata nel tufo, in forma circolare, con una volta. Erano però visibili, qua e là, vestigia di muratura, come se un intonaco, o una superficie diversa avesse una volta ricoperto le pareti. Il sedile era anch’esso di tufo; ma vi era stato collocato di proposito, e serbava le tracce di una sagomatura, corrosa oramai dall’umido e dall’antichità.
Che cosa era stata dunque? Una cripta? un sepolcreto? una dimora di uomini di tempi remoti? il misterioso ritrovo di genti barbare e feroci? una di quelle grotte leggendarie che la tradizione attribuiva ai saraceni?
I saraceni erano nella memoria del popolo di Sicilia un popolo vissuto in epoche che si perdevano nella notte di un passato senza limiti; e al quale si attribuivano edifici, grotte, piantagioni secolari, di cui il popolo non sapea determinare il principio o l’origine.
La leggenda narrava anche di tesori incantati, sotterrati in queste grotte misteriose, e custoditi da esseri straordinari; e ricordava le opere tentate per sbancare le trovature; per disincantare cioè queste immense ricchezze; e le disavventure o la morte orribile incontrata dagli incauti, o privi di coraggio sufficiente o mal destri.
Il giovane guardava e pensava.
Quel vecchio egli l’aveva già incontrato un’altra volta, due anni innanzi a Napoli, in un’occasione singolare, e, per un curioso incontro assai somigliante a questo che gli capitava adesso. Anche allora, in un momento pericoloso gli era apparso per sottrarlo a un pericolo. Era dunque un inviato dalla Provvidenza?
Quest’idea glielo faceva riguardare con un sentimento di rispetto e quasi di venerazione.
La notte trascorse così: verso l’alba il romito che non aveva più aperto bocca, si alzò, e disse:
- Comincia a imbiancare il cielo. Aspettami un po’: vado a chiamare dei bravi contadini.
Il giovane si meravigliò. Quella grotta dunque era accessibile anche agli estranei; e il mistero di cui l’aveva egli circondata, svaniva. Aspettò.
Una mezz’ora dopo due giovani robusti entrarono nella grotta, portando una piccola scala a piuoli nella quale erano distesi dei guanciali.
Pian pianino, prima le gambe, poi il busto, il giovane fu adagiato sui guanciali: i contadini sollevarono la scala dalle due estremità, e preceduti dal Romito, che faceva lume, uscirono dalla grotta.
E rivide le stelle, e respirò la fresca aria del mattino: la luna era tramontata; ma già si diffondeva pel cielo il chiarore dell’alba, e le cose intorno apparivano più distinte.
Il giovane ebbe la curiosità di vedere da che parte usciva, per segnalarla nella memoria. Era una specie di fenditura, ornata di cespugli, che vi si stendevano a guisa di cortinaggi.
Un po’ più in là un’apertura più vasta, lasciava vedere parte di un’altra grotta circolare come quella donde egli usciva.
Se il giovane avesse avuto un po’ di lettura, avrebbe forse intuito che quelli dovevano essere gli avanzi di antichi bagni romani o bizantini, di cui i dotti lasciarono ricordanza che sorgessero sulle sponde dell’Oreto, dalla parte su cui sorge la Torre dei Diavoli...




Luigi Natoli: Coriolano della Floresta, seguito a I Beati Paoli.
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1914.
Pagine 1387 (due volumi) Prezzo di copertina € 30,00
Copertine di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia). ordinabile anche alla mail ibuonicugini@libero.it o al whatsapp 3894697296.
Su tutti gli store di vendita online e al momento in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro)

venerdì 6 settembre 2024

Un nuovo volume si aggiunge alla Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli: Coriolano della Floresta, romanzo storico seguito a I Beati Paoli.

Storie d’amore tragiche o gentili, superbie di nobiltà cieca e crudele, gesta di eroici sacrificî. Le ultime gesta dei
 

BEATI PAOLI 
 
Che intervengono, ravvolti nel mistero, terribili e possenti; Blasco da Castiglione, vecchio, e quasi dimentico del suo passato; la corte del vicerè Fogliani; la morte del Pretore; il tumulto che scoppiò e la cacciata del vicerè; le vendette che ne seguirono; Virginia di Casalgiordano, Cesare Brancaleone, Giovanna Oxorio, don Ottavio Oxorio e sua moglie; Gabriella, la figlia di Blasco e di donna Violante, e altri personaggi, e sopra tutti 
 
CORIOLANO DELLA FLORESTA 
 
Vecchio anche lui, ma ancora fiero, dall’animo invitto, nemico dei superbi, suscitatore di rivolte, dominato alla sua vanità da un tragico fato... Ecco il fondo di questo nuovo romanzo, col quale la fantasia di 

WILLIAM GALT 

Raggiunge la sua massima potenza inventrice, e il suo stile la maggior potenza suggestiva. La varietà, la drammaticità degli avvenimenti, il mistero che circonda i personaggi principali, le costumanze, le vicende cittadine; spettacoli, feste, supplizî, rivoluzioni… tutto passa in una successione di quadri maravigliosi, che fanno di Coriolano Della Floresta il capolavoro di 
 
WILLIAM GALT 
 
È un romanzo che si deve leggere. 
 
Questo scriveva l’editore La Gutemberg nel marzo 1914, presentando ai lettori l’uscita delle prime dispense del romanzo di Luigi Natoli. Ci è sembrato giusto far rivivere anche queste pagine per ricreare il momento storico e dare all’odierno lettore il gusto dell’epoca, ma senza la snervante aspettazione settimanale della rivista in ben 125 fascicoli.


Luigi Natoli: Coriolano della Floresta, seguito a I Beati Paoli.
L'opera è la fedele trascrizione dell'unico romanzo originale pubblicato in 125 dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1914.
Pagine 1387 (due volumi). Copertine di Niccolò Pizzorno.
Prezzo di copertina € 30,00
Disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 5% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Su Amazon Prime, Feltrinelli, Ibs e tutti gli store di vendita online.
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La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15) Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), La Nuova Bancarella (Via Cavour)