venerdì 2 dicembre 2022

Luigi Natoli: Mastro Bertuchello rievocava la catastrofe del suo signore... Tratto da: Mastro Bertuchello (Latini e Catalani vol. 1)

Ogni giorno, dopo il sonnellino meridiano, mastro Bertuchello se ne andava a passeggiare un poco. Scendeva per la strada Marmorea o Cassaro, usciva dalla porta dei Patitelli, che s’apriva presso la chiesa di S. Antonio, sulla vecchia spiaggia, già da un prezzo abbandonata dal mare; e se ne andava bighellonando sul porto della Cala, o a vedere il gran lavorìo dei muratori che costruivano il nuovo palazzo dei Chiaramonte sullo sperone del sobborgo dei Greci; il quale anticamente chiudeva il grande porto, ma disseccato questo, sorgeva ora come una piccola altura al lembo della vasta piazza Marina.
Ma lì, dinanzi a quella mole superba che già giganteggiava, come segno visibile della possanza dei Chiaramonte, mastro Bertuchello rievocava la catastrofe del suo signore. I Chiaramonte erano stati i più fieri nemici del conte di Geraci; ma forse non avevano avuto torto.
- Ah le donne! Le donne! – pensava mastro Bertuchello: – Dio mi perdoni, ma non valeva la pena frodare l’uomo di una costola, per creargli la sua rovina! Una nobile, antica e potente casa eccola distrutta pei begli occhi di una donna!... Senza di che, io non sarei un povero maestro di scuola… Ma questo, in fondo, è il minor male… Saldo, Bertuchello mio! Non t’invischiare con femmine; e la sera, quando reciti il Pater, non dimenticar mai la variante: non bisogna dire: libera nos a malo, ma libera nos a foemina. È il più grande dei mali. Io non so se gli angeli abbiano sesso; ma credo che quelli che furono cacciati dal paradiso dovevano essere femine.
Poco meno di due anni prima, un tragico avvenimento, che, per la qualità del personaggio che ne fu vittima, commosse tutta l’isola, aveva disorientato mastro Bertuchello, o lo aveva obbligato ad abbandonare il suo paese e a mutare il suo mestiere.
La catastrofe che aveva ucciso il conte di Geraci, dispersa la sua famiglia, e spartiti fra’ i suoi nemici i feudi, era stata così repentina, così travolgente, che il povero maestro di scuola, dopo due anni, ne risentiva lo spavento e l’orrore, e non poteva non riparlarne. E probabilmente la sua avversione verbale per le donne, più che dà malanni procurati a lui, traeva origine dalla parte che le donne rappresentarono in quella catastrofe.
Messer Francesco Ventimiglia, conte di Geraci, vantava sangue regio. Una tradizione di famiglia, che però non è avvalorata da alcun documento, gli attribuiva discendenza dai principi della Casa d’Altavilla: certo le armi dei Ventimiglia erano quelle stesse dei re normanni di Sicilia: lo scudo d’azzurro traversato da una fascia a scacchi alternati bianchi e rossi.
Messer Francesco era uno dei più potenti signori del reame; il suo vasto dominio si stendeva dal mare fino sopra le Madonie.
Al tempo della catastrofe comprendeva una ventina di feudi, Sperlinga, Pollina, Castelbuono, Golisano, Gratteri, Sant’ Angelo, Malvicino, Tusa, Castelluccio, le due Petralie, Gangi, S. Marco, Belici e altre terre minori e casali, lo riconoscevano signore: alla sua casa,per diritto ereditario concesso dai re, spettava l’ufficio di Gran Camerario, una delle sei o sette dignità supreme del regno.
L’amicizia e la protezione di chi gli era largo al re Federigo, che lo aveva incaricato di ambasceria pel papa, e lo aveva dato compagno al principe Pietro nella escursione in Toscana, lo avevano fatto conte di Geraci: i servigi sedi da lui al re e al regno travagliato dalle continue pretensione della corte angioina, la ricchezza, l’ampiezza della stato ne avevano fatto il personaggio più rispettato, più temuto, più invidiato. Non poteva dire di essere amato o di godere salde amicizia. Non se le accattivava. facile agli impeti, violento, instabile nelle relazione, vago di piaceri e di novità, superbo della sua nobiltà, spregiatore degli altri, generoso fino alla prodigalità e nel tempo stesso geloso dei suoi diritti, prode, irriflessivo, era un impasto di buone e di cattive qualità.
Ora molti anni innanzi, una mattina, ascoltando messa nella chiesa di S. Maria Maddalena, alla Galca, messer Francesco vide entrare una giovinetta assai bella, e con certi occhi che trapassavan come dardi il cuore di chi la mirava. Era accompagnata da una vecchia, la nutrice forse o la nonna, ché poteva essere l’una o l’altra. Mastro Bertuchello che era un ragionatore conseguenziario, assicurava che quell’incontro fu la causa prima della quale, per filo di logica, dipesero tutti gli avvenimenti successivi. Che bisogno aveva il conte, allora giovane e avido di piaceri, innamorarsi sul serio di quella giovane? Bella, sì, lo era: ma anche le altre donne di cui egli si era incapricciato eran belle, e tuttavia messer Francesco non si era perduto dietro a loro. Prendeva e lasciava. Quella volta, no. Madonna Margherita Consolo non fu così facile a cedere: era una fanciulla modesta e riserbata; arrossiva quando vedeva il conte, e il suo volto si illuminava d’un sorriso di gioia: ma non osava neppure parlargli dalla finestra.
- Il pudore non è sempre una virtù angelica; – diceva mastro Bertuchello, quando ricordava i casi del conte; – qualche volta, anzi il più delle volte è un suggerimento del diavolo, per perdere gli uomini: perché l’uomo è la bestia più singolarmente caparbia in amore; e più si vede negato di cogliere il frutto, più si ostina a volerlo cogliere, a costo di commettere le più grosse corbellerie. Il conte perdette il giudizio. Diede qualche colpo di spada per sbarazzarsi di qualche competitore: e una notte entrò violentemente dalla finestra nella camera della fanciulla, e non ne uscì che all’alba. Voi crederete che soddisfatta la voglia e il puntiglio di messer Francesco fosse votato alla ricerca di qualche altro fiore? Nossignori! Quella fanciulla che pareva timida e vergognosa, doveva possedere qualche incantesimo; e avvenne la cosa più illogica per le abitudini del conte, quella cioè di rimaner fedele a madonna Margherita, fino al punto di toglierla con sé, in una sua casa, e convivere con lei, come fossero stati marito e moglie. Questo avvenne intorno al 1312. Io non ero ancora nato; e questi fatti mi vennero raccontati dai più vecchi. Nacque un primo figlio, al quale madonna Margherita volle che fosse posto il nome del padre, vezzeggiandolo in Franceschello...


Luigi Natoli: Mastro Bertuchello (Latini e Catalani vol. 1) Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo medievale, al tempo della dinastia aragonese e di messer Francesco Ventimiglia, conte di Geraci.
L'opera è la ricostruzione del romanzo originale pubblicato in dispense con la casa editrice La Gutemberg nel 1925.
Copertina di Niccolò Pizzorno - Pagine 576
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria.

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