venerdì 4 novembre 2022

Luigi Natoli: La morte volle spegnerlo in un gesto di carità sublime... Tratto da: Ricordi di Clodomiro, mio figlio.


Pochi, forse, salutarono con gioia pari alla Sua l’alba del 24 maggio! Eppure in quel primo momento gli vietarono di partire pel fronte, perché i medici militari lo giudicarono inadatto alle fatiche di guerra: Lui che la guerra già conosceva! Egli fuggì: fuggì due volte; e così gli fu concesso di raggiungere il suo reggimento. Partì negli ultimi di maggio. Da allora stette sempre in prima linea; dovrei dire anzi sempre in trincea; che soltanto pochissimi giorni la sua compagnia andò in riposo. Modesto, sobrio, primo sempre ai pericoli, allegro, affettuoso, in tutta la lunga faticosa aspra avanzata per la conquista del Col di Lana, rese importanti servizi. Cento volte sfidò la morte: di giorno e di notte, sulla neve, sotto i reticolati austriaci, dovunque i suoi superiori Lo mandavano, sicuri dell’audacia, dell’abnegazione e dell’intelligenza del “Garibaldino” – come lo chiamavano. 
E non vantò mai l’opera sua; spesso lasciò ad altri il merito di Sue rapide e feconde iniziative. Inviato dal suo capitano, che lo amava, a iscriversi nel plotone allievi ufficiali, si rifiutò. Che importava un grado? Combattere bisognava; che anche da semplice soldato si poteva ben meritare dalla patria. E da soldato poteva Egli, nei brevi riposi della trincea, continuar meglio fra compagni quell’apostolato di italianità, che aveva cominciato in Francia. Non pensò mai a sé. Più di una volta, sfidando la morte, andò a raccogliere qualche compagno gravemente ferito, e se lo caricò sulle spalle, invano bersagliato dalle fucilate austriache. Gli shrapnels, le bombe, le palle austriache che Gli uccidevano i compagni al fianco, pareva rispettassero la sua balda giovinezza: Gli cadevano ai piedi senza esplodere, o Gli foravano il berretto senza colpirLo. Le valanghe precipitavano su la Sua capanna in vedetta avanzata, senza abbatterla; la neve Lo copriva durante il sonno su per la montagna, e Lo svegliava il domani ilare e svelto, fra compagni, ahimè, che non si svegliavano più!... S’era acquistata una fama di invulnerabilità, che Gli faceva sfidare la morte, sorridendo. Ma senza spavalderia. Non potei indurLo mai, nelle brevi licenze passate con me, a scrivere o a narrare episodi che Lo riguardassero: quelli che io conosco, Gli sfuggivano, quasi senza volerlo, dalla bocca, incidentalmente; e accennandovi, cercava di non lumeggiar troppo Se stesso; e qualche Suo bel tratto eroico o generoso cercava di ridurre, non tanto per modestia, quanto pel timore che potesse apparire una vanteria. 
Portava nella guerra la gentilezza dell’animo; così il Suo odio fiero e ardente contro il tedesco – e tedesco per Lui era anche l’austriaco – non spegneva il sentimento di pietà: nè l’aver desiderato e propugnato la guerra, di riconoscerne e deplorarne l’orrore. Quando nel febbraio del 1916, venuto in licenza, e raccontando l’assalto di una trincea nemica sul Col di Lana, e d’un austriaco baionettato, il fratello minore Gli domandò, se nei combattimenti a corpo a corpo Egli “ne avesse infilati austriaci”; io vidi il suo volto divenir serio e come ombrato da una nube di tristezza; e la sua voce farsi severa, amara, quasi dolente; e rispondere con un tono grave e di rimprovero: “Non son cose che si dicono, queste!”
Cedette alle insistenze dei superiori, e andò al corso degli allievi ufficiali, soltanto quando si persuase che da ufficiale poteva rendersi utile. Nominato aspirante nel maggio del 1916 fu destinato al 24° che fronteggiava il nemico tra i ghiacciai del Seekofel. Vi andò preceduto dalla fama di audace e volenteroso; e la riconfermò nell’eseguire incarichi, degnamente encomiati dal Comando della Brigata. Altri avrebbe forse fatto valere le lodi per averne ricompense o avanzamenti; Egli non se ne curò. Io non ne avevo notizia che tardi, e brevemente. Non già perché Egli fosse avaro di lettere: mi scriveva anzi frequentissimamente, quasi ogni giorno: talvolta la notte dopo un’avanzata o dopo una ricognizione; chè io era in cima dei Suoi affetti. Ma appunto per questo, Egli cercava di non destare in me preoccupazioni ed ansie. 
Ora che scrivo di Lui, rileggo le Sue lettere, così quelle mandate da Pieve di Livinallongo, da Cortina d’Ampezzo, dal Col di Lana, come quelle del Seekofel; tutte così affettuose, così vibranti di fede, così nobili di idealità, che le lagrime stesse non possono impedire al mio cuore di esultare d’orgoglio. 
La morte che non aveva osato colpirLo nella tempesta dei combattimenti, quando l’ira par che abolisca ogni senso di umanità; che non Lo aveva colpito eroe della strage, con l’arme insanguinata nel pugno; volle spegnerLo in un gesto di carità sublime; volle che tanta bella e fiorente giovinezza fosse irradiata della luce purissima del sacrificio, consapevolmente, volontariamente affrontato, sofferto per la salvezza degli altri!...




Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro, mio figlio.
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