giovedì 8 febbraio 2024

Luigi Natoli: Vi hanno obbligato a cucire la rotella rossa sul taled, come segno d'infamia... (L'Esodo) Tratto da: La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue

 
Raccolti nella sinagoga, ascoltavano i Giudei il rabbi Moisè Abbanascia; intorno a lui sedevano i rabbi, indi i Proti, i dodici Eletti, e Balii, gli Auditori dei Conti, il Percettore, tutti i magistrati della Giudeca; più in là i Leviti mesti e taciturni. I Rabbi, col taled quadrangolare sul capo, guardavano le alte pareti della sinagoga, presaghi del futuro; e con uno stringimento doloroso del cuore, vedevano con la mente la distruzione del loro tempio, già desolato, e sulle rovine sorgere la chiesa cristiana. 
Gravava la tristezza nell’aria; e nel silenzio profondo rompeva talvolta un singhiozzo mal soffocato...
- “Nulla, nulla è giovato – diceva Moisè Abbanascia – e nulla più ci rimane, né meno i nostri averi: la sentenza è improrogabile... Noi lasceremo e per sempre queste terre dove siam nati, dove son nati i nostri padri, dove la nostra nazione ha inteso meno che altrove i dolori dell’esilio!... Che cosa abbiamo fatto noi? Non abbiamo pagato la gesia statuita dal glorioso Ruggero? Non abbiamo soddisfatto le gabelle? Ci siamo rifiutati ai donativi? Giammai; né per divisi che siano stati i nostri interessi da quelli dei regnicoli, abbiamo negato il nostro aiuto, quando le guerre han minacciato l’indipendenza del Regno...
“E l’università di Palermo non ha riscosso sempre il diritto di jugalia e il censo e le altre imposizioni?... Ecco ora che il vento impetuoso strappa le verdi fronde della foresta, e travolge nel turbine le foglie... Eccoci dispersi come gregge colpito dalla folgore, o assalito alla pastura dal lupo vorace: eccoci dannati a trascinare la nostra miseria per estranee contrade, fra genti nuove, aspettati forse da ignote servitù e da più fiere miserie... E i nostri padri che noi abbiamo seppellito nelle campagne bagnate dall’Oreto? Aimè! La vanga del cristiano romperà il sasso che chiude le venerate ossa, e le disperderà ai venti, come le ossa dei figli di Caino!...
“Perché? Vi hanno obbligato a cucire la rotella rossa sul taled, come segno d’infamia, come la sillaba che Dio scrive sulla fronte dei colpiti dal suo furore... e voi avete obbedito; vi hanno costretto a non fabbricar le vostre case di là da un certo limite, e voi avete obbedito... E avete anche gittato nella voragine di costoro, profonda come l’eternità, la vostra ricchezza, il frutto del vostro assiduo lavoro; non chiedendo in cambio dell’obbedienza e dell’oro che la tranquillità oscura, che la pace ignorata, nelle nostre case, nei nostri banchi, nel nostro tempio!... Amare, lavorare, pregare secondo il nostro cuore, i nostri bisogni, la nostra fede!...
“Ma Iddio ha suscitato contro di noi frati ignoranti, fanatici, sanguinarii... Oh, ricordatevi le stragi di Taormina, e di Modica, l’assassinio di Bitone, le prediche di fra Giovanni Pistoria, le persecuzioni minute, incessanti, feroci del Sant’Offizio, le calunnie sul nostro rito...
“Oh la mite, e feconda tolleranza d’altri tempi, quando il nostro tempio sorgeva accanto alla moschea e alla chiesa; e a noi erano accordati privilegi e libertà!... Perché dunque, o Dio potente e sterminatore, non mandi i tuoi angeli, nella notte tenebrosa, per disperdere gli empii sacerdoti, i fabbricatori di idoli d’oro e d’argento?...
“Vano e sterile pianto è il nostro! Quando i nostri padri, tratti nella schiavitù per settant’anni, sedettero sui fiumi di Babilonia, lasciata diserta e rovinosa Sionne, il canto dei Profeti mitigò l’aspra servitù augurando il ritorno nella patria e la riedificazione del tempio... Ma a noi, nati lontano dalla patria antica, cacciati dalla patria antica, cacciati dalla patria di adozione, non il canto dei Profeti, non l’augurio del ritorno... Abbandoneremo questa terra alta e rigogliosa come un palmizio, che il nostro lavoro, la nostra ricchezza hanno resa più grande, come le acque del Iabok crescono in magnificenza il sacro Giordano... Oh che l’anima tua sterile, o Tomaso Torquemada, ululi pel terrore, come vedova lupa assetata di libidine nel caldo maggio! Che la mano di Dio ti strappi dal seno dei tuoi fratelli, come è divelto il loglio di tra’ frumenti dall’agricoltore! Che il tuo fianco sia prostrato nella polvere, come la quercia dalla folgore!... Ah!... sfavillano i primi roghi in Granata, e dalla ampia catasta si sprigionano le scintille, come rubini scagliati in alto da uno scrigno; e su quella catasta, e tra le fiamme che s’attorcono come draghi, urlano e muoiono tra gli spasimi vecchi cadenti, fragili donne, innocenti bambini... Urlano, mentre le fiamme si apprendono alle carni, e le carni si gonfiano, scoppiano, colan sangue e sanie gorgogliante... E questa è la sorte riservata a noi!...
“Acabbo  e Gezabele ebbero sete della vigna di Iezrael e fecero morire il buon Nabor; ma la collera di Dio li raggiunse, e i cani divorarono le loro carni là dove avean lambito il sangue di Nabor. Tal sia dell’avaro Ferdinando e della crudele Isabella!...


Luigi Natoli: La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue. Raccolta di leggende a sfondo storico trascritte dal volume originale Storie e leggende, pubblicato in Palermo dalla casa editrice Pedone Lauriel nel 1892. Alla raccolta è stata aggiunta la novella "La signora di Carini" pubblicata nel Giornale di Sicilia nel 1910 con pseudonimo di Maurus, "Un poemetto siciliano del secolo XVI" estratto dagli Atti della reale accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo (serie III - vol. IX - Palermo 1910) e "Storia della Baronessa di Carini (sec XVI) estratto da "Musa siciliana" con note dell'autore - Casa editrice Caddeo 1922.
Pagine 305 - Prezzo di copertina € 21,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria presso: 
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