Per
antica consuetudine, il 25 di luglio, festa di S. Giacomo Apostolo, si apriva
in Messina una gran fiera, che durava fino al 15 agosto, giorno dell'Assunta, e
festa solenne della città. La franchigia, che per privilegi reali, godeva
Messina in quei giorni, faceva accorrere mercadanti, industriali, artefici da
ogni parte, allettati dalla esenzione di dogane e di dazi, e di una folla
straordinaria di compratori adescati dall'idea del risparmio e della bontà
delle compere. La franchigia si estendeva anche alla esportazione dei drappi
di seta, fiorentissima e rinomata industria in Messina; onde i mercatanti
d'Italia venivano a farvi larghe provviste, per l'eccellenza dei tessuti e il
vantaggio dell'acquisto. Per questo la fiera di Messina era diventata famosa e
aveva acquistata importanza di grande avvenimento cittadino, al quale la
città partecipava in forma ufficiale e con la massima pompa.
La mattina del 25 luglio si apriva solennemente la fiera, con una grande cavalcata, in testa alla quale procedeva un giovinetto di famiglia nobilissima, regalmente vestito, montato sul più bel cavallo che si trovasse riccamente bardato. Agitava egli nelle mani uno stendardo, segno della conceduta franchigia. Dietro a lui seguivano i Cavalieri della Stella, nella loro più ricca divisa, accompagnati dai valletti, poi i senatori, nelle loro ricche toghe, gli ufficiali della città, le milizie.
Era uno spettacolo magnifico per la ricchezza d'ori e di sete, per numero di intervenuti, per grandiosità d’insieme, che per le vie principali, donde sarebbe passata la cavalcata, traeva il popolo avido di svaghi e di divertimenti, e orgoglioso della sua ricchezza e dei suoi privilegi. A questo, che era lo spettacolo iniziale seguivan poi altri pubblici divertimenti, fino a che non giungevano i memorabili giorni delle feste dell'Assunta, le più grandiose che si celebrassero nell'isola, rivali, per singolarità e dovizia del famoso “festino” di S. Rosalia in Palermo. E feste pubbliche, alternandosi con le private, e i ricevimenti nei palazzi signorili con le serenate a mare, in quelle notti estive bellissime del Bosforo d'Italia, tenevan la città in una febbrile agitazione, eccitavan desideri, la gittavano nel mare dei piaceri, tra i quali pareva annegassero i travagli della vita e le asprezze della povertà del regno.
La cavalcata di S. Giacomo scendeva dall'alto della strada dei Mercanti.
Uscendo dalla chiesa di S. Maria della Scala, posta nell'angolo formato dalla
strada del Duomo e di S. Agostino col torrente della Boccetta, l'Accademia dei
Cavalieri per via di traverso entrava nella strada dei Mercanti, e la
percorreva fino al Palazzo reale; e niuno spettacolo era più grandioso e
magnifico, per numero di cavalieri, ricchezza di vesti e di livree, splendore
di armature.
Dinanzi, cavalcava Antonello da alfiere, con una ricca assisa di terzanello d'oro, un ampio feltro sul capo, sul quale ondeggiava un gruppo di piume. Il suo cavallo, bianco come neve, dalle froge rosse, dalle gambe svelte e nervose, coperto di una gualdrappa rossa, ricamata d'oro di una ricchezza e d’una bellezza straordinaria, era condotto a mano da due valletti con la livrea di casa de Gotho. Egli portava in mano lo stendardo della franchigia, con le armi di Messina, croce d'oro in campo rosso. Seguivano i cavalieri, a due a due, ciascuno seguito dai suoi scudieri, essi vestivano la ricca divisa dell'Accademia; corazza e gorgiera di acciaio brunito, maniche di maglia d'acciaio; sul petto grande stella d'oro, immagine della cometa apparsa ai tre Magi; in capo feltro cinerino con piume bianche e rosse, fermate da un cordone d'oro annodato da una piccola stella di diamanti e rubini; lunghi stivali di cuoio color naturale alle gambe, sproni d'oro. Erano tutti armati, oltre alla spada, di zagaglia, pistole, schioppetto e pugnale. I quattro armigeri che accompagnavano i Cavalieri, vestivano coi colori della casa, in pieno assetto di guerra. Se non fosse stato pel lusso delle bardature, per la nitidezza delle armi, e soprattutto pel colore festivo che ogni cosa prendeva intorno a loro, si sarebbe detto che quello era un reggimento che andava alla guerra.
Cassandra Abate guardava con uno stupore pieno di
ammirazione e di gioia; non aveva mai veduto nulla di più magnifico. Riconobbe
Antonello, che, giunto sotto il palazzo, levò il capo in alto, ma non ne
scorse il pallore, né la commozione; gli sorrise come per fargli sapere che lo
aveva riconosciuto, e tosto guardò fra i cavalieri. A un tratto si sentì
prendere da una piacevole commozione: riconosceva Galeazzo. Galeazzo, in
quell'armatura, con quella zagaglia in pugno, rassomigliava appunto a S.
Giorgio; se invece del feltro, avesse avuto in capo l'elmo, ella avrebbe
creduto che il santo ed eroico cavaliere, staccandosi dal quadro, si fosse
mescolato a quel corteo. Anche Galeazzo
alzò gli occhi sul palazzo, ma non come un curioso che cerchi un volto noto e
amico; sibbene con un'aria di corruccio, con una espressione di odio, che lo
fece apparire terribile agli occhi della fanciulla. Ah perché non c'era donna
Laura? Dietro i cavalieri venivano i
trombetti e i pifferi del Senato, i
donzelli, il banditore, il maestro di cerimonia e poi i senatori a due a due, a
cavallo, avvolti nell'ampia toga di seta rossa, dalle grandi maniche; e dopo
di essi i magistrati della città, gli uffiziali, le guardie... Gli artiglieri
reali non c'erano.
La mattina del 25 luglio si apriva solennemente la fiera, con una grande cavalcata, in testa alla quale procedeva un giovinetto di famiglia nobilissima, regalmente vestito, montato sul più bel cavallo che si trovasse riccamente bardato. Agitava egli nelle mani uno stendardo, segno della conceduta franchigia. Dietro a lui seguivano i Cavalieri della Stella, nella loro più ricca divisa, accompagnati dai valletti, poi i senatori, nelle loro ricche toghe, gli ufficiali della città, le milizie.
Era uno spettacolo magnifico per la ricchezza d'ori e di sete, per numero di intervenuti, per grandiosità d’insieme, che per le vie principali, donde sarebbe passata la cavalcata, traeva il popolo avido di svaghi e di divertimenti, e orgoglioso della sua ricchezza e dei suoi privilegi. A questo, che era lo spettacolo iniziale seguivan poi altri pubblici divertimenti, fino a che non giungevano i memorabili giorni delle feste dell'Assunta, le più grandiose che si celebrassero nell'isola, rivali, per singolarità e dovizia del famoso “festino” di S. Rosalia in Palermo. E feste pubbliche, alternandosi con le private, e i ricevimenti nei palazzi signorili con le serenate a mare, in quelle notti estive bellissime del Bosforo d'Italia, tenevan la città in una febbrile agitazione, eccitavan desideri, la gittavano nel mare dei piaceri, tra i quali pareva annegassero i travagli della vita e le asprezze della povertà del regno.
Dinanzi, cavalcava Antonello da alfiere, con una ricca assisa di terzanello d'oro, un ampio feltro sul capo, sul quale ondeggiava un gruppo di piume. Il suo cavallo, bianco come neve, dalle froge rosse, dalle gambe svelte e nervose, coperto di una gualdrappa rossa, ricamata d'oro di una ricchezza e d’una bellezza straordinaria, era condotto a mano da due valletti con la livrea di casa de Gotho. Egli portava in mano lo stendardo della franchigia, con le armi di Messina, croce d'oro in campo rosso. Seguivano i cavalieri, a due a due, ciascuno seguito dai suoi scudieri, essi vestivano la ricca divisa dell'Accademia; corazza e gorgiera di acciaio brunito, maniche di maglia d'acciaio; sul petto grande stella d'oro, immagine della cometa apparsa ai tre Magi; in capo feltro cinerino con piume bianche e rosse, fermate da un cordone d'oro annodato da una piccola stella di diamanti e rubini; lunghi stivali di cuoio color naturale alle gambe, sproni d'oro. Erano tutti armati, oltre alla spada, di zagaglia, pistole, schioppetto e pugnale. I quattro armigeri che accompagnavano i Cavalieri, vestivano coi colori della casa, in pieno assetto di guerra. Se non fosse stato pel lusso delle bardature, per la nitidezza delle armi, e soprattutto pel colore festivo che ogni cosa prendeva intorno a loro, si sarebbe detto che quello era un reggimento che andava alla guerra.
Luigi Natoli: I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina. Romanzo storico ambientato nella Messina sconvolta dalla rivoluzione che andò dal 1672 al 1679.
L'opera è la ricostruzione del romanzo originale pubblicato in 152 puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 25 febbraio 1908, con pseudonimo di William Galt.
Pagine 954 - Prezzo di copertina € 26,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store di vendita online e nelle migliori librerie.
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