La banda di Angelo Sicco non rubava
che quando aveva bisogno di denaro, e rubava o i ricchi signori o il corriere
del governo; non parendo grave colpa ritogliere ai signori e al governo quello
che essi toglievano alla povera gente per tributi feudali o per gabelle.
Del resto parte delle somme, talvolta,
andava a profitto della povera gente. La casa di una contadina vedova, con tre
creature, era rovinata da un uragano, gittando quei miserelli in mezzo alla
strada? Angelo Sicco rifabbricava la casa. Qualche vecchio contadino era
spogliato dal fisco, per non poter pagare? Angelo Sicco faceva bastonare gli
algozini, ma nel tempo stesso sovveniva il vecchio, perché si aggiustasse col
fisco e riscattasse la roba. Un povero mulattiere era depredato da ladruncoli di
campagna? Angelo Sicco gli faceva restituire fino all’ultimo denaro e
infliggeva una punizione ai malandrini che usavano rubare la povera gente.
Di questi tipi di briganti non era
scarsa l’isola. Avventurosi, ferocî, magnanimi, animati da un certo sentimento
di giustizia, qual maraviglia se nella fantasia e nel sentimento popolare si
ingrandivano e assurgevano all’eroismo, circondandosi non soltanto
dell’ammirazione e della simpatia, ma anche del favore occulto, sincero, devoto
quanto spontaneo e disinteressato degli umili? Questa era la loro
invulnerabilità.
Il nome non fece più sembrare
straordinario agli occhi di Corrado e di Pietro quello che il bandito aveva
fatto: da lui non si poteva attendere altro. Corrado lo rimproverò:
- Dal momento che voi eravate
nell’osteria, perché non siete venuto fra noi? Sarei stato contento di offrirvi
un bicchiere di vino.
Angelo Sicco rispose con un sorriso
significantissimo, scotendo il capo in segno di diniego. Poi si rimise il
cappuccio dello “scapolare”, pose il fucile sotto il braccio, come per
andarsene; ma Corrado, quasi per un presentimento, gli disse:
- Non ve ne andate; forse potrei aver
bisogno dell’opera vostra...
- Pronti! – rispose il bandito, e
sedette sopra un altro sasso.
- Aspetto qualcuno, – aggiunse Corrado:
– un amico.
Quasi nel tempo stesso una mano spinse
la porta, ed entrò zi’ Francesco, intabarrato, che guardò con sorpresa quel
terzo personaggio, che non si aspettava di trovare, e del quale non vedeva il
volto, celato dal cappuccio.
Si alzò, usci fuori dalla vecchia
torre, e modulò quel fischio che aveva insegnato a Corrado. Un folto canneto si
agitò violentemente e una specie di contadino, poveramente vestito, ne uscì e
si avvicinò alla torre: mentre di fra le canne altri visi si affacciavano e qualche
fucile luccicava.
Angelo Sicco parlò brevemente,
rapidamente e imperiosamente; poi fece un gesto e il contadino partì. I volti e
le canne di fucile sparvero nel canneto, e Angelo Sicco rientrò nella torre.
- Per giungere in città occorrono
venti minuti; – disse sedendosi, – e venti per ritornare, e son quaranta; e
un’ora per le indagini, fanno un’ora e quaranta; mettiamo due ore; a ventitrè
ore noi sapremo qualche cosa...
Intanto zi’ Francesco, chinatosi
all’orecchio di Pietro, gli domandava chi era quel personaggio, così umile in
apparenza, e così straordinario; sottovoce Pietro glielo disse; e quel nome
leggendario dipinse subito sul volto del popolano una specie di ammirazione e
di stupore.
Per un istante il silenzio chiuse
quelle quattro bocche in una specie di raccoglimento. Poi Corrado, impaziente,
domando:
- È un uomo sicuro, quello che avete
mandato?
- Il più abile per attingere
informazioni... Vossignoria ha veduto se sono informato bene...
- Difatti, – confermò il giovane; – ed
è una cosa stupenda...
Il bandito fece un cenno come per dire
che, per lui, era cosa più ovvia e più semplice: l’uomo che aveva spedito era
un ex birro, che, prima di far il birro, era stato in galera: da birro, non
potendo dimenticare le amicizie contratte nella galera, e certe idee che
costituivano il codice di quella gente: si prestava di buon animo a informare
segretamente i latitanti, i banditi, e in generale tutti coloro, che, colpiti
dalla giustizia, cercavano uno scampo nelle campagne. Poi, scoperta la sua complicità
in un grosso furto commesso in Palermo, prese il largo e diventò un gregario
della banda di Angelo Sicco. Il capobanda, da principio diffidente, lo fece
sorvegliare dai più fidati e gli commise le imprese più arrischiate per
provarlo. I risultati dissiparono la sua diffidenza; e l’ex birro per le sue
relazioni con gli antichi compagni di mestiere, diventò un elemento prezioso
per la banda. Egli conosceva intimamente due o tre spie, di quelle che tenevano
il sacco ai ladri e ai sopraffattori della città; e poteva, volendo, mandarli
in galera: il che, aggiunto a qualche sommerella, li rendeva fedeli e segreti.
Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano. Il primo, pubblicato dall'autore a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1907 con pseudonimo di William Galt. Successivamente pubblicato in dispense con la casa editrice La Gutemberg nel 1913, riveduto e corretto dall'autore. Ed è quest'ultima edizione che noi Buoni Cugini proponiamo ai lettori, in un volume di 880 pagine con copertina illustrata da Niccolò Pizzorno.
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