venerdì 2 dicembre 2022

Luigi Natoli: Mastro Bertuchello (Latini e Catalani vol. 1). Romanzo storico siciliano.

L’ometto era piccolo, magro, coi capelli neri, che gli scappavano a lunghe ciocche sul collo da sotto la cuffia. Il suo volto lungo con un muso di faina, raso, aveva un’età indefinibile. Gli si potevano dare venti o quarant’anni. Dal naso al mento, pei solchi che si affondavano sulle guance, per la piega amara e beffarda delle labbra aveva quarant’anni; ma gli occhi grandi, vivaci, che ridevano anche quando la bocca pareva più amara, eran quelli di un giovane a venti anni.
La sua cuffia di velluto nero, qua e là spelato, teneva buona compagnia alla zimarra, che aveva ai gomiti e sul petto una lucidità, indizio di una età venerabile e di un lungo servizio; e alle sfilacciature e a qualche strappo mal rammendato rivelava le condizioni economiche dell’ometto, non molto prospere, in vero. Ma eran cose alle quali egli non badava: pareva anzi che quella povertà fosse indispensabile a quell’aria di sdegnosa fierezza che gli splendeva sulla fronte ampia e impavida. Si chiamava Mastro Bertuchello. Nessuno, neppur lui sapeva perché avesse questo nome. Era forse un soprannome? Un’ ingiuria? Da bambino lo chiamavano Bertuchello; e continuavano a chiamarlo così, ed egli stesso si sottoscriveva “Mastro Bertuchello” sebbene la sua mamma gli avesse detto che egli era stato battezzato dalla chiesa madre di Geraci, col nome di Giovanni e che a suo padre, Maso Mangialavacca, “borgese” di Geraci, era stato tramandato quel curioso nome da uno zio canonico del duomo di Cefalù.
Mastro Bertuchello era veramente giovane; aveva ventitré anni ed era venuto in Palermo da pochi mesi, dopo più d’un anno dalla catastrofe del conte suo signore. Egli era stato uno dei familiari della casa del conte. Messer Francesco lo aveva tenuto a sue spese allo studio di Bologna; e pensava forse di fargli ottenere qualche ufficio nella Curia, o di farne un notaro, dacché Bertuchello aveva dichiarato di non sentir nessuna vocazione per la chierica o pel saio. Ma la rovina del conte, la confisca dei beni, le persecuzioni, le prigionìe, i supplizi con cui furono perseguitati i congiunti, i seguaci, i familiari del nobile signore, lo balestrarono da prima a Cefalù, e da Cefalù a Palermo. A Palermo c’era per altro un lontano parente di sua madre, chierico di san Michele Arcangelo. Bertuchello andò a trovarlo: e per suo mezzo, nel novembre del 1338 ottenne dal Comune l’incarico di insegnar grammatica ai fanciulli, nella scuola di S. Domenico.
E così mastro Bertuchello, se non potè essere scriba nella Curia o notaro, diventò maestro di scuola; e vi era già da un anno.
Per altro quest’ufficio non gli spiacque. Stando allo studio di Bologna Bertuchello aveva preso amore agli studi letterari. Oltre agli studi di diritto e di teologia, ai quali era obbligato, ne faceva altri per suo conto, procurandosi libri, e copiandoseli in bella scrittura. Nella baraonda degli studenti, che convenivano in quell’Archiginnasio, da ogni parte d’Italia, ve n’erano che preferivano leggere Virgilio e Ovidio, e che scrivevano rime volgari per le loro belle, e satire latine contro i loro maestri. Tra le sbornie, i tumulti, le coltellate e le lezioni di diritto, Bertuchello acquistava così una cultura più larga e più umana; che diventava passione, di mano in mano che egli capitava qualche autore latino, e che se lo ricopiava. Allora non c’era la stampa; i libri erano manoscritti o su pergamena o su carta bombicina, e costavano molto per la borsa di un povero studente. Possedere una bibliotechina era indizio di ricchezza. Non potendo acquistare i bei codici miniati, Bertuchello se ne faceva le copie, la notte, al lume della lucernetta. In questo modo si era formata una piccola biblioteca, la quale, oltre alle Glosse di Accursio, al Digesto di Azzo da Bologna, alla Somma di S. Tommaso e agli Otia imperialia di Giovanni di Tilbury, conteneva la Summa dictaminis trattato di retorica di Giovanni di Bonandrea, e le Etimologie di Isidoro, alcuni scrittori latini, quelli che allora eran più divulgati. Possedeva una Eneide di Virgilio; le Metamorfosi di Ovidio, gli Officii di Cicerone, le favole esopiane, qualche opera di Seneca, le Confessioni di S. Agostino, un Boezio, un Quintiliano, la Metafisica di Aristotile. E inoltre qualche cantare romanzesco, la storia di Tristano e Isotta, una raccolta di rime volgari, e la prima parte di un poema, che aveva acquistato celebrità, ma che non correva ancora intero: la Commedia di Dante. Egli aveva potuto trascriversi l’Inferno.
Questi libri, che formavano il suo bagaglio letterario, aveva portato con sé a Geraci, e si erano salvati dal saccheggio, perché li aveva nella casa paterna, e le soldatesche del re, che cercavan danari o roba, non avevan saputo che fare di quegli scartafacci.
A Palermo, nella sua cameretta nel vicolo di S. Michele Arcangelo, Bertuchello li aveva schierati in bell’ordine in una scansia che si era costruita da sé. Aveva certe sue idee da “filosofo”, per le quali diceva che un uomo deve saper provvedere da sé alle cose che gli sono utili: e che se c’erano maestri legnaioli e maestri leutari, questa non era una ragione perché egli non potesse fabbricarsi da sé una scansia pei libri, un banco per scrivere e un leuto per suonare nei momenti di ricreazione. Anche la zimarra s’era cucita da sé, e si sarebbe tessute le calze, se avesse avuto il tempo e gli strumenti.
Donne in casa non ne aveva. Gli teneva compagnia un grosso gatto grigio, baffuto, con gli occhi verdi. Gli era venuto un giorno in camera, che era ancora micino; e vi era rimasto: egli l’aveva battezzato con nomignolo affibbiato dagli studenti a uno dei lettori di Bologna, che aveva le mani come artigli e abitudini da predone: messer Granfia. Tra lui e il gatto s’era stretta una grande amicizia, forse perché anche messer Granfia aveva abitudini da filosofo...


Luigi Natoli: Mastro Bertuchello (Latini e Catalani vol. 1). Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo medievale, al tempo della dinastia aragonese e di messer Francesco Ventimiglia, conte di Geraci. 
L'opera è la ricostruzione del romanzo originale pubblicato in dispense con la casa editrice La Gutemberg nel 1925.
Copertina di Niccolò Pizzorno - Pagine 576
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria. 

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