mercoledì 7 dicembre 2022

Luigi Natoli: In quel tempo la piazza Marina era assai più vasta di quel che è oggi... Tratto da: Il Paggio della regina Bianca. Romanzo storico siciliano.

La vasta piazza Marina in Palermo era quasi deserta in quell’ora mattutina del mese di maggio del 1401; e l’ampia mole dello Steri vi proiettava un’ombra lunga e trasparente.
In quel tempo, la piazza Marina era assai più vasta di quel che è oggi, e serbava ancora le tracce di seno di mare prosciugato. Il porto, ridotto ora alla Cala, era più profondo; le acque del mare si spingevano su un tratto della odierna via Porto Salvo, lambendo quasi il muro del palazzo delle Finanze e un tratto della piazza della Fonderia.
Più di due secoli prima bagnavano la scogliera sotto la torre di Baych, o di porta di Mare, che si apriva dietro la parrocchia di S. Antonio; poi, ritraendosi, o respinte da disseccamenti artificiali, avevan lasciato asciutto un lungo tratto, sul quale già sorgevano case e correvano nuove strade. Il Cassaro, o via Marmorea – come si chiamava ufficialmente, – si arrestava però alla porta di Mare, che era rimasta, intatta fra le due torri di guardia, come erano rimaste tuttavia in piedi le mura della antichissima città, sebbene oramai inutili.
Palermo offriva in quei tempi uno spettacolo curioso e singolare.
La sua pianta si era via via allargata fin dal tempo dei Romani; una città nuova era sorta oltre il letto del fiume il Maltempo; le cui sponde superiori, per esser piantate a “cimino” fecero dare grecamente il nome di Kèmonia, alla parte alta dell’Albergheria.
Il letto di questo fiumicello, che il Senato avea deviato da qualche tempo, per evitare le frequenti inondazioni, è riconoscibile nell’attuale via Castro.
Nel 1401 esso, d’inverno, correva ancora nel suo letto, e scendendo per le odierne vie di Casa Professa e dei Calderai, piegando per la contrada dei Tornieri, si univa al fiumetto della Conceria, e scendeva nel mare.
Di là da questo fiume era dunque sorta una città più vasta dell’antica, dovuta all’opera di espansione e di adattamento dei vari dominatori.
I Romani vi fabbricarono quasi tutta quella parte che oggi forma il mandamento Palazzo Reale; i Bisantini vi aggiunsero altre contrade, più in giù, che giungevano fin presso S. Francesco d’Assisi; gli ebrei vi costruirono le loro case e la Sinagoga, tra la moderna piazza del Ponticello e la contrada dei Calderai; gli Arabi vi edificarono una vera città, chiusa da mura, dove aveva sede il governo e serbavano il tesoro, e la chiamarono Kalesa, l’Eletta, nome che ancor serba, sincopato in Kalsa, o secondo la pronuncia palermitana hausa.
Queste nuove contrade col tempo si erano confuse; nel secolo XV i loro confini si erano cancellati, e solo era visibile qualche pezzo di muro o quale torre dalla Kalesa. Esternamente erano difese da una muraglia comune, che girava da occidente a mezzogiorno e piegava a oriente, sul mare; nella quale si aprivano alcune porte, due delle quali, sopravvissute al naufragio di tante altre cose e ai rinnovamenti edilizi, rimangono ancora, coi loro nomi antichi, ruderi gloriosi del passato: porta Mazzara (el Mahassaar) e porta S. Agata: di altre, come la porta delle Terme e quella dei Greci, rimane il nome. Delle muraglie qualche frammento è ancora visibile fra le case che vi si addossano, nei pressi dell’Ospedale Civico, e dietro la Caserma dei Carabinieri.
Dalla parte opposta, dall’altro lato dell’antica città si apriva una vasta palude, detta di Buonriposo, che per esser piena di papiri diede il nome di Papireto alla contrada. Essa un tempo si estendeva, costeggiando le mura settentrionali della città antica, e occupando l’area delle odierne piazze del Monte di Pietà, di S. Onofrio e dei mercati; ma a poco a poco s’era disseccata.
Nel secolo XV la palude s’era ristretta alla parte più alta, giungendo appena a S. Cosmo: stagnante spesso e miasmatica. Un emissario, che era il fiumetto o fiume della Conceria, la metteva in comunicazione col mare, e di là da questa palude eran sorti dal tempo degli Arabi altri borghi, che formavano un’altra città transpapiretana; e forse perché vi aveva avuto sede un cadi, dal nome composto di Sera-al-cadi, Seralcadi, era venuto il nome al quartiere, di Seralcadio, poi Civilcari; la cui parte superiore il popolo chiamò Capo.
Anche oggi, il visitatore curioso può riconoscere tanto l’antico letto del Maltempo o fiume di Kemonia, quanto quello della palude Papireta, nei due avvallamenti o parti più basse da via Castro a Lattarini a destra, dal Papireto alla piazza Caracciolo a sinistra, che lasciano anche oggi in mezzo più elevata, tutta la parte centrale della città fino a S. Antonio. Questa parrocchia, come si può vedere, resta infatti più alta dell’attuale livello del corso Vittorio Emanuele e della nuova via Roma: e più alte rimangono a sinistra le vie del Celso e delle Vergini, che sovrastano a quelle dei Candelai e alla piazza Nuova; e a destra le vie Biscottai e S.Chiara, e le chiese di S. Cataldo e della Martorana, che sovrastano alla via Castro, alla rua Formaggi, alla piazza del Ponticello e alla via dei Calderai.
L’antichissima Palermo era appunto questa parte centrale più alta, sovrastante alle altre or accennate. Essa era cinta di mura e di torri, che l’allargarsi successivo della città non distrusse.
Nel 1401, come abbiamo detto, queste mura e queste torri esistevano ancora, con le antiche porte; l’ultima delle quali sparve nel 1588, quando si costruì il convento dei frati Benefratelli. Formavano dunque una città murata dentro la città.
La piazza Marina, così detta perché da prima era seno di mare, da più d’un secolo era prosciugata; essa era chiusa dalla parte di mezzogiorno dalle mura della Kalsa, qua e là abbattute, e dalla parte di levante da uno sprone di terra, (ancor visibile nello stereobate su cui sorgono l’Hotel de France, e il palazzo dell’Intendenza,) il quale finiva sulla Cala, con una chiesa, sotto la quale si agganciava la catena da chiudere il porto; dal che la chiesa prese il nome di S. Maria della Catena.
Questo sprone, nei tempi antichissimi formava un molo naturale, difendeva e proteggeva, il porto profondo, a cui la città doveva il suo nome greco: Panormo (tutto porto). Dalla parte esterna, sul mare, al limite del quartiere arabo della Kalsa, e cioè dove ora corre la via Butera, su questo sprone era un borgo di Greci, con la loro chiesa di S. Nicolò. Da loro prese il nome la porta, che, rifatta, serba fino ad oggi il nome di Porta dei Greci.
La piazza Marina era dunque compresa fra questo sprone più elevato, la parte alta della Kalsa, e giungeva fin presso allo sbocco della via del Parlamento, comprendendo la via Bottai e l’area del palazzo delle Finanze; il porto, dal lato ove è la chiesa di S. Sebastiano, penetrava ancora un po’ di più, e giungeva fino all’Arsenale, il Tercianatus dei vecchi documenti, che ha lasciato il nome alla piazzetta di Terzana.
Sullo sprone non v’erano edifici notevoli, salvo che lo Steri, l’antica e nobile dimora dei Chiaramonte, accanto a cui la casa men bella dei conti di Cammarata e la chiesa di S. Maria della Catena.
Dietro lo Steri sorgevano la chiesetta di S. Antonio, ancora esistente, e la chiesa di S. Nicolò, or da un secolo circa distrutta.
Le altre case intorno eran piccole dimore, frammezzate da orti e giardini, tra i quali, dalla parte opposta allo Steri, sorgeva nella sua bella architettura ogiva la chiesa di S. Francesco dei Chiovari e accanto a essa si innalzava bruna, massiccia , fiera nei suoi merli, con finestrette simili a feritoie, la torre di Maniace o volgarmente di Manau.
Fra quelle case v’era qualche taverna, sulla cui porta una fronda di alloro rinsecchita serviva d’insegna.
L’erba cresceva nella piazza; e delle capre dal pelo lungo e dalle corna lunghe, a spirale, pascolavano tranquillamente.
L’odore delle alghe marine, deposte sulla riva dall’alterna vicenda dei flutti, impregnava l’aria silenziosa.
Fra le barche tirate a secco alcuni marinai col berretto rosso in capo, come si vedono ancora nel promontorio sorrentino, stendevano le reti al sole; da un focolare improvvisato con due sassi, si levava una spirale di fumo azzurro, che si allargava e si sperdeva in alto.
Oltre le barche, nel vasto specchio d’acqua del porto si scorgevano alcune galee e barconi e feluche; qualcuna aveva già spiegate le vele e si accingeva a prendere il largo. Più in là ancora il Castello a mare distendevasi con le sue torri massicce, l’ampia cortina merlata, armata di bombarde, accanto alle quali, si vedevano biancheggiare le grosse palle di pietra.
Più in fondo ancora Monte Pellegrino disegnava nel cielo la sua massa rocciosa, coi fianchi verdeggianti di boschi, e le cime indorate dal primo sole.
V’era una gran pace, una tranquillità dolce e solenne a un tempo nell’aria fine e trasparente, per la quale volteggiavano stormi di rondini, salutando il sole con piccoli gridi festosi.
Un giovinetto s’era fermato con un senso di meraviglia e una certa commozione in mezzo alla piazza, guardando il palazzo chiaramontano...


Luigi Natoli: Il Paggio della regina Bianca. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401, al tempo di Andrea Chiaramonte, della regina Bianca di Navarra e di messer Bernardo Cabrera. 
L'opera è la ricostruzione del romanzo originale pubblicato in dispense nel 1921.
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Pagine 700 - Prezzo di copertina € 23,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia). Per ordini, contattare alla mail ibuonicugini@libero.it o al whatsapp 3894697296.
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria.

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